4. La maledizione dell'ultimogenito

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Un buio calmo era sceso sulla fattoria dei McWoodland, riempiendo il cielo di stelle e donando all'erba pennellate di un blu scuro come di velluto.

Seduti sul divano del salotto, sotto la luce gialla dell'unica lampadina, Mark e Sara stavano sfogliando un vecchio album di fotografie quasi tutte in bianco e nero.

Mark conosceva a memoria tutti i nomi e tutte le parentele di quella gente, istruito da suo padre per continuare la tradizione e onorare gli antenati, ma Sara non era familiare con nessuno di loro e sembrava avere qualcosa da ridire su tutti.

«Questo è mio nonno, Horace McWoodland»

«Dio, guarda che occhi! Sembra che abbia visto un fantasma. Guarda!» La ragazza batté l'indice sulla faccia della figura «Sembra che il fantasma sia il fotografo!»

«Ma dai» Mark rise piano, a bocca chiusa, emettendo un suono ovattato «Papà dice che sono uguale a nonno Horace»

«Beh, non avete gli stessi occhi» lei alzò le mani

«Papà dice di sì».

Lei gli afferrò la faccia e lo girò verso di sé, studiando il suo viso pieno, pallido, con le guance spolverate di strisce di barba rossa, la pelle soffice ed elastica arrossata dal sole sul naso dalla punta tonda. Era virile, quasi rustico, ma c'era qualcosa (forse l'espressione imbarazzata, forse i grandi occhi verdi) che lo faceva sembrare del tutto inoffensivo, inoltre quel testone, contornato di soffici riccioli, era un vero piacere da tenere fra le mani. Mark avvampò subito, tirandosi debolmente indietro.

«Sta' fermo!» Gli intimò Sara, strattonandolo «Cavoli. Tuo padre ha ragione, sembra che abbia visto un fantasma pure tu»

«Lo so» lui sospirò «È la maledizione dell'ultimogenito»

«Ah sì» lei gli lasciò andare la faccia, a malincuore «C'è una maledizione? Raccontamela»

«È la maledizione dei McWoodland, ce la siamo portata dietro dall'Irlanda. La nostra famiglia è molto antica e un tempo eravamo rispettati e potentissimi capi di un grande clan...»

«Un clan? Ma quelli non sono gli scozzesi?»

«Cosa? No! Anche la società irlandese era organizzata in clan, gruppi di persone che avevano una parentela fra loro...»

«E portavano i gonnellini anche loro, come gli scozzesi?»
«Se intendi i kilt, sì. Anche tu hai sangue irlandese, dovresti saperlo»

«Ah sì?» lei aggrottò le sopracciglia «Non ci somigliamo molto, io e te»

«È perché c'è un po' di sangue egiziano nelle tue vene, credo. Papà mi ha detto che il nonno di uno dei tuoi genitori viene dall'Egitto, ma non mi ha detto di quale dei due... però le nostre famiglia sono amiche da generazioni. Non siamo davvero cugini, ma qualche legame c'è stato, perché in qualche modo facciamo parte dello stesso clan»

«Questa è interessante! Quindi se ci fosse, ad esempio, una guerra tra clan, io e te dovremmo combattere fianco a fianco?»

«Le ragazze non sono obbligate a combattere»

«Io lo farei volentieri, non ho bisogno che mi obblighino. Continua con la storia della maledizione, dai!».

Mark guardò fuori dalla finestra, appoggiando un braccio allo schienale del divano, poi cambiò discorso

«Timothy te l'ha riportata la macchina, mentre ero a lavoro?»

«Sì»

«E allora perché non la vedo lì fuori?»
«L'abbiamo nascosta dietro il fienile» spiegò Sara, poi sbuffò «Che c'è? Non vuoi raccontarmi la storia della maledizione?»
«No» rispose fermamente lui «Voglio raccontartela. Mi preoccupavo soltanto che ti avessero rubato la macchina»

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