43. Odori

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«Ora è il momento di tornare, biondina!» Paul le diede una pacca su una spalla, soddisfatto «Piano piano ci arriviamo al carcere, no?».

Sara non voleva tornare, lei voleva correre adesso. Era sempre così: il becchino la portava fuori, con stratagemmi misteriosi su cui non era riuscita ad indagare, le faceva fare qualche lavoretto, la allenava, la istruiva, le spiegava che cosa doveva fare e metteva alla prova il suo autocontrollo, poi la riportava dentro, dove lei ricominciava tutto lo snervante tran-tran della vita da carcerata, in mezzo a spacciatrici isteriche, cleptomani che rubavano pure la carta igienica e matte che avevano fatto fuori il loro maritino perché aveva guardato qualcun'altra. Non questa volta, però. Non. Questa. Volta.

Sara provò a comunicare quel concetto con lo sguardo a Paul. Lui poteva leggere nel pensiero della gente («Un trucchetto più facile di quel che si pensi, con le teste bucate che ci sono in giro» aveva affermato una volta, ghignando), ma le aveva chiaramente detto che con lei non poteva farlo perché era refrattaria alla magia, quindi la loro comunicazione, in quei frangenti, era piuttosto difficile. In quel corpo pesante, con il muso lungo e peloso e quei denti enormi, la lingua piatta che giaceva come un verme nella sua bocca, la ragazza-lupo non poteva parlare come un essere umano, al massimo riusciva ad emettere qualche vocalizzazione rudimentale.

Altri licantropi potevano parlare anche durante i pleniluni, ma non lei.

«Oh, andiamo!» Esclamò Paul «Forza!».

Sara scosse la testa con vigore, per fargli capire che non l'avrebbe seguito, e schizzò tutt'intorno goccioline di sangue che si staccarono dalle punte dei suoi baffi.

«Non puoi farti vedere in giro!» Paul si infilò le mani in tasca «Cosa credi che faranno le persone per bene se vedranno un mostro aggirarsi nei loro giardinetti ordinati, fra petunie e siepi, eh? Chiameranno la polizia. E questa volta non ti andrà bene abbastanza da finire soltanto in carcere, perché ti apriranno un bel buco in quella testaccia dura!».

Sara aprì la bocca in una sorta di tirato sorriso, la lingua penzoloni da un lato, chiaramente divertita. Lei, farsi beccare dalla polizia? Piuttosto se li sarebbe mangiati prima che potessero anche solo aprire le fondine.

«Ridi, ridi!» Esclamò Paul «Credi che sia un gioco questo?».

Sara rise davvero, un suono mostruoso a metà fra il verso di una iena e un colpo di tosse.

«Vuoi andartene a spasso, eh! Con il plenilunio, eh! E se sconfini nel territorio di un altro licantropo? Vuoi davvero vedertela con lui?».

Sara iniziò a trotterellare, seguendo la strada sterrata. Aveva una gran voglia di menare le mani.

Paul la seguì, affannato sulle gambe grasse.

«Lo so che vinceresti tu! Ma è questo il punto! Non è che puoi andartene in giro a... a decimare le popolazioni di licantropi locali! In teoria li dovremmo proteggere, se ti ho fatto attaccare questa gente è perché dovevamo fermare il loro assurdo commercio, non abbiamo risolto niente se leviamo di mezzo loro e arrivi tu a fare esattamente la stessa cosa!».

Sara non si fermò, anzi accelerò il passo, spostando nuvolette di polvere con le enormi zampone artigliate, le unghie che graffiavano la terra. Paul le afferrò la coda.

«Sara!»

«ROAAAR!».

L'enorme licantropa bionda si girò di scatto, sollevandosi sulle zampe posteriori, sovrastando Paul come se fosse un bimbo cicciottello e snudando le zanne simili a coltelli. Il becchino la lasciò andare immediatamente e cercò di indietreggiare con tanta velocità che cadde a terra e da lì strisciò all'indietro, aiutandosi con i palmi delle mani, annaspando nella polvere. Non c'era comprensione nello sguardo di Sara, nessuna intelligenza: i suoi occhi erano due vacui globi d'oro che quasi non sembravano vedere Paul, mentre nella sua gola enorme vibrava un ringhio.

Il Fiore e l'Artiglio + Versione fantasy estesa +Where stories live. Discover now