41. Un accordo oscuro

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Seduta sulla panca ruvida, la schiena china in avanti, Sara guardava il proprio polso sinistro. La pelle si era gonfiata e arrossata intorno a un graffio sottile, che ora iniziava a essudare una minuscola quantità di liquido giallastro. Pus. Il graffio si era infettato troppo rapidamente... e lei temeva di sapere con cosa.

Richard aveva immerso le mani nel proprio stesso sangue, prima di toccare lei, prima di graffiarla, e una quantità infinitesimale di quel sangue doveva essere entrato dentro di lei. Il sangue di un licantropo, direttamente nelle sue vene.

Adesso, da quel che lei ne sapeva, le possibilità erano soltanto tre. La prima: il suo corpo, aiutato dai farmaci giusti, avrebbe combattuto contro l'infezione senza attivare la parte dormiente del suo DNA e lei sarebbe guarita senza trasformarsi. La seconda: il suo corpo avrebbe combattuto quello specifico tipo di patogeni attivando la parte di DNA che lei aveva ereditato dai suoi antenati licantropi, acquisendo la capacità di trasformarsi, insieme a tutti i problemi legati ad un'instabilità fisica e mentale che erano tipici dei mutaforma. La terza: non c'era più sangue di licantropo in lei, nessuna parte "dormiente", e il patogeno presente nel sangue di Richard l'avrebbe uccisa con una lenta, atroce morte orribile, provocando il rapido collasso del suo sistema immunitario e facendole innalzare la temperatura interna fino a uccidere i suoi organi vitali.

La prima possibilità era quella più improbabile, perciò doveva prepararsi a morire o cambiare per sempre.

«Ehi, amica» Disse una ragazza nera con una maglietta sudicia, seduta dall'altro lato della cella «Stai bene?».

Sara alzò lo sguardo. Deglutì. Stava bene? Aveva appena ammazzato il suo ex fidanzato e c'erano buone probabilità che quel gesto l'avesse appena infettata con un patogeno potenzialmente letale e che, se anche non l'avesse uccisa, avrebbe cambiato per sempre il suo intero essere.

Non ricordava neanche il nome di quella donna, non era stata attenta. Tanto le avrebbero smistate presto... e chi se ne importava dello smistamento, perché dannazione, lei era un'assassina che aveva collaborato con un'associazione di stampo mafioso, l'avrebbero fritta come un pesciolino infarinato. La sedia elettrica. La sedia elettrica. La sedia...

«Stai bene?» Ripeté l'altra ragazza

«No» rispose Sara, con voce sorprendentemente bassa

«Sembra che tu abbia la febbre... dovremmo chiamare qualcuno...»
«Non mi importa. Stai zitta»

«Ok. Era così per dire. Siete sempre così nervosi, voi bianchi, rilassati. Aspetta, sei bianca, vero?».

Sara gli lanciò un'occhiataccia, poi abbassò di nuovo lo sguardo sul suo polso. Le faceva male muoverlo, ma era un dolore sordo, diffuso, e poteva sopportarlo.

«Che hai fatto per finire qui?» Insistette ancora l'altra «Hai... hai spacciato? Coca, vero?»

«Ho ammazzato il mio ex» ringhiò Sara «E se non stai zitta ammazzo anche te»

«Sai, non ci credo che hai ucciso qualcuno, tu... tu non sei quel tipo di persona».

Sara si alzò in piedi di scatto e fu immediatamente dall'altro lato della stanza, afferrò per la gola la giovane e le spinse la testa contro il muro, iniziando a soffocarla.

«Che cazzo ne sai di chi sono io, ah? Che cosa, che cosa ne sai?» Le sibilò in un orecchio

«B-basta t-ti p-p-preg...»

«No, basta un cazzo! Ho detto che ti avrei ammazzato e ora ti ammazzo!».

Le dita di Sara si strinsero contro quella gola dalla pelle scura e morbida. La poverina iniziò a scalciare, la colpì con una tempesta di pugni contro la spalla, ma non la smosse di un solo millimetro. Le forze iniziarono presto ad abbandonarla. Sara stringeva i denti, ascoltando il battito del cuore della sua vittima, come le ali di un uccellino, di un colibrì. Veloce veloce veloce.

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