5. Passi di topo

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Durante il sonno, Sara sentì un rumore. Era uno scrit scrit, come di unghie di ratto sulle travi. Disserrò appena le palpebre e si guardò intorno, usando la poca luce che filtrava attraversando prima la finestra e poi le sue ciglia. Non era abituata ad essere disturbata dagli animali durante la notte, ma già prima di venire a stare dai McWoodland aveva messo in conto che avrebbe potuto abitare sotto lo stesso tetto di una colonia di ratti e l'eventualità non la spaventava affatto.

Arricciò il naso, trattenendo uno sbadiglio, e girò la testa per premere il naso contro il cuscino morbido. I roditori, decise, le erano del tutto indifferenti.

Scrit scrat. Scrit scrat.

Con la coda dell'occhio scorse un movimento nella stanza, sul pavimento, e il suo braccio scattò ad afferrare una scarpa da lanciare contro il ratto. Poteva anche esserle indifferente, ma non aveva alcuna intenzione di farsi disturbare il sonno.

Scrit scrat. Scrit scrat.

Quella cosa non era un ratto. Per un istante, Sara pensò che fosse un armadillo e si chiese come diavolo fosse entrato nella sua stanza, ma l'essere sollevò la testa verso di lei e la guardò negli occhi. Ma la stava davvero guardando? Non c'erano occhi da vedere. Quella cosa non era neanche un armadillo. Era difficile capire cosa fosse nel buio quasi totale, ma era grosso e nero e doveva avere delle lunghe unghie che grattavano il pavimento mentre camminava.

Sara gli lanciò contro la scarpa, con il cuore in gola, colpendolo in pieno. L'essere sibilò, la bocca spalancata. Adesso somigliava a un grosso, grasso serpente, ma i serpenti non hanno le unghie...

Sentendosi d'un tratto completamente sveglia, la ragazza scattò giù dal letto e aprì il cofanetto che conteneva la pistola. Sapeva che avrebbe allarmato tutti se avesse fatto fuoco, ma non poteva lasciare che quella cosa sconosciuta le girasse nella stanza come se niente fosse.

Mirò, ma l'essere si lanciò sotto il suo letto scomparendo alla vista.

«Razza di...» Sara imprecò, si lasciò cadere in ginocchio e puntò la pistola sotto il letto.

Udì un sibilo, come lo sfrigolare di un pezzo di impasto immerso nell'olio bollente, poi qualcosa si avvolse intorno alla sua gola. Era duro e freddo, gelido a confronto con la sua pelle calda di sonno, e le tolse completamente il respiro.

Non lasciò andare l'arma, ma non riuscì neppure a capire dove dovesse sparare e così colpì alla cieca con il calcio della pistola, sperando di convincere la bestia a lasciarla.

Di nuovo quel rumore, quello sfrigolio bollente. La porta dietro di lei si aprì e Sara sentì dei passi rapidi.

«A-aiuto» Disse, con un fil di voce, senza smettere di combattere.

La presa intorno alla sua gola si allentò. Qualcosa iniziò a gocciolare sul pavimento.

Plic. Plic.

Una mano la afferrò per una spalla, con dita che sembravano fatte di acciaio.

«Alzati» Le disse una voce profonda e sicura «Va tutto bene?».

Sara si tirò in piedi, massaggiandosi la gola, e si leccò le labbra. Guardò in basso: la creatura non c'era più. In compenso dietro di lei c'era Mark, che respirava affannosamente.

Indossava una canottiera grigia (o forse bianca, non era chiaro in quel buio) che lasciava intuire i muscoli robusti del suo torace e stringeva convulsamente in una mano un grosso coltello da caccia che sembrava sporco di sangue nero.

«Sto bene» Assicurò Sara «Cosa gli hai fatto?»

«L'ho... tagliato» Mark non sembrava molto sicuro

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