6. Il mangiacalzini

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Mark sporse la testa dalla finestra della sua camera e guardò lontano, verso una macchia di alberi scuri, contornati dalla luce delle stelle. Il cielo sopra di lui sembrava un'illustrazione irreale, l'esperimento di un pittore che giocava con il blu, il viola, il porpora scuro, una velatura gialla e migliaia e migliaia di glitter apparentemente gettati in ordine sparso sulla tela.

A quel ragazzo di campagna, che pure vedeva spettacoli simili quasi tutte le sere della sua vita, bastò un'occhiata per sentirsi il cuore pieno di una sottile gioia che lo tranquillizzò. Era pronto.

Mark fece scivolare tutto il proprio corpaccione fuori dalla finestra, con cautela, stando ben attento a dove metteva i piedi nudi, poi si arrampicò fino al tetto, respirando piano come se suo padre potesse sentirlo anche dalla stanza in cui stava dormendo. Teneva un coltello in una mano, dalla lama sporca di un sangue così scuro da sembrare nero.

Qualcosa si muoveva in cima tetto, un'ombra scura e amorfa, che si spostava freneticamente a destra e a sinistra lasciandosi dietro alcune macchioline. Emetteva uno "scrit scrit" di unghiette che ad un ascoltatore distratto sarebbe potuto sembrare quello di quattro o cinque topi.

Mark gli si avvicinò piano, curvo e quasi a quattro zampe, aggrappandosi di quando in quando alle tegole con la mano libera, tenendo il respiro fra i denti.

La cosa si accorse di lui. La luce delle stelle delineava confusamente il suo groviglio di tentacoli.

«Vattene» Gli sussurrò Mark «Lei non è cibo. I patti sono cambiati».

I tentacoli ebbero un sussulto. Erano lunghi, più di un metro e mezzo ciascuno, ma davano l'impressione di potersi accorciare o allungare in un attimo, oltre che di poter soffocare facilmente un essere umano.

«Vattene» Ripeté il ragazzo, serio.

I tentacoli si mossero confusi, poi dal cuore della matassa venne un suono, un fischio lungo e alto, anche se a volume molto basso.

Mark sapeva cosa significava, perché era uno dei suoni più facili da decifrare: "pericolo".

«Che genere di pericolo?» Domandò, ma il groviglio di tentacoli parve non capire. Mark aveva provato a tenere a mente le frasi della lingua oscura, ma la mancanza di sonno e di tempo gli giocavano brutti scherzi e ora non si ricordava quasi nulla. Il suo capo, Paul, gli diceva sempre che era solo questione di esercizio, che un giorno l'avrebbe capita e parlata senza sforzo, ma lui non ci credeva granché: tutti gli schiocchi e i sibili, i fischi strascicati e i rumori di contratture e palpiti che le creature della notte parlavano continuavano a sembrargli molto più incomprensibili del canto degli uccelli o degli ululati dei canidi.

«Che... cosa...» Mark provò ad imitare il fischio della creatura, ma dandogli una sfumatura interrogativa.

Il groviglio di tentacoli si rovesciò tutto su di sé, rotolando come una palla, e rispose con il medesimo fischio. Non aveva capito la domanda o non aveva una risposta migliore di "pericolo"? E, soprattutto, era capace di spiegare a cosa si riferiva, o era troppo stupido?

«Mi dispiace di averti pugnalato» Sussurrò Mark, realizzando ad un tratto che magari l'essere aveva paura proprio di lui «Davvero. Volevo solo salvare lei e... mi dispiace».

I mangiacalzini (e quello che il giovane aveva davanti era uno degli esemplari più tipici della specie) raramente muoiono per via di una semplice ferita da taglio, per via del loro fattore di rigenerazione avanzato, ma Mark era rammaricato di averlo spaventato, anche se era servito a salvare la vita della loro ospite. Se avesse potuto, il giovane McWoodland avrebbe cercato di proteggere tutti gli abitanti di quella casa, poco importava che fossero umani, animali, o ibridi fra creature organiche e spirituali come quella che aveva di fronte.

Il Fiore e l'Artiglio + Versione fantasy estesa +Where stories live. Discover now