7. Per noia

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L'indomani, Mark si svegliò prima di tutti gli altri come ogni mattina per condurre la mandria al pascolo. Era appena l'alba.

Sara invece si svegliò alle dieci. Si lavò, si vestì, scese di sotto e si unì per la colazione a Oliver che era l'unico rimasto in casa.

«Ciao!» La salutò lui «Ben svegliata!»

«Ciao?» Sara si guardò intorno «Dove sono finiti tutti?»

«Sono andati al lavoro»

«Ah. E tu non lavori?»

«Sì, lavoro, certo. Ma non alla fattoria» l'uomo sorrise «Sono computista per un'azienda. E oggi ho un giorno libero»

«Computista?»

«Significa contabile. Sono quello che tiene conto dell'avvenuto addebitamento o dell'accreditamento o...»

«Lo so cos'è un contabile, Oli».

L'uomo sorrise ancora e tacque, tornando a concentrarsi sulla sua colazione.

Oliver era il secondogenito di Brody McWoodland e il suo figlio preferito. Aveva più soldi di tutti gli altri fratelli McWoodland messi insieme ed era ufficialmente fidanzato con una ragazza di nome Jenny che Sara conosceva di vista e di fama. Aveva lineamenti più regolari dei suoi fratelli, con un naso dritto e labbra carnose, era discretamente alto e atletico e persino in pigiama sfoggiava una particolare grazia.

Sara non aveva alcuna voglia di parlare con lui. Di cosa avrebbero potuto discutere? Lui era di almeno sette anni più vecchio di lei ed era una specie di banchiere. E stava con la ex del suo ragazzo.

«Timothy mi ha detto che la splendida Mustang qui fuori è del tuo ragazzo» Le disse lui, dopo aver preso un lungo sorso di succo d'arancia «Chi è lui? Lo conosco?»

«No, non lo conosci» rispose laconica la ragazza, spalmandosi il pane di marmellata

«Come si chiama?»

«Si chiama "il Ragazzo di Sara"».

Oliver rise. Aveva le fossette, come un bimbo: unite alla sua abbronzatura, quella splendida che è tipica delle carnagioni olivastre, facevano un effetto-bravo-ragazzo incredibile. Sara lo guardò senza contenere il disgusto.

«Voglio solo fare colazione» Gli disse «Non, sai, parlare del mio ragazzo»

«Guarda che non devi vergognarti! Era solo così, per fare conversazione...».

Sara non voleva fare conversazione, voleva mangiare in pace la sua dannata colazione.

Il pane era insipido, forse troppo mancante di sale. La marmellata, invece, era ottima anche se non si capiva bene di quale frutto o di quale mistura di frutti fosse composta e non c'era nessuna etichetta che lo rivelasse.

Sara mangiò lentamente, ascoltando sovrappensiero Oliver che le parlava delle azioni governative di Jimmy Carter, di una possibile crisi diplomatica e di John Lennon. Mentre fingeva di essere attenta, pensò a Richard e al cartello messicano del Precio de Sangre, chiedendosi se si fossero già incontrati e se stesse andando tutto bene.

Era frustrante non poterlo sapere immediatamente. E se Richard fosse morto mentre lei era lì, a non fare niente con quella manica di bifolchi? Se al suo ritorno in città avesse scoperto che il loro regno era finito, che lei non era più la regina di Austin, che non era nessuno, e che per giunta l'uomo che amava non l'avrebbe mai più baciata? Quel pensiero le risultò doloroso, ma non lo scacciò. Impregnò ogni angolo di sé stessa di quel dolore, finché non divenne come una sorda pulsazione senza significato. Aveva imparato che a scappare dalla paura non ci si guadagna niente, che l'unico modo per batterla era provarla, sbatterci la testa contro, finché non se ne era pervasi e allora si capiva che quella paura non poteva ferirti più di così.

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