48. Belle sorprese

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Mark aspettava, seduto al posto di guida nel suo pick-up. L'abitacolo odorava di menta, non quella dei profumatori per ambienti, sintetizzata chimicamente, ma di foglie vere, raccolte di fresco. C'erano due mazzetti di quell'erba, avvolti nei fogli di giornale, posati in cassette della frutta, sopra mucchi di arance grosse come la testa di un bambino.

Mark non vedeva Sara da quattro anni, il che era folle perché, se solo avesse voluto, sarebbe potuto andare a trovarla, anche se sarebbero state visite brevi.

A dire il vero, usando i suoi poteri sarebbe anche potuto entrare e rimanere lì con lei tutta la notte: gli sarebbe bastato mimetizzarsi con le ombre, rubare le chiavi, entrare nella cella di Sara e stare lì, a parlare di tutto e di niente finché il sole non fosse sorto. I suoi poteri, ma soprattutto il controllo stesso che esercitava su di essi, erano cresciuti a dismisura... ora non avrebbe avuto alcun paura nell'affrontare Richard, o qualunque altro licantropo. La sua nuova forza faceva apparire così distanti, così ridicoli i pericoli che in passato lo avevano quasi ucciso!

Comunque, a trovare Sara in prigione non c'era mai andato, neanche una volta. Lei non glielo aveva mai rinfacciato, né gli aveva mai chiesto di venirla a trovare: neanche un minuscolo accenno, in nessuna lettera. Gli aveva scritto che gli mancava, ma niente di più. Oddio, no, gli aveva scritto che voleva mangiare i fogli e ammazzare le guardia perché soffriva la sua assenza, ma comunque non gli aveva mai chiesto di venire a trovarla, giusto?

Mark tamburellava le dita sul volante, sentendosi un idiota. Ogni tanto lanciava occhiate al pacchetto di sigarette nel portaoggetti dietro la frizione, chiedendosi se davvero, come diceva suo fratello David, fossero utili per calmare l'ansia. Non aveva mai fumato una sola sigaretta in tutta la sua vita: l'odore gli dava il voltastomaco, ne bastava un nonnulla per levargli l'appetito. Che ci faceva quel pacchetto lì dentro? David aveva usato il pick-up, recentemente?

Mark guardò l'orologio: erano le undici e quarantaquattro. Alle dodici Sara, finalmente, avrebbe attraversato le porte del penitenziario, sarebbe uscita e diventata una donna libera.

L'uomo non sapeva che cosa dovesse immaginarsi. Come sarebbe stata lei? Avrebbe avuto lo stesso odore? Sarebbe stata esattamente come la ricordava? Non aveva fotografie da guardare, solo la sua memoria. Una memoria dolorosamente buona, ma non era sicuro che in questo caso fosse rimasta fedele all'originale.

Chiuse gli occhi e poggiò la testa all'indietro, cercando di combattere la tensione. Non era riuscito a dormire per tutta la notte, si era rigirato nel letto come un kebab, aveva lanciato sassolini dalla finestra, aveva portato a spasso Tony anche se Tony non voleva andare a spasso e si era mangiato due chili di formaggio pur sapendo che si sarebbe trasformato tutto in grasso. Sara diceva che lui era la persona più importante dell'universo, la più gentile, la più intelligente, ma quale uomo intelligente mangia due chili di formaggio quando non riesce a dormire?

Provò a calmare il respiro, a rilassare le braccia. Sapeva di avere orribili occhiaie. Erano quattro anni che non vedeva Sara e si presentava da lei così, con le occhiaie. Dopo aver mangiato due chili di formaggio.

L'orologio scoccò il mezzogiorno. Mark era crollato: dormiva, sebbene poco beatamente, posizionato in modo scomodo sul sedile.

Si svegliò quando qualcuno aprì la portiera dell'auto e gli pizzicò gentilmente una guancia.

«Bestione? Bestione? Ehi, sei vivo?» Gli disse una voce.

Mark sobbalzò e farfugliò

«Che... che ore sono?»

«Sono le dodici e dieci, più o meno» rispose Sara, prendendogli la mano per leggergli l'orologio da polso «Stai tranquillo, non sei in ritardo».

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