Capitolo 45

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FEDERICA

Prima di poter dire qualunque cosa Christian mi regala un sorriso, dopodiché, guarda in alto verso il cielo e lo scruta per qualche secondo, indietreggia di un passo  liberando la presa dai miei polsi e lasciandosi cadere in piscina.
«No», strillo cercando di afferrarlo ma inevitabilmente cade in acqua schizzando dappertutto. Mi copro il viso e retrocedo per proteggermi.
«Cosa diavolo fai?» urlo quando riemerge scoppiando in una fragorosa risata.
«Vedi, non puoi aiutarmi. Tenti di farlo ma fallisci miseramente», esclama tirandosi i capelli gocciolanti indietro.
Mi soffermo per pochissimi istanti ad ammirare il suo corpo bagnato dall'acqua, le gocce scivolano sul torace come se fosse marmo. Tracciano l'addome abbronzato e definito ma mi pento subito di essermi soffermata a guardarlo troppo a lungo.
Scuoto la testa e sbuffo.
«Se non vuoi che ti aiuti, smettila di cercarmi!» Dichiaro tentando di mantenere la voce ferma.
Tanti piccoli aghi mi trafiggono il petto destabilizzandomi e il suo sguardo turbato non ne è da meno, creano una giusta dose per farci sembrare due matti che non riescono a combinarne una buona.
Mi giro di spalle e faccio per andare via quando mi chiede dove sto andando.
«Non mi volevi qui fin dall'inizio», puntualizzo fissando il prato verde, simile ai suoi occhi.
«Ti arrendi così facilmente» gli sento dire e questa volta la mia rabbia prende il sopravvento.
Mi volto verso di lui con un'ira accecante, pronta a dirgliene di ogni ma improvvisamente colpisco il muro del suo corpo, grondante d'acqua.
Deglutisco a vuoto e fisso ancora una volta la scia che lasciano le gocce, vorrei sfiorarle e sentirne la sensazione sui polpastrelli.
No Federica, mi ammonisco.
Mette l'indice sotto al mio mento e mi costringe ad incrociare il suo sguardo adesso misterioso adesso cupo ma più lieto.
«Non dire che non ti voglio qui, perché non è così» sibila sfiorandomi con il pollice il labbro inferiore.
«Sei stato tu a dirlo», bisbiglio come se qualcuno ci potesse sentire, «io dico tante cose, ma non credere mai che ti voglio lontana da me... so che è giusto tenerti distante ma non riesco a farlo», sentenzia mordicchiandosi il labbro inferiore.
Mi tiro indietro quando prova ad attirarmi a sé, lui arriccia il naso inquieto.
«Mi confondi Christian, non so mai come reagisci alle cose e mi mandi in pappa il cervello», brontolo in un lamento. 
«Lo so... scusami» mormora come se fosse fin troppo difficile chiedere scusa.
Sospiro. «Mi mandi via, poi vieni da me. Mi eviti e poi quando sono io a non volerti vedere mi trattieni, perché lo fai?»
«Tutto questo per me è nuovo, non capisco come reagisco e mi sento come se volessi buttarmi dal trampolino più alto ma non avessi la certezza che sotto ci sia l'acqua.»
«E allora dimmi cosa è successo, rendimi parte della tua vita» ribadisco sperando che mi rivolga una risposta.
Si guarda intorno e mi volge le spalle, osserva ancora una volta il suo riflesso, tuttavia, si sfila i jeans bagnati rimanendo in boxer e si butta ancora una volta in acqua.
«Vieni» mi canzona dopo essere riemerso. 
«Smettila di temporeggiare, se mi vuoi qui devi collaborare» dico quando si mette con le braccia e le gambe distese verso l'alto.
«Non fare la guastafeste, vieni» cinguetta guardando verso il cielo.
Faccio qualche passo in avanti e la mia sagoma si riflette su questo specchio d'acqua limpido; ho i capelli legati e gli short con la canotta, il viso struccato e l'aria stanca. Solo adesso mi accorgo delle mie condizioni, socchiudo le palpebre e indietreggio.
«Daii» mi incita.
«No, vado a dare una ripulita prima che tornino i tuoi», lo informo.
«Ci penserò io o Agnese, non è la prima volta che ripulisce un mio disastro»
«Non pensi che sia sbagliato far rimediare gli altri di errori commessi da te?», lo ammonisco e lui di tutta risposta mi scruta con la fronte aggrottare e l'aria interrogativa.
«Ripulisco dopo», sbotta immergendosi sott'acqua.
«Ci penso io e gradirei che venissi ad aiutarmi», continuo con tono aspro.
Non so se mi ha sentita, tuttavia, mi dirigo dentro per dare una ripulita al caos che ha creato. Osservo il perimetro della stanza ritrovando quadri staccati dalla parete, vasi rotti e argenteria per terra. Provo ad appendere qualche dipinto ma l'affisso è fin troppo alto, così dopo aver raccolto qualche piatto ancora intatto esco per capire cosa stia facendo.
«Tuo padre quando ritorna?», domando sporgendomi per guardarlo e chiedergli una mano per sistemare.
Di Christian però non c'è traccia, così mi avvio alla piscina.
«Dove sei?», sbuffo pensando che sia sgattaiolato chissà dove lontano da me.
Rivedo il mio corpo riflettere ma qualcosa attira la mia attenzione, intravedo qualcuno sul fondo. Sgrano gli occhi e mi accovaccio per vedere meglio.
«Christian», urlo per farmi sentire. 
«Christian che stai facendo?» Grido ancora vedendolo sul fondo della piscina.
Il respiro mi si mozza in gola, ho nuovamente un nodo che si restringe sempre di più e un fuoco divampa dentro di me.
«Christian ti prego non scherzare», mormoro nel panico sfilando velocemente le scarpe; mi getto senza far caso alla pelle d'oca o alla paura che mi assale.
Nuoto nella direzione in cui ho intravisto la sua sagoma, ma oltre ad un ciondolo a forma di tartaruga non riesco a vedere altro.
Riemergo per mancanza d'ossigeno, inspiro ed espiro con forza, tuttavia, qualcosa mi afferra la caviglia e strillo come un'aquila, il suono stridulo che riesco a tirar fuori riecheggia nell'aria facendomi arrabbiare ancora di più.
Voltandomi mi rivolge un  sorrisino beffardo, schiacciandomi l'occhiolino.
«Vaffanculo» strillo strattonandolo e allontanandomi da lui.
«Non ti saresti buttata in acqua altrimenti» ghigna.
«M-mi hai fatta s-spaventare» balbetto trattenendo a stento le lacrime.
Il cuore mi martella nel petto, i muscoli sono intorpiditi, lo stomaco fa male e il nodo alla gola minaccia di farsi sempre più fitto impedendomi di deglutire con facilità.
Mi allontano tentando di uscire da questa dannata piscina ma lui con disinvoltura mi afferra dalla vita impedendomi di muovermi. Mordo il labbro inferiore, mi trattengo chiudendo le palpebre ma i singulti prendono il sopravvento riuscendo a sopraffare corpo e anima.
«No aspetta», fa lui provando a farmi girare.
Non oppongo resistenza, non ho le forze necessarie per andargli contro e adesso tutto quello che ho accumulato nella giornata mi schiaccia; singhiozzo con forza tenendo le palpebre chiuse.
«Fede», sento il suo mormorio impercettibile vicino all'orecchio.
«Perdonami... non pensavo che...» inizia a dire ma non lo lascio terminare.
«Non pensavi che mi sarei spaventata vedendoti sul fondo della piscina? Dopo tutto quello che è successo questa sera pensi che mi metta a pensare che è un tuo stupido capriccio per farmi ammattire?», dico tutto d'un fiato.
«Scusami, penso che alla gente non importi di me o di quello che mi succede, quindi non penso alla gravità delle mie azioni... perdonami, volevo solo rimanessi qui e mi facessi dimenticare di questa brutta notte», confessa accarezzandomi le guance con i pollici.
«Non lo fare mai più», rispondo seria.
«D'accordo» fa lui tirandomi con dolcezza i capelli indietro.
Mi scruta il viso, raccoglie qualche lacrima mescolate dalle gocce d'acqua e sussurra: «Baciami».
Aggrotto la fronte, vorrei farlo più di quanto possa immaginare ma non può pensare che un bacio possa risolvere tutto.
«Le cose non vanno in questo modo Chri, domani mi tratterai di nuovo male e tutto tornerà come prima... non ce la faccio a sopportare ancora questo» balbetto tirando su col naso.
«Tu non mi parli di te, sei scostante e fai questo giochetto... mi baci, poi mi mandi via e dopo ritenti di baciarmi ancora per poi trattarmi male e rifare tutto da capo...»
Socchiude le palpebre, espira come se avesse trattenuto l'aria a lungo.
«La notte mi capita di fare degli incubi» inizia a dire guardando il salotto.
Sto per replicare ma mi blocco percependo il significato della sua frase.
«Incubi dai quali mi sveglio confuso e spesso non capisco dove mi trovo, sono simili ma ogni volta mi travolgono sempre di più e mi creano una sorta di instabilità, ho bisogno di sfogarmi perché la mia mente ritorna lì anche se sono sveglio e rivivo quei momenti per incessanti minuti, a volte il ricordo di quel sogno si protrae per ore. Ho sognato te, ti facevano del male così sono impazzito al risveglio, credevo fosse reale, ti ho chiamata e sentendo la tua voce ho ripreso lucidità ma poi mi sono pentito di averlo fatto perché ho bisogno che tu stia lontana da me e io mi ritrovo ogni volta a infrangere questa promessa...», conclude continuando a guardare tutto tranne che me.
Mi sorreggo a lui, poggio le braccia sulle sue spalle e con le mani trattengo il suo viso, accarezzo le sue guance calde, dopodiché, avvicino le mie labbra al suo viso stampandogli un bacio furtivo sullo zigomo.
«Da quanto li fai questi incubi?» Chiedo sperando di non essere troppo invadente.
«Da quando ho sei anni» risponde e il mio cuore subisce un fallo.
Pensare ad un piccolo Christian, sorridente che nel cuore della notte viene strappato dalla sua ingenuità e gli viene donato un mondo pieno di odio e sofferenza, mi uccide.
«Sono sempre uguali?», domando ricordando che Marco faceva anche degli incubi su quello che ha visto.
Annuisce rilasciando piccoli sospiri dalle labbra, è qualcosa di estremamente complicato per lui, riesco a leggergli negli occhi la paura di ricordare ma soprattutto di raccontarsi.
«Anche Marco li faceva spesso, era sempre quello ma a volte la sua mente inseriva particolari che lo facevano svegliare nella notte, urlando» confesso continuando ad accarezzare il suo viso.
Abbozza un sorriso stampandomi un bacio sulla fronte.
«Mi dispiace per quello che ti è successo»
«A volte ci sono situazioni inevitabili che ci fanno cambiare e spesso ci fanno sentire in colpa. Mi sono odiata per molto tempo, perché Marco non era più il bambino felice che amavo vedere scorrazzare per casa e ancora oggi capita che la notte sogna quell'incidente, e mi chiedo perché proprio a lui, proprio a me... a noi. Ma non c'è una vera risposta, possiamo però evitare di autocommiserarci, ormai non si torna più indietro. Quello che dovremmo fare è migliore il più possibile, cercare di rimediare e aiutare al danno fatto.»
«Come pensi che Marco possa dimenticare?»
«Non può, ci saranno sempre dei momenti in cui ricorderà quel giorno ma io sarò lì ad aiutarlo, a sostenerlo e ad alleviare il dolore che prova.»
Mi attira a sé, poggiando la testa nell'incavo del mio collo e sussurrando: «È fortunato ad averti».
«Lui non è l'unica persona che voglio aiutare e può avermi nella sua vita» mormoro cercando il suo sguardo.
«Ho vissuto cose che non voglio ricordare, ho fatto degli sbagli Fede e non so se riuscirò mai a perdonarmi per questo, sono qualcosa di irreparabile, sono rotto!» dichiara con voce incrinata.
«Siamo rotti entrambi» gli dico.
«Niente e nessuno è irreparabile» provo a dire ma lui si stacca da me ed esce dalla piscina con agilità.
Mi rivolge un debole sorriso. «Sistemiamo questo disastro», borbotta prima di entrare in casa e lasciarmi in piscina confusa e piena di curiosità che non riuscirò a colmare.

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