22. Che razza di sogni, bambina mia

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Quando si fu coricata nel letto e si fu tirata sul petto il lenzuolo pulito e fresco, un grande sorriso le si disegnò in faccia. La stanza odorava di menta.

Provò ad addormentarsi, ma quell'infantile gioia non la abbandonava. Era felice di essere felice, ma in un angolo remoto, piccolo e rattrappito, della sua mente si chiedeva come mai fosse così contenta di essere lontana dall'uomo che amava. Chiuse gli occhi. Chissà cosa stava facendo Richard in quel momento? Magari si stava preparando anche lui a dormire, si levava lentamente la maglietta e il tessuto si sfilava strusciando con lentezza sui muscoli del suo torso, sugli addominali ben torniti, sulla schiena cesellata e abbronzata. Probabilmente, si disse Sara, anche lui stava pensando a lei e nel farlo sorrideva, incurvando le labbra ferme, ma sensuali, in un sorriso che pareva crudele, poi si sfilava i pantaloni e...

La giovane era persa in un dormiveglia misto ad un sogno quasi-erotico (ma che sarebbe potuto diventare tutto-erotico molto presto) quando sentì qualcuno bussare alla porta. Spalancò gli occhi.

«Chi è?» Domandò

«Mi sono dimenticato di dirti» rispose la voce profonda di Mark «Che se domani mattina vuoi venire con me dovrai svegliarti presto. Se vuoi posso venire a svegliarti io, altrimenti ti lascerò a riposare. Preferirai riposare, di sicuro, ma...»

«Verrò con te» rispose Sara, senza bisogno di pensarci

«Molto bene. Buonanotte» la giovane lo udì sospirare prima che aggiungesse «E bentornata».

I passi di Mark, troppo leggeri per la sua taglia immensa, si allontanarono. Sara risprofondò la testa nel cuscino e cercò di riprendere il filo di quella sua fantasia interrotta, che le stava piacendo non poco. Forse era l'aria di quel posto, ma si sentiva incredibilmente viva e la sua fantasia avrebbe potuto galoppare per tutta notte. Probabilmente avrebbe fatto degli ottimi sogni.

Dunque, dov'era rimasta? Ah, si, Richard si sfilava i pantaloni, perché come quasi sempre, quando faceva molto caldo, dormiva nudo. Adesso indossava soltanto un paio di aderenti slip neri che sembravano un costume da bagno, eleganti ed essenziali, che mettevano in risalto le belle gambe asciutte e forti. Sulla coscia destra aveva una cicatrice piuttosto ampia, che si era procurato a diciassette anni in un incidente stradale, mentre il piede sinistro ne esibiva una un po' meno estesa, ma in qualche modo più spaventosa, ancora rossastra come se fosse fresca. Nella realtà, Richard non aveva quella cicatrice, ma Sara sapeva perché era lì: rappresentava il suo potere su di lui, la sua ribellione di quella volta in cui, tre anni prima, gli aveva sparato rifiutandosi di uccidere un uomo innocente.

Richard infilò due dita sotto il bordo nero degli slip, poi sospirò. Quel sospiro fu sospetto: non suonava come uno di quelli di Richard, era più profondo e meno tormentato, come di rassegnazione.

Sara, che nel dormiveglia stava immaginando di trovarsi accanto a lui (dimenticandosi completamente del proposito originale di quella visione, in cui il suo ragazzo pensava a lei mentre era lontana), gli domandò che cosa avesse.

Richard si voltò a guardarla. C'era qualcosa di sbagliato, di sospetto, anche nel suo volto: i suoi occhi erano troppo chiari, di un verde tenuo. Erano gli occhi di...

Sara avrebbe voluto domandare dove diavolo fosse finito Richard, ma in quella fantasia non c'erano parole. Sentiva rumori (quello delle automobili che passavano fuori dal loro appartamento a Santa Monica), persino odori, ma non c'era spazio per la conversazione.

Al posto di Richard, adesso c'era Mark. Era completamente vestito, con il suo pigiamone blu scuro a sottili e rade righe bianche, ma in qualche modo questo non aveva dissipato l'atmosfera peculiare di quel sogno quasi-erotico, anzi, l'aveva se possibile resa più forte, quasi intossicante.

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