Capitolo 10

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FEDERICA

DANNAZIONE! Dannazione a me e alle mie inutili paranoie da quattro soldi. Odio pensare e crearmi delle aspettative, odio ancor di più capire di non riuscire a lasciar andare dei pensieri. Il suo volto mi perseguita, perseguita la mente, i sogni, la vita. Mi destabilizza pensare al controllo che esercita su di me, con un semplice gesto, con una semplice frase o con uno sguardo mi ha reso incapace di resistergli, incapace di essere lucida. Non voglio essere un altro trofeo della sua collezione di Barbie e conquiste. Non voglio che pensi che possa essere come quelle ragazze che camminano al suo fianco.
Mi giro nel letto consapevole che probabilmente non chiuderò occhio, i suoi occhi dispiaciuti sono davanti a me ogniqualvolta provo a rilassarmi e dormire, non capisco perché si comporta così. Sposto lo sguardo sulla sveglia che segna le 4:15, Charlotte mi aspetta alle nove per andare al mare ed io sono ancora sveglia a distruggere il mio cervello bacato.
So che probabilmente ci sarà anche lui ma non voglio vederlo, non voglio avvicinarmi perché è sbagliato per me, il suo modo di rivolgersi mi ha fatto male. Dopo ieri sera, dopo le sue parole e le mie non so come potrei reagire nell'averlo vicino. So che continueremo a scontrarci e voglio bene mi restituisca la sofferenza da cui io sono scappata.
DIO! Queste sensazioni mi provocano dolore alla bocca dello stomaco, ho un peso al petto. Non capisco se essere felice di questa nuova vita o aver paura. Senza mio padre che avesse rovinato tutto non avrei mai conosciuto Charlotte, gli altri e naturalmente lui, non mi capacito di come mi faccia sentire questa consapevolezza. Non capisco se sia stato un bene scappare, vivo una quiete che non ho si assaporato, ma quanto durerà? È solo un'illusione? Non riesco a recepire neanche perché sto qui a torturarmi alle quattro del mattino, fissando un soffitto bianco e spoglio.
Abbasso gli occhi sull'ammasso di peli che sta sul mio tappeto. Brown mi fa compagnia, ma sembra dormire profondamente. Sospiro ancora. Scalcio le lenzuola. Fa un caldo terribile, ho bisogno di bere dell'acqua fresca. La testa non fa più male come prima, adesso il dolore si è trasferito altrove, ogni mia parte del corpo si estende al ricordo delle sue mani su di me. Il suo tocco per niente fastidioso, mi induce a respirare profondamente ma mi causa anche del vuoto per il conflitto in cui mi trovo.
Scendo lentamente le scale fino ad arrivare in cucina. Aprendo il frigo, la luce mi annebbia la vista per pochi secondi, dopodiché, prendo un bicchiere senza fare rumore, lo riempio tre volte e mi avvio al divano. La stoffa è molto più fresca delle mie lenzuola, mi danno sollievo. Mi ci corico sopra fissando il soffitto. Tuttavia, mi maledico mentalmente per dei minuti infiniti, senza riuscire a prendere sonno. Provo a socchiudere gli occhi e rilassarmi ma qualcosa mi impedisce di provare a dormire, anzi, qualcuno; una vocina assonnata si avvia al divano.
«Fede» Marco si strofina gli occhi con le piccole mani.
Mi alzo a sedere e gli indico di prendere posto accanto a me.
«Cosa succede?» sussurro quando lui rimane fermo a fissare il tavolino in vetro davanti a lui, senza proferire parola.
«Un brutto sogno?» azzardo, anche se so già la risposta.
Annuisce rimanendo nella stessa posizione fermo, immobile.
Mi fa male vederlo così, mi sento responsabile dei suoi incubi, delle sue paure.
«È sempre lo stesso brutto sogno?» domando lentamente.
Annuisce ancora.
«Me ne vuoi parlare?» Provo a dire ma so già la risposta anche di questo.
Scuote subito la testa e so che la soluzione è solo una, tornare indietro e fare quello che una volta lo faceva calmare.
«Mi aspetti un secondo qui? Torno subito! Ho una cosa da farti vedere»
Corro veloce al piano di sopra facendo attenzione a non svegliare la mamma e Brown, afferro le cuffie dal comodino e ritorno di sotto. È sempre lì, inerme. Nella posizione in cui l'ho lasciato. Mi si spezza il cuore, so cosa sta provando, lo so bene. Si domanda perché ripercorre sempre lo stesso giorno, le stesse immagini, le stesse paure e non c'è risposta a questo, neanche io so darmela. Quando avevo gli incubi poco dopo l'accaduto era come rivivere tutto, sentire ogni secondo, ogni attimo, ogni emozione o dolore. Ripercorrere sempre la stessa giornata ogni notte era estenuante, avevo timore ad addormentarmi. A volte c'era qualche scena in più, la mia mente faceva brutti scherzi ma era pur sempre la stessa giornata. Prendo il telefono dal tavolino, cerco la canzone infilando le cuffie, gli porgo una e lui la prende con la sua piccola manina tremolante.
«Cos'è?» mormora curioso.
Premo play su: Bruno Mars - Just the way you are. Lui mi guarda aggrottando la fronte. Stringe tra le mani il suo piccolo omino di Spiderman, quando Bruno Mars inizia a cantare si scioglie subito il malumore. Si sistema sul divano dondolando i piedi, con le mani prende il suo omino facendolo muovere a ritmo di musica. Ricordo la prima volta che l'abbiamo ascoltata. Ero in camera e stavo piangendo per via di mio padre, mi aveva strattonato i capelli perché non gli avevo preso "in tempo" le posate.
Sono per terra appoggiata al letto, occhi chiusi, lacrime sul viso, respiri mozzati. La porta cigola, si apre piano. Il mio cuore velocizza il battito, ma ritorna regolare quando il suo faccino entra. Rimane sull'uscio della porta, mi guarda tristemente e accenno un sorriso, finché non gli indico di sedersi accanto a me.
Poggia la testa sul mio grembo, prende la mia mano e la stringe.
Mi mordo il labbro, il naso pizzica, il respiro manca e vorrei non piangere davanti a lui, mostrarmi forte ma è difficile.
Estrae la cuffia dal mio orecchio ed esclama sotto voce:
«Ti voglio bene».
Mi avvicino alla sua testolina e la bacio. I suoi occhi tremano, come la sua anima. Ha paura e anche io. La musica mi calma, ci calma.
Gli porgo la cuffia, la infila e dopo qualche secondo, muove le mani a tempo come un vero direttore d'orchestra. Da lì, questa canzone è diventata nostra.
Delle volte veniva in camera e diceva semplicemente: «Canzone» e capivo che aveva bisogno di me.
Col tempo l'ha imparata a memoria, naturalmente, con il suo inglese italianizzato ma tutto sommato è davvero bello sentirlo canticchiare ma soprattutto vederlo sorridere di nuovo.

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