Capitolo 35

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FEDERICA

Osservo il cielo colorarsi di rosso e mischiarsi con l'azzurro e il giallo creando una perfetta consonanza. Il tramonto è uno degli spettacoli più belli che la natura ci ha donato, ed io da brava sognatrice lo amo da impazzire. Sono ammaliata dalla bellezza con cui i colori riescano a mescolarsi creando un effetto ottico meraviglioso. Il sole sta quasi per tramontare ma ancora ci regala il suo calore scaldandomi la pelle; il verde degli alberi invece crea la giusta combinazione per rendere tutto ancora più magico. Non so dove siamo diretti, la mia curiosità aumenta sempre più, vorrei fargli così tante domande ma al tempo stesso non voglio neanche infastidirlo con la mia insistenza, quindi, sposto la mia attenzione su ciò che ci circonda.
«Siamo quasi arrivati!», dichiara voltandosi per una frazione di secondo verso di me.
Annuisco ruotando il capo e soffermandomi sulla sua espressione seria ma serena, sul suo viso aleggia un barlume di luce, qualcosa che non riesco appieno a decifrare. Sembra come in conflitto con se stesso, come se non sapesse la giusta via da prendere. Non so cosa voglia significare questo, non so dove mi voglia portare, però, voglio godermi il momento, senza pensare troppo alle conseguenze o rimuginare sul motivo per il quale lo stia facendo. Mi concedo di osservare i lineamenti del suo volto, privo di segni; la mascella definita e curata gli danno un aspetto deciso, enigmatico per certi versi ma seducente. La pelle appena abbronzata mi riconduce alle divinità, ad una bellezza estremamente rara ed ipnotica. Le ciglia lunghe accolgono le iridi verdi, come due smeraldi colorate da venature dorate, con le dita affusolate traccia la linea superiore del naso magro e a punta — un gesto abituale che fa quando è pensieroso o nervoso — le sopracciglia folte e castane, invece, solcano il viso e qualche ciocca di capelli ribelle scivola sulla fronte dandogli anche un aspetto incasinato ma irresistibile. La parte che preferisco però sono le sue labbra, tumide, rosee e piene. Mi perdo scrutando ogni piccolo lineamento, illuminato dal sole che rende davvero l'idea di essere un Dio; una scultura da venerare e osservare con ammirazione. Mordo le mie di labbra quando con la lingua bagna il labbro inferiore, le braccia scoperte rivelano i tatuaggi, rimanendo rapita da quello che ha fatto di recente e mi concentro sul modo in cui me ne ha parlato l'ultima volta. Ho capito che con il disegno lui riesce a comunicare e racchiudere ciò che prova, riesce a buttare fuori le emozioni creando così ciò che ha dentro. Mi incupisco poiché le sfumature di inchiostro sembrano divorare un serpente, non riesco a capirne il nesso. Che ruolo ha lui qui? Si sente il mostro che deve essere divorato dalle fiamme? Oppure è colui che cerca di imprigionare i demoni che distruggono la sua anima?  Ricordo le parole che ha deciso di rivelarmi per decifrarlo: "Non so dare una giusta definizione ma è stato come racchiudere tutto quello che provavo in questo... in quel momento provavo rabbia verso me stesso!"
Cosa lo rende così? Chi lo ha fatto diventare in questo modo? Perché i suoi occhi sembrano cupi e l'anima danneggiata?
È sempre sfuggente e le mie domande diventano sempre di più, ma nessuna di esse hanno una vera risposta, non so quasi nulla di lui, del suo passato, ma sento che c'è qualcosa che ci lega. Mi sento al sicuro fra le sue braccia pur avendo un'incognita su come andranno le cose tra di noi, pur non avendo la certezza di cosa accadrà.
«A cosa pensi?», domanda incrociando i miei occhi con i suoi.
Volto il capo verso il cielo, deglutisco a vuoto lasciando andare un sospiro per trovare le parole, dopodiché, mormoro: «A quanto sia bello il tramonto, sembra un dipinto». Non voglio svelargli i miei veri pensieri semplicemente perché so che non vorrebbe mai parlarmi di quello che io mi chiedo; so che andrebbe sulla difensiva per proteggersi e so che non risponderebbe mai alle mie domande.
Alza gli occhi al cielo per osservarlo, riflette sulla mia affermazione aggrottando la fronte ma, invece, di replicare svolta verso una strada sterrata fermandosi l'attimo dopo informandomi di essere giunti alla nostra destinazione. Questa volta sono io ad essere confusa.
«Devo aspettarmi che tu voglia uccidermi?», scimmiotto guardando il posto circostante.
Mi osserva in silenzio, dopodiché, ruota lo sguardo davanti a noi per ritornare l'istante successivo a osservarmi.
«Non questa volta», ghigna schiacciandomi l'occhiolino.
Con lo sguardo seguo i suoi passi e per la seconda volta mi apre la portiera intimandomi di scendere. È un gesto insolito per uno come lui, ma il mio inconscio mi urla di non cadere in trappola perché con Christian tutto è imprevedibile, e ad una burrasca ne segue un'altra senza darmi il tempo di riprendere fiato rendendomi così inerme e priva di armi.
«Dove siamo?», faccio un giro con lo sguardo del posto e osservo il contrasto degli alberi con il cielo e la strada in terriccio.
«Ancora qualche secondo...», mi dice camminando davanti a me.
«Seguimi», mormora gettandomi un'occhiata per accertarsi di averlo sentito.
Faccio come dice cercando di stargli al passo, ci inoltriamo in una strada che si rimpicciolisce sempre più per via dei cespugli. Percepisco una calma disarmante, il suono degli uccelli rende l'atmosfera placida e cercando di non rovinare al suolo seguo Christian che invece sembra non percepire affatto la mia stessa fatica.
«Sei lenta», mi ammonisce senza voltarsi.
«Sei tu che sei troppo veloce» commento con affanno.
«Devi sbrigarti», brontola deleterio, «non faremo in tempo...», borbotta continuando a mantenere il passo svelto.
«Per cosa?», farfuglio tenendomi il fianco per il dolore.
Non sono allenata e non sono abituata a correre, a differenza sua che pratica sport praticamente ogni giorno.
«Sbrigati», mi intima.
Non mi piace quando mi danno ordini, infatti mi blocco ottenendo l'effetto sperato; Christian si ferma a sua volta spazientito senza però mostrare un briciolo di stanchezza sul volto bellissimo.
«Sono stanca, perché corri? E perché non mi aspetti?», mugugno seccata.
«Dove stiamo andando? Non mi muovo sennò...», lo minaccio continuando a tenermi il fianco dolorante. Non mi importa di sembrare una bambina capricciosa, sono stanca e nervosa.
«Davvero?», proruppe atono.
«Muoviti oppure ti prendo di peso», adesso è lui a minacciarmi e questo mi fa ridere.
«Non lo faresti mai», rido stringendo le braccia al petto.
«Okay, bimba cattiva... l'hai voluto tu», fa prendendosi gioco di me.
Sgrano gli occhi quando avanza repentinamente e arretro di qualche passo.
«No, no, no», strillo portando le mani avanti come per proteggermi.
«Allora sbrigati», tuona alzando le sopracciglia.
Si passa una mano tra i capelli castani, frustrato ma al tempo stesso divertito.
Gli rivolgo uno sguardo truce facendo una smorfia, tuttavia, prima che io possa rendermene conto i suoi occhi sono ad un palmo dal mio naso, mi rivolge un sorrisetto maliardo bisbigliando: «L'hai voluto tu».
Mi ritrovo con il bacino sulla sua spalla sinistra, la testa penzoloni e le sue mani che mi stringono le cosce per sorreggermi.
«Christian mettimi giù», urlo battendo dei pugni sulla sua schiena coperta da una canotta nera.
Ciononostante, i miei schiamazzi sono come una goccia dentro un oceano, infatti senza degnarmi di alcuna considerazione si incammina verso la nostra meta. «Mettimi giù», grido ancora cercando di tenermi dalla sua schiena.
La sua presa è ben salda ma il mio senso di vertigine è piuttosto presente, così gli stringo le braccia intorno alla vita e mi lascio trasportare senza opporre resistenza. Non l'avrei vinta comunque, tanto vale risparmiare queste poche energie rimaste, penso.
«Se non mi metti giù non sai cosa ti succede», sbotto improvvisamente.
Dalle sue labbra esce una risata, una di quelle risate profonde, contagiose e singolari. Quelle che ti entrano nella pelle fino ad arrivare alle ossa e ti rendono completamente priva di sensi.
«Zitta», gongola dandomi una pacca su una natica.
Sto per replicare cercando tutti i dispregiativi che conosco per insultarlo quando lo scroscio di una cascata riceve la mia attenzione, l'odore di ginestra mi riempie i polmoni facendomi dimenticare cosa volevo dire creandomi poi un vuoto al petto e un sorriso sulle labbra.
«Siamo arrivati» cinguetta Christian posandomi delicatamente per terra.
Se non fossi stregata dal posto in cui ci troviamo proverei ad ammonirlo per i modi arroganti con cui si pone, ma la mia rabbia lascia il posto all'ammirazione e di conseguenza il mio cuore fa una giravolta; Christian mi ha appena portata in un posto magnifico. Il verde circonda tutto lo spazio circostante, dinanzi ai miei occhi una cascata finisce dritta in una pozza grande e verde... il lago.
Ai bordi di esso e tutt'intorno tanti alberelli ai nostri piedi contrastano il verde con il colore giallo della ginestra. Inalo a lungo e contemplo il luogo, avvistando a pochi metri da noi una casa.
Tuttavia, anche Christian sembra assorto nell'osservarlo ma percepisco nel suo sguardo qualcosa simile alla malinconia, come se in questo momento stesse rivivendo attimi del passato.
«Vieni», sussurra intrecciando le nostre mani per poi incamminarsi verso il lago.
Una volta arrivati noto che lo specchio d'acqua riprende la nostra figura ed entrambi osserviamo le nostre mani, Christian si sofferma per una frazione di secondo alzando subito dopo lo sguardo verso il cielo, io, invece, non riesco a distogliere gli occhi dalla nostra immagine riflessa.
«Chri», bisbiglio come se qualcuno potesse sentirci.
«Si?», domanda in un sibilo abbassando il suo sguardo sui miei occhi.
Da qui, con il contrasto del verde del lago e degli alberi, le sue iridi riescono ad essere ancora più intensi, ipnotici ed espressivi. Riesco a percepire un dolore ma allo stesso tempo qualcosa che l'ha segnato, come se questo posto fosse tanto importante per lui da causargli un mix di emozioni.
«Dove ci troviamo?», chiedo cercando di non toccare un tasto dolente.
Un suo sospiro mi induce a pensare che di lì a poco la sua ira e la sua strafottenza verrà a bussare alla mia porta ma... dopo attimi di silenzio invece la sua voce profonda mi regala qualcosa di ben diverso di una sfuriata.
«Quando ero piccolo ci venivo spesso qui, in realtà non conoscevo questo posto finché Carlo e Charlotte non mi ci hanno portato. Prima di incontrarli vivevo con mia madre in una zona ben diversa da quella di adesso, poi all'età di sei anni circa mio padre mi ha portato con sé ed io non conoscevo nessuno, Carlo è stato l'unico ad accettarmi per la testa di cazzo che sono...», si ferma per un istante sorridendo forse ad un ricordo con lui, ed io... io mi prendo tutto di questo momento persino i suoi silenzi. Assimilo ogni gesto ed ogni parola, perché Christian in qualche modo adesso mi sta regalando un momento del suo passato e non posso fare altro che ascoltarlo e godermi la pace insieme a lui.
«Venivamo ogni fine settimana e stavamo lì, in quella casa», indica con l'indice lo chalet che avevamo visto poco prima, distante qualche metro da noi in pietre e legno massello.
«Ho passato davvero tanti bei weekend qui, finché il papà di Charlotte... be'... lui è...», mormora e non riesce a concludere la frase.
Ricordo il giorno in cui Charlotte ha deciso di raccontarmi del suo papà, dopo la mia confessione sulla cicatrice la sua paura di ammettere che avesse un padre decisamente diverso dal mio l'ha spaventata ma sapevo che gli eroi esistevano, che non erano solo nelle favole, ma non mi aspettavo che anche gli eroi volassero via per colpa di un destino crudele, per colpa di qualcosa più grande di noi. È stato straziante guardare il suo viso grondante di lacrime mentre mi raccontava di come avessero scoperto della morte di suo padre. Erano esattamente qui, al lago... lei, Carlo e Christian e aspettavano che quel pomeriggio Filippo Milani li raggiungesse; ma le ore passavano e lui sembrava non arrivare mai. Poco tempo prima avevano scoperto che avesse il cancro, quindi, la paura di poterlo perdere era già in atto ma nulla è stato paragonabile a ciò che ha provato nel momento in cui ha ricevuto una sua chiamata, dall'altra parte però c'era un poliziotto e non suo padre, la informava che Filippo aveva avuto un'incidente. Il padre di Christian li ha portati in ospedale ma purtroppo era troppo tardi, peccato che il suo eroe era già volato via, però come ogni supereroe in una favola prima di andarsene aveva lasciato qualcosa che avrebbe salvato Charlotte e Carlo. Aveva, infatti, lasciato delle lettere per loro e gli aveva chiesto di non smettere mai di sorridere ma soprattutto di non dimenticarlo.
«Me ne ha parlato» lo precedo per non fargli pronunciare quella parola che farebbe rabbrividire chiunque e scaccio via le lacrime che hanno bagnato già gli angoli degli occhi.
«Era uno stronzo suo padre sai», mi dice abbozzando un sorriso fissando dinanzi a sé, «Ma uno di quelli che lasciano il segno, che non riesci ad odiare perché sono troppo buoni, troppo sinceri e hanno un buon cuore», continua scuotendo appena la testa come se non si desse pace.
Appoggio la fronte sul suo braccio e con il pollice carezzo il palmo della sua mano, non mi respinge, anzi, si fa consolare senza proferire parola. Riesco a percepire il dolore e il vuoto che ha lasciato quest'uomo, avrei tanto voluto conoscerlo. Avrei voluto passare con loro momenti in questo luogo magico.
«Non ci venite più?», azzardo fissando lo specchio d'acqua.
«No», mormora.
«Ogni tanto ci viene Lea, la mamma di Charlotte, per tenere pulito il posto ma noi non ci veniamo da quel giorno anche se lei ci prega di farlo», spiega tenendo gli occhi puntati in un punto imprecisato.
Vorrei colmare il vuoto che sente, ma l'unica cosa che posso fare adesso è assimilare il suo dolore e farlo mio.
«Vieni con me», esordisce improvvisamente trascinandomi verso la casa.
Scioglie il nostro contatto per prendere una chiave posizionata nel foro del muro sotto una pietra. Mi carezzo la mano captando ancora il suo tocco addosso, ricongiungerei il nostro contatto ma non so come reagirebbe così evito di rovinare il momento e mi lascio condurre nella casa che incombe nel buio. L'odore di chiuso è palpabile ma non mi ci soffermo perché Christian mi chiede ancora una volta di seguirlo. Facciamo delle scale nel completo buio e cerco di stare attenta a non incespicare e rovinare al suolo tenendomi dal corrimano in legno. Saliamo quattro rampe, per poi aprire un'altra porta che dà sul lago. Ci metto qualche secondo ad abituarmi di nuovo alla luce quando la visione del tramonto mi lascia senza parole. Entro sul terrazzo che da una prospettiva di quasi tutto il luogo, lo chalet è al centro dandoci la giusta prospettiva di tutto.
Poggio le mani sulla ringhiera fredda e alzo lo sguardo verso il cielo. La luce rossa, arancione e gialla del sole viene influenzata solo in minima parte dalla presenza dell'aria. Al contrario, la luce blu è diffusa in tutte le direzioni. In qualunque direzione si osservi, parte di questa luce giunge ai nostri occhi dando l'immagine di un vero quadro. Schiudo le labbra e mi lascio scompigliare i capelli dal venticello che fa muovere appena le foglie verdi degli alberi, l'odore di ginestra arriva dritta sulla pelle e lo scroscio dell'acqua mi dona calma e pace. Una pace mai provata, una pace rievocata e mai avuta, qualcosa che si può provare davvero di rado ma rimane impressa nella mente per sempre.
«È bellissimo» mormoro a Christian che si trova a pochi passi da me.
I miei occhi sognanti si spostano su di lui che da quando abbiamo varcato la soglia del terrazzo non ha più fiatato. Mi sta osservando con quell'espressione che mi manda in pappa il cervello, ogni muscolo si estende e il respiro inizia a mancare. «Si...», sussurra continuando a fissarmi, «...bellissimo», sibila leccandosi il labbro inferiore.
Lo faccio a mia volta e tutto ciò che ci circonda si ferma, per poi concentrarsi su di noi. Il verde dei suoi occhi si mescola al mio azzurro, i nostri corpi si cercano e le nostre anime si bramano. Si avvicina a me facendo dei piccoli passi, ma continuando a fissarmi la bocca per poi ritornare agli occhi per poi ritornare ancora una volta sulla mia bocca. Con l'indice percorre la mia mano, il mio braccio per poi arrivare al collo e affondare tutta la mano nei capelli. L'altra, invece, la porta dietro la mia schiena cancellando completamente lo spazio che ci separava; il mio petto ad ogni respiro aderisce perfettamente al suo addome impedendomi quasi di respirare per le emozioni che riesce a scaturire questo semplice contatto.
«Bellissimo», sussurra ancora guardando le mie labbra.
Poso le mani fredde sui suoi avambracci tracciando dei piccoli cerchi con i pollici. «Perché con te provo tutto questo?» sibila aggrottando la fronte e sospirando forse non capacitandosi dei sentimenti che stanno nascendo dentro di lui.
Tuttavia, non riesco a formulare una frase di senso compiuto, sembra che non riesca più a trovare neanche una parola da pronunciare. Anche lui sta provando le mie stesse sensazioni? Anche lui percepisce i brividi che scorrono lungo la mia schiena ad ogni contatto? Persino il suo profumo mi crea caos.
Il suo odore di muschio si fonde col mio di vaniglia, sento la pelle d'oca in tutto il corpo e istintivamente mi alzo sulle punte per arrivargli almeno al torace. I miei polpastrelli scivolano fino alle spalle larghe e solenni, cerco di sostenermi mentre lui continua a accarezzare la mia schiena creando un fremito al basso ventre. Mi attira a sé ed io sposto le dita dietro la nuca mentre i nostri respiri si confondono per diventarne uno soltanto; la punta del naso sfiora la sua, avverto il suoi respiri carezzarmi le labbra infatti non appena il calore della sua bocca assapora la mia mi invade una voragine all'inizio dello stomaco che cerca di risucchiare tutto. Avverto lo scompiglio nel petto, il cuore comincia a battere tanto forte da percepirlo attraverso le labbra e diffondersi nel resto del corpo. Tutto sembra girare nel verso giusto, il nostro bacio si trasforma in qualcosa di più, abbiamo bisogno entrambi di andare oltre. Il suo cuore batte forte tanto quanto il mio, percepisco attraverso la sua pelle il desiderio che prova, l'eccitazione preme sul mio bacino facendomi intuire quanto sia pronto, la paura nell'affrontare quel passo svanisce e se fossi di poco più sfrontata glielo farei capire.
Succhia il mio collo lasciando dei baci bagnati sulle clavicole, cerco tuttavia di trattenere un gemito ma è come se una forza superiore mi impedisse di resistergli. Infilo le mani nei suoi capelli arruffati e li strattono appena, quando un fuoco divampa nella schiena facendomi perdere i sensi, il controllo di me stessa. Il cielo ormai ha perso i colori accesi del tramonto lasciando spazio ad un blu notte che piano piano diventa sempre più scuro. L'aria si è raffreddata ma il calore che emana il suo corpo ancora mi stordisce impedendomi di sentire il freddo.
«Christian», cerco di dire tra un sospiro e l'altro.
«Dovremmo fermarci, lo so» borbotta continuando a baciarmi il collo.
«Non voglio fermarmi» ammetto cercando di coprire il rossore che incendia le mie guance.
Si scosta appena corrugando la fronte, col fiato corto e le labbra gonfie e tumide
sussurra: «Cosa?».
«Non...voglio...» provo a ripetere ma le parole rimangono bloccate in gola.
Sento il bisogno delle sue labbra su di me, questo distacco mi infastidisce, anche lui sembra voler continuare perché continua a fissarmi le labbra, infatti come se mi avesse letto nella mente sibila: «Andiamo di sotto».
Mi conduce alle scale, e nel completo buio provo a non inciampare nei miei stessi passi. Ho il cuore in gola e la testa sembra essere racchiusa in una bolla, l'unico elemento che ci unisce sono le nostre mani, calde; da lì parte un fremito che accende tutto il mio corpo. Percorriamo un corridoio che presenta ai lati diverse porte chiuse e Christian si sofferma sull'ultima, con un gesto veloce mi fa girare facendomi poggiare la schiena contro il legno freddo, le sue mani si posizionano ai lati della mia testa mentre gli occhi mi fissano con desiderio.
«Sicura?», sibila, facendomi capire al volo cosa vuole intendere.
Deglutisco a vuoto e inchiodo il mio azzurro nel suo smeraldo, tuttavia annuisco prendendo il labbro inferiore tra i denti e lasciandomi sfuggire un sospiro.
Christian abbozza un sorriso — forse per la mia espressione quasi impaurita —, dopodiché, scosta una mano fino alle mie labbra costringendomi a mollare la presa sul mio labbro e accarezzandolo l'attimo dopo con il pollice.
«Fede devi essere sicura, non puoi più tornare indietro», esordisce continuando a sfiorare la mia bocca.
I nostri respiri si uniscono, il suo volto è a pochi centimetri dal mio.
«Sono...sono...sicura», balbetto sentendo un brivido lungo tutta la spina dorsale.
Il cuore minaccia di uscirmi dal petto, e credo che lo percepisca anche Christian. Lo voglio più che mai, e questo tempo trascorso inutilmente mi sta infastidendo. Prendo in mano la situazione provando a dissaldarmi dalla porta e avvolgendo le braccia intorno alla sua nuca, ma lui essendo più veloce e forte mi posiziona le braccia sulla testa tenendomi i polsi con una sola mano mentre l'altra l'avvolge intorno al bacino. «Non avere fretta, piccola! Devo essere sicuro che tu non ti penta di quello che stiamo per fare».
«Christian» mormoro, «sono sicura di quello che voglio», continuo fissando i suoi occhi luccicanti, «e adesso quello che voglio...», sospiro prendendo un attimo di fiato poi come se qualcuno mi avesse strappato le parole dal petto dico: «Sei tu».
I suoi occhi si trasformano in un misto di desiderio, frustrazione, passione, fregola e lussuria. Mi agguanta i capelli sciogliendo la presa sui miei polsi e portandola successivamente sulla mia schiena attirandomi a sé, sembra una richiesta di aiuto, come se avesse bisogno di colmare un vuoto. Le sue labbra premono sulle mie con forza ed io gli avvolgo le braccia intorno alle spalle per assecondare il suo desiderio. Mi lascio sfuggire un gemito quando Christian comincia a succhiarmi il labbro inferiore, maneggia senza staccarsi da me con la chiave della porta facendoci piombare poco dopo dentro la stanza. La luce prende vita dentro il vano facendomi avere per pochi attimi l'attenzione sull'arredamento in legno. Indietreggio fino ad arrivare al letto a baldacchino, che riempie l'ambiente, mi fermo quando le gambe colpiscono il materasso e il cuore mi martella nel petto. Fisso il suo torace andare su e giù in maniera regolare e mi chiedo come riesca ad avere il controllo di se stesso. Con l'indice mi costringe ad alzare il volto e incrociare così i nostri sguardi. Gli occhi mi chiedono il permesso di andare oltre ed io annuisco trattenendo il fiato. Christian mi osserva tutta, con le dita manda i capelli indietro facendomi scoprire il collo. I miei brividi sono visibili sulla pelle, lo percepisco dal suo sguardo. Deglutisco a vuoto e schiudo le labbra per incamerare aria. Il suo tocco scivola dal collo alla scollatura della camicetta, traccia una scia di tutti i bottoni costringendomi a fare un sospiro non appena comincia a sbottonarli. Si morde le labbra alla vista del mio reggiseno color panna in pizzo, ma prosegue verso la sua missione di levarmi la camicetta di dosso. Non la sfila, concentrandosi invece sui jeans. Sfiora gli estremi facendomi sussultare quando accarezza i fianchi, provo a mantenere la calma e mandare via questa sensazione di vuoto ma non appena prova ad abbassare la zip lo blocco.
«Aspetta», sussurro, sentendomi improvvisamente inadatta e a disagio.
Il mio corpo prende a tremare e l'aria comincia a mancare, guardo in tutte le direzione ma non lui, che sembra preoccupato dalla mia reazione. Vorrei dirgli che non è colpa sua, che è soltanto colpa mia e della mia infanzia ma l'unica cosa che mi riesce meglio è socchiudere gli occhi e cominciare a singhiozzare come una ragazzina. Probabilmente mi prenderà per una bambina capricciosa ma non mi importa, non riesco a controllare i miei istinti e l'agitazione inizia a sopraffarmi a tal punto da impedirmi di trattenere la frustrazione che provo. Non sarò mai come le altre ragazze, non sarò come lui mi vuole.
«Fede», prova a richiamare la mia attenzione mentre i singulti diventando sempre più violenti.
Scuoto la testa dandogli le spalle, le palpebre sigillate e un nodo alla gola mi soffoca. «Ho sbagliato qualcosa?», mi chiede in un mormorio.
«No», singhiozzo, «sono io quella sbagliata» dichiaro espirando.
Le sue mani grandi e calde si poggiano sulle mie spalle e la mia schiena preme contro il suo petto.
«Se non sei pronta non dobbiamo affrettare le cose, non devi piangere, non importa! Posso aspettare», mi consola con voce profonda e rassicurante.
Non l'ho mai visto così comprensivo, sembra di avere davanti un Christian completamente diverso da solito. Un Christian che non ho mai avuto il piacere di conoscere ma che mi fa capire quanto lui sia diverso da ciò che mostra.
«Non sarò mai quello che vuoi, non sarò mai come le altre», ribadisco con voce rotta. «Io non voglio che tu sia come le altre», esordisce costringendo a voltarmi verso di lui.
«Tu sei tutto quello che voglio, sei diversa da ogni altra ragazza che ho conosciuto e questo mi piace», mormora asciugandomi una lacrima sul viso arrossato.
Mi oltrepassa sedendosi sulle lenzuola color porpora e panna, e indicandomi di avvicinarmi a lui. Mi posiziono fra le sue gambe con ancora la camicetta sbottonata e l'insicurezza addosso.
«Di cosa hai paura?», domanda fissandomi negli occhi.
Mi prendo del tempo per pensarci, dopodiché, ammetto a me stessa che la mia paura non è singolare. Non ho paura di qualcosa, ho paura sì, ho paura di tutto.
«Ho paura di qualsiasi cosa, ho paura di piacere, di non piacere. Di essere di troppo, di non essere abbastanza. Ho paura persino di dire la cosa sbagliata o di fare qualcosa che possa far soffrire gli altri, ho paura delle mie insicurezze e ho il terrore che le persone a cui voglio bene possano stancarsi di me», ammetto facendo scorrere le lacrime sulle guance.
«Io non mi stancherei mai di te», dice pensandoci su.
«Perché ti importa ciò che dice la gente? Vivi per ciò che ami e smettila di dar peso alle paure. Pensi di non potermi piacere? Davvero?», domanda abbozzando un sorriso privo di malizia.
«Se ti mostrassi le mie insicurezze forse non ti piacerei più, e guarda sono un disastro ho già rovinato il momento per le mie paure», sibilo tirando su col naso e toccandomi con una mano il fianco sinistro.
La mia cicatrice è sempre stata la mia insicurezza più grande, ho paura di mostrarla perché gli altri potrebbero farmi domande su di essa ed io non saprei come giustificarla. Mi sento tremendamente a disagio quando mi guardano come se avessi qualcosa che non va, come se mi biasimassero o peggio mi comprendessero per ciò che ho passato. Non voglio che gli altri mi vedano come qualcuno da salvare, perché non appena le persone mi identificano come diversa, automaticamente, inizieranno a trattarmi da tale. Sfiora con i polpastrelli le mie nocche e con lo sguardo mi chiede il permesso; senza rispondere abbasso la mano dandogli il via libera di poterla vedere. Deglutisco ancora una volta e alzo gli occhi al cielo, la stoffa dei jeans si abbassa insieme agli slip e chiudo gli occhi stringendo i denti come se potesse fare male un contatto.
Il mio petto va su e giù in modo irregolare, Christian però non parla, non dice nulla, non riesco a percepire neanche il suo respiro. Schiudo con timore gli occhi, abbassando appena lo sguardo e ritrovando il suo viso rivolto verso la cicatrice. Ha un sorriso sul viso, non è uno di quei sorrisi maliziosi o cattivi, ma neanche uno di quelli che ti fanno sentire sbagliata, invece è uno che sussurra: va bene, così. Non c'è niente che non vada in te.
Nessuno ha mai avuto il privilegio — se così potrei definirlo — di poterla toccare, sfiorare o semplicemente vedere ma Christian, be' lui, non mi fa sentire il peso di questo macigno addosso. È come se fosse quasi normale, oppure invisibile ai suoi occhi. Sussulto quando sfiora l'estremità della ferita e mi aspetto di avere i ricordi che sopraggiungano nella mente, dandomi la percezione di rivivere ancora una volta quel momento; ma l'unica cosa che adesso riesco a pensare è al modo così dolce e delicato con cui tenta di farmi sentire meglio e non fuori posto. Con le labbra si avvicina al mio fianco, stampandomi un bacio sulla pelle. Un brivido percorre tutta la schiena, ma non voglio che smetta così porto le mani ai capelli accarezzando lentamente le sue ciocche dorate. Sento la curvatura delle labbra trasformarsi in un sorriso, e il mio cuore subisce una capovolta, facendomi sfuggire un ansito seguito da un sorriso timido. Christian continua a baciare il mio ventre portando le mani dietro le mie gambe carezzandole lentamente, tuttavia, il mio bisogno di averlo a stretto contatto diventa più esigente così mi sposto in avanti mettendo un ginocchio sul materasso morbido. Mi stampa un bacio furtivo sul tessuto del reggiseno prima di farmi mettere a cavalcioni su di lui, dopodiché, si sfila la canotta nera rivelando il suo torace definito e bronzeo. Le mie dita percorrono le sue braccia fino ad arrivare alle spalle larghe, mentre lui affonda il viso nell'incavo del mio collo dando inizio ad una vera e propria tortura. Percorre una scia di baci bagnati fino al seno, per poi soffermarsi sul pizzo del reggiseno bianco. Mugola passando la lingua sulla parte superiore del mio seno e cacciandomi così un ansito strozzato. Conficco le unghie nella schiena, provando a muovere il bacino lentamente verso di lui.
«Fede, rallenta! Ti prego», mormora tenendo la bocca sul mio seno.
«Oh... scusa», balbetto sentendo un fuoco divampare fino alla cima dei capelli.
«Non devi scusarti, ma se fai così non riuscirò a controllarmi», ammette incrociando per un attimo i miei occhi.
Annuisco inalando a lungo e provando a godermi le sue carezze, tuttavia mi sfila la camicetta gettandola per terra, staccando subito dopo i gancetti lascia cadere anche il reggiseno.
Sospiro mentre lui osserva e accarezza la mia pelle bianco latte, dopodiché, avvicina le sue labbra al capezzolo sinistro e mordicchiandolo mi caccia un sussulto sorpreso. «Sei sensibile», commenta con un ghigno divertito.
Alterna il suo gioco da un seno all'altro, facendomi mancare l'uso della parola.
Mi stuzzica senza ritegno e così facendo i miei gemiti divengono incontrollabili.
«Christian», provo a dire muovendo il bacino sulla sua erezione.
I nostri jeans sfregano, esattamente come la nostra eccitazione, muovo il bacino lentamente su di lui e lo sento imprecare prima di capovolgermi sul letto e posizionarsi fra le mie gambe. Si sorregge sulle braccia alternando lo sguardo dal seno alle mie labbra, lecca le sue, poi prima di avvicinarsi e stampandomi un bacio casto e bagnato dice: «Non si torna più indietro».
Percorre di nuovo la mia pancia fino ad arrivare ai jeans, scende la zip e alzo il bacino per aiutarlo a sfilarli, li getta per terra insieme alle mie scarpe. Le mie mutandine sono simili al reggiseno, bianche col pizzo sull'orlo e un piccolo fiocchetto al centro. Lo sfiora con le dita, «carino», commenta sogghignando.
Alzo gli occhi al cielo e mordo le labbra per l'imbarazzo, tuttavia la sua bocca si avvicina proprio sul mio punto sensibile stampandoci un lieve bacio, dopodiché, accarezza l'orlo delle mutandine infilando la mano calda nella mia intimità.
«Sei pronta per me», fa sfiorando il mio pube con le dita.
Socchiudo gli occhi e mi lascio lambire, avverto il sangue pulsare proprio lì, dove la sua mano mi regala delle carezze.
«Rilassati», mi dice all'orecchio prendendo subito dopo il lobo fra i denti.
«Non pensare troppo», continua disegnando dei cerchi nel mio punto sensibile.
Muovo il bacino andandogli incontro e assecondando le sue dita mi lascio andare.
«Sei stretta», commenta infilando un dito dentro di me.
«La tua prima volta sono io», dichiara baciandomi la clavicola percependo un pizzico di soddisfazione nel tono della voce.
Le sue carezze diventano più veloci e il movimento circolare, sento accrescere l'eccitazione. Schiudo la bocca respirando velocemente per assorbire aria, Christian continua a muovere le dita prima lentamente velocizza il ritmo facendomi mancare terreno.
«Non venire», mi dice sfilando subito dopo la mano.
Porta due dita alla bocca assaporandomi, dopodiché, avvicina le sue labbra alle mie sibilando: «Senti che buon gusto», mi bacia con ardore.
Le nostre lingue si cercano, vanno all'unisono, gli avvolgo le braccia intorno alle spalle assaporando sia il mio che il suo sapore.
«Fede» geme sulla mia bocca.
«Mhhh», faccio non riuscendo a fermarmi.
Tenendo ancora la sua bocca sulla mia prova a sfilarsi i jeans insieme ai boxer, li abbassa fino alle ginocchia e si solleva per prendere qualcosa dalla tasca. Cerco in tutti i modi di non fissare la sua intimità, concentrandomi invece sulla bustina argentea che strappa con i denti. Seguo i suoi movimenti bloccandomi però sulla sua espressione seria quando tenta di inserire il preservativo. Non sapevo come sarebbe stata la mia prima volta, ma decisamente non mi aspettavo che fosse così. Non mi sono mai aspettata niente di tutto ciò, forse supera le mie aspettative, supera la mia immaginazione anche perché ho scoperto che la realtà è molto meglio.
«Se ti faccio male, fermami», mi dice in un sussurro stampandomi un bacio veloce sulle labbra.
Annuisco percependo ogni muscolo estendersi al suono della sua voce profonda, rauca ed estremamente seducente. Scivola le dita lungo il mio corpo, causandomi dei brividi. Tuttavia socchiudo gli occhi quando mi sfila gli slip e prima di fare qualunque cosa si prende qualche secondo per osservarmi. Provo a stringere appena le gambe, sentendo tutto divampare, ma soprattutto mi concentro ovunque tranne che sui suoi occhi. Il suo respiro ritorna a farmi visita, insieme al suo sguardo indagatore; «Smettila di coprirti, non vergognarti di te con me», esordisce al mio orecchio baciandomi sotto il lobo. Vorrei poter essere più sciolta e dedicargli qualche attenzione, essere più disinvolta ma in realtà sono agitata e le mie mani sudate lo constatano. Rimane con i gomiti appoggiati alle estremità della mia testa, si morde le labbra guardandomi la bocca, dopodiché, la sua mano sparisce tra i nostri corpi percependola l'attimo dopo tra le nostre intimità. In un baleno il mio respiro si mozza, percependo qualcosa di ingombrante fra le cosce per poi sparire dentro di me. Lascio andare un sospiro, chiudendo le palpebre. Un lieve dolore prende piede al centro del mio ventre, ma piano piano svanisce dandomi una sensazione di fastidio, mi muovo appena sotto di lui per accoglierlo.
«Fa male?», domanda fissandomi negli occhi.
Scuoto la testa mentre il suo bacino prende lentamente a muoversi verso di me, il fastidio si mischia all'eccitazione creando qualcosa mai provata. Alzo di poco il ventre per accogliere le spinte calcolate; si sta controllando, lo capisco dall'espressione seria che aleggia sul viso.
«Guardami», dice quando provo ad alzare lo sguardo verso il soffitto.
Mi soffermo sul suo verde intenso, come una foresta ma soprattutto mi concentro sulle venature di un color dorato che finisce per perdersi nel nero della pupilla. Lo specchio dell'anima, la porta d'accesso per scoprire cosa si cela nell'anima di Christian. Le spinte diventano più esigenti, come se avesse capito che i miei pensieri sono andati oltre il sesso, ma adesso contemplano a far partecipare l'anima, quindi, a trasformarlo in amore.
«Non smettere di guardarmi», sussurra leccandosi le labbra.
Aggrotto la fronte quando il fuoco divampa ancora una volta partendo adesso dal nostro ventre, dalla nostra congiunzione. I respiri si intensificano, il petto va su e giù in modo irregolare, tutto ci circonda e schiudo le labbra assorbendo il suo calore. Comincio a muovermi all'unisono col suo corpo, percepisco tutto come se si fosse amplificato, le sue dita intrecciano le mie, i nostri occhi si richiamano. Mi lascio sfuggire dei gemiti quando percepisco un senso di fastidio proprio .
«Devo fermarmi?», mi chiede con un po' di affanno nella voce rauca.
«No» riesco a dire tra un sospiro e l'altro.
I nostri corpi combaciano alla perfezione, esattamente come le nostre bocche che adesso si cercano. Alzo appena la testa assaporando la sua bocca carnosa, asseconda il mio desiderio, leccandomi il labbro inferiore con la lingua, i movimenti diventano più esigenti, l'eccitazione accresce, le lingue si uniscono con passione. Mi aggrappo alle lenzuola stringendole a pugno fra le mani, non riesco a controllare gli ansiti che adesso si mescolano con i suoi respiri affannosi. Avverto qualcosa partire al centro del petto e propagarsi fino alle punte dei piedi, le mie gambe si irrigidiscono improvvisamente — come quella volta che mi ha carezzato il pube — il corpo prende a tremare sotto al suo, gli avvolgo la schiena con le braccia conficcando le unghie nella pelle bronzea mentre le spinte diventano sempre più veloci ma ancora controllate, per qualche secondo la vista si annebbia facendomi schiudere le labbra per assaporare l'orgasmo. Stringo le cosce attorno alla sua vita inclinando la testa verso il soffitto, Christian si irrigidisce dopo altre tre, quattro spinte lasciandosi andare sul mio corpo nudo e sudato. I nostri respiri diventano l'unico elemento percepibile nella stanza, rimaniamo in questo modo per un tempo indefinito, i corpi appagati e sudati, le menti che provano pace e i pensieri che sono volati via lasciando il posto alla quiete, una quiete forse apparente ma così bella che mi ci potrei abituare.

La Forma del DestinoWhere stories live. Discover now