PROLOGO

1.6K 39 8
                                    

CHRISTIAN

Ho freddo, ho freddo ma non lo dico. Il mio pigiama con sopra Capitan America non riscalda il mio corpo da questa notte umida ma stellata. Ho gli occhi fissi sul pavimento di questo posto, un posto che non conosco. Ci sono due signori in divisa che guardandomi parlano fra di loro. Io, però, continuo a sentire freddo e i loro occhi estranei non mi piacciono; solo quelli della mamma sono belli, blu come il mare. Voglio la mia mamma, piangeva quando mi hanno portato via ma io no, non piango, le ho promesso di essere forte. Non riesco a sentire nulla adesso, dentro ci sono solo come piccoli aghi che colpiscono il mio corpo, oltre quello... il vuoto. La donna che ha bussato alla porta si avvicina con passo svelto verso il me, il suo viso è diffidente, serio; non mi piace. Alzo gli occhi sulle luci che mi annebbiano la vista, la gola brucia, forse sono qui perché ho fatto la spia? O perché ho pianto? Oppure perché mi sono comportato male? Io voglio tornare a casa.
«Il tuo stomaco brontola, hai fame piccolo?» mi chiede la donna in questo vestito elegante e scuro.
Non rispondo, mi giro intorno in cerca di una via di fuga, voglio andare via da qui.
«Hai freddo?» Domanda ancora, senza ottenere risposta.
Non la voglio qui, la sua voce è cattiva e i suoi occhi scuri mi fanno paura.
«Fra poco arriva il tuo papà, va bene?»
Ruoto il capo verso di lei, aggrotto la fronte.
«Io non ho un papà» sussurro appena, avendo la bocca e la gola secche.
«Adesso si», sentenzia con un sorriso che fa aumentare la mia voglia di fuggire da qui. Si sistema, ricomponendosi nelle sue vesti da Crudelia Demon.
Ho voglia di piangere, ma mamma mi dice sempre che devo essere forte e non mostrarmi debole davanti alle persone cattive. Lo farò per lei, non piangerò per lei.
Gli uomini in divisa avanzano verso di noi, sussurrando qualcosa all'orecchio della donna; lei ricambia raccomandandogli di non fare le "carogne", ma cosa vuol dire carogna? Non voglio parlare con loro. Uno alto, si siede vicino a me su un'altra sedia in questo posto bianco e con troppe luci. Le persone camminano velocemente e mi osservano di sfuggita; come se fossi l'unica persona presente.
Muovo le gambe penzoloni e provo ad arrivare da seduto con i piedi per terra, l'uomo si tocca i capelli mezzi bianchi e grigi. Il suo odore è di sigaretta come Tom, il fidanzato della mamma, lui però aveva anche un'odore forte che mi faceva stare male.
«Ora ti farò delle domande e tu mi risponderai, d'accordo?» Fa alzando le sopracciglia.
I miei occhi ricadono sulle sue scarpe lucide e nere; sono simili a quelle di Tom e Tom non mi piace.
«Hai capito?» Chiede conferma, ma io non ho voglia di parlare con Tom il poliziotto.
«Annuisci se hai capito» è impaziente e si sta arrabbiando, sospira energicamente e si schiarisce la voce. Il cielo dalla finestra piange, piange anche per me. Non è più stellato come prima, adesso ci sono le nuvole. È tutto così buio fuori mentre qui, ci sono troppe luci bianche e forti.
Capisco che tutti i tuoni non sono solo lì ma anche nella mia pancia, vicino al cuore e nella testa dove adesso sento un vuoto.
Mi decido a fare di sì con la testa perché non voglio che si arrabbi come Tom. Lui muove meccanicamente la testa e scrive qualcosa su un quadernino piccolo.
«Tua mamma si chiama Anita Mariani?» Fa lui e gli butto un'occhiataccia, perché parla della mia mamma?
Faccio di sì comunque, lui impaziente scrive altro ma penso che non la rivedrò più. Io non voglio andare con papà, chi è papà? L'impaziente uomo continua con le domande ma dentro di me riaffiora la voglia di scendere dalla sedia e andare via. È stanco delle mie non risposte, si alza e si nasconde dietro una porta; i miei occhi si spostano su una figura dentro questo corridoio così bianco e accecante, ha un vestito pulito e blu. Le sue scarpe non sono come quelle di Tom e neanche come quelle del poliziotto Tom, sono nuove, le luci ci riflettono sopra.
I suoi capelli sono castani e ben tagliati, parla animatamente con la donna cattiva e ogni tanto si gira verso di me. Neanche il suo sguardo è gentile, sembra serio come uno dei nemici di Spiderman.
L'uomo fa dei passi come un felino dei documentari verso la sua preda, con un sorriso che fa arrossire anche la signora cattiva, dopodiché, si ferma davanti ai miei occhi.
«Ciao Christian, io sono Andrea, il tuo papà» le sue parole scendono dentro di me come quando bevo troppo velocemente il latte caldo e tutto scotta.
Non proferisco parola, alzo solo le ciglia per vederlo meglio.
I suoi occhi sono verdi come i miei, scendo, e mi specchio per brevi secondi alla finestra. Lui sembra cattivo, è cattivo, e forse anche io lo sono, per questo non sono più con la mamma.
«Andiamo a casa», mi dice e io penso a quale casa si riferisca; quella con la mamma?

La Forma del DestinoWaar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu