Capitolo 63

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CHRISTIAN

Vorrei concedermi un momento per pensare, per salvarla. Tutte le mie paure si sono palesate e racchiuse in un fottuto momento, l'ho distrutta.
Quello sguardo, quelle lacrime, il suo blu mare era spento e tutto per causa mia.
Quel giorno cercato di starle lontano per tutto il tempo, perché dovevo capire cosa fare, come spiegarle di Nicole, di come sono incasinato; come cazzo ha fatto a conoscerla? Sa tutto? O forse Nicole ha scoperto di lei, vendicandosi di me? Per questo si è allontanata da me?
Charlotte dice che lei non è a conoscenza di niente, dice che devo spiegarle tutto se la rivoglio nella mia vita; è arrivata la resa dei conti, quella vera. Ma a che prezzo devo svuotare il sacco sapendo che non la riavrò mai più? Chi vuole stare con un mostro? O una vittima? Non mi guarderebbe in faccia, soprattutto dopo aver conosciuto la mia anima. Ho paura, si cazzo ho paura. Cosa mi sta facendo? Perché non riesco a fregarmene? Perché la sogno e la penso ogni istante della mia esistenza, rivivendo ogni attimo in cui l'ho allontanata per poi riprenderla, e adesso, per colpa di Luana lei è andata via da me. Davvero.
Quello che è successo durante la festa è a tratti ironico e bizzarro, poiché Federica ha visto solo la parte sbagliata di tutto. Ho preso a cazzotti Stefano perché si era permesso di parlare di lei, si era dato il diritto di utilizzare dei dispregiativi mediocri per parlare di quella dea dagli occhi color oceano; e Luana d'altro canto continuava a parlarmi di quanto fossi diventato debole da quando è arrivata lei. Ma Federica non ha visto ne sentito cosa cercavo di dire, ha solo dato le sue conclusioni attraverso quello squallido bacio. L'ho delusa, ancora una volta. Non riesce neanche a incrociare il mio sguardo, senza piangere o disgustarsi. Si, come tutti d'altronde. Arrivo a far disgustare gli altri quando mi guardano, eppure lei mi aveva promesso di non andare via dalla mia vita, ci eravamo promessi di continua a lottare. Lottare per qualcosa che non so neanche definire.
Ho paura di utilizzare la parola amore, perché tutto ciò che mi riconduce a quel sentimento è sporco, privo di vita ma se dovessi darle un'accezione diversa, io utilizzerei lei per definire l'amore. La sua purezza, la sua determinazione, la sua bontà, la sua bellezza, la sua testardaggine, il suo essere sbadata, il suo modo di guardarmi. Io direi che l'amore è Federica, in tutta la sua essenza.
Prendo a pugni il sacco ormai da tre giorni e non riesco a mandare via la frustrazione, la rabbia, non riesco a liberarmi di questa sensazione di dolore e vuoto e sporco. Un qualcosa a cui non so dargli un nome eppure fa male, ed è fastidioso e non mi fa respirare.
Mi ha mandato via, mi ha fatto capire di aver smesso di lottare e forse ha fatto bene, ha fatto più che bene ed io devo accettarlo, lasciarla andare e smettere di ricorrere qualcosa che non riavrò più. Ho ricercato questo suo allontanamento da quando l'ho conosciuta e adesso l'ho ottenuto davvero, senza mezze misure. Del tutto. Lei non vuole più vedermi, né sentirmi parlare, né avermi accanto. Non devo sforzarmi di nasconderle di Nicole e del mio passato, non devo farle conoscere il bambino traumatizzato e l'adolescente incasinato, perché lei ha visto il mostro ed è scappata. Così la salverò, eppure la mia mente elabora tutto l'opposto di quello che mi dico, di quello che mi convinco.
La mia mente cerca modi per farle capire che c'è tempo, per farle conoscere chi sono.  Una piccola parte, — un brandello direi — dentro di me mi spinge a lottare per raccontarle tutto. Voglio che conosca ogni sfumatura del mio cuore ma ho paura che mi giudichi, ho paura che mi veda nelle mie vere sembianze. Impaurito, e poi, un mostro.
«Ti stai spaccando le nocche» la voce del mio amico risuona nella stanza in cui sto da giorni.
Non ribatto, continuo a colpire perché la frustrazione, almeno apparentemente, si allevia ad ogni pugno.
«E non mangi da giorni», continua e so già che se voltassi il capo, lo ritroverei poggiato alla porta ad osservarmi, con la fronte aggrottata e l'aria seriosa.
«Non ti ho chiesto nulla!», lo provoco senza guardarlo. 
«Brutta testa di cazzo, se sono qui è per aiutarti... dato che fai sempre cazzate!» Sbotta avvicinandosi di qualche passo.
«Non ti ho chiesto nulla, non ho bisogno dell'aiuto di nessuno», ripeto privo di espressione.
«Devi smetterla» fa ancora avvicinandosi.
«Sennò cosa? Vuoi picchiarmi?» Continuo.
«So che ti importa!» Insiste ritrovandosi ad un passo da me.
«Non mi importa di nessuno, levati dal cazzo» urlo furibondo colpendo il sacco con forza.
Sto per sferrare un altro cazzotto quando improvvisamente lo sposta parandosi lui; lo schivo di un soffio, il cuore prende a martellarmi il petto, arriva in gola, mi ritraggo come se fossi davanti un precipizio.
«Cosa cazzo fai Carlo? Potevo colpirti» lo ammonisco fissandolo negli occhi.
Lui abbozza un sorriso e sospira. «Non ti importa di nessuno, vero?»
Socchiudo le palpebre, mi sposto passeggiando nervosamente per la stanza.
«Sei pieno di lividi, quelle fasce sono piene di sangue, smettila di torturarti e smettila di convincerti che sei come i demoni del tuo passato», ringhia rimanendo nella stessa posizione mentre io gli giro attorno come un cane randagio ansimante.
Srotolo le fasce, avvertendo le nocche doloranti; questa sensazioni mi aiuta ad alleviare quello che provo dentro di me, più il dolore fisico aumenta meno sento quello emotivo.
Tento di aprire le mani, ma fanno male. Sfioro i tagli che bruciano da impazzire e sospiro cercando di mandare via la sensazione che mi fanno provare.
«Perché non provi a sistemare le cose?» Chiede.
«A che scopo? Non tornerebbe da me ed è meglio così» dico atono, schifato dalla mia immagine riflessa.
Strattono i capelli umidi appiccicati alla fronte, dopodiché, sfilo la maglia madida di sudore e la getto in una cesta che Agnese ha custodito in una parte della sala.
«Se fossi sincero, davvero sincero... lei capirebbe!» Afferma convinto.
«A che scopo?» Alzo il tono.
«Christian devi smetterla, ti avevo avvertito di non metterti in questo casino ma ci sei entrato con tutte le scarpe e ci sei rimasto sotto. Ora non puoi tornare indietro, vi siete fatti male, ma io credevo che ne sarebbe uscita distrutta solo lei, ma evidentemente era davvero diversa come sospettavano tutti, e so che avete provato qualcosa di forte entrambi sennò non staresti così, qualcosa che non hai saputo gestire ma so anche che la ami ancora anche tu...» lo interrompo subito quando dice quella parola.
«Cosa?», ringhio, «amarla? Smettila tu di fare il pappa molle, avete rotto con queste frasi di merda. Non amo Federica, non amo neanche me stesso figurati se sarei capace di amare qualcun altro» Grido adirato.
«Quando lo ammetterai a te stesso allora prova anche a sistemare le cose, ma sii sincero con lei e poi con te. Perdonati e perdonali! Ma smettila di fare il ragazzino Christian, smetti di punirti così... prendi invece il coraggio di accettare che ti sei innamorato di una persona che ti ama più di se stessa.» Conclude addolcendo il tono alla fine del suo discorso.
Rimango fermo ad osservare i suoi movimenti, dopodiché, si sposta all'interno della sala poggiandosi nuovamente alla porta d'ingresso.
Guardo il mio respiro andare su e giù, regolarsi lentamente e ritornare normale.
Sono sconfitto, stanco di lottare contro me stesso.
«Carlo», lo chiamo senza guardarlo in faccia, «come ho fatto a perdere la testa per lei?»
Lui non risponde subito, abbozza un sorriso e mi si avvicina. «Ha visto qualcosa che parte da qui e l'hai vista anche tu in lei», dice poggiandomi l'indice sul petto dove c'è il cuore.
«Come faccio a sistemare le cose?» Domando arreso.
Sospira. «Devi metterti in discussione, deve vederti fragile e accettare di esserlo...devi raccontarle tutto».
«E se mi giudicasse?»
«Lei non lo farà e lo sai anche tu, ma devi dirle tutto... anche di Tommaso, di tua madre etc...».
Osservo i suoi occhi scuri e sinceri; è l'unica persona a sapere davvero tutto di me e non avermi mai guardato con occhi della comprensione o del giudizio. Lui mi ha accettato per quello che sono, anche dopo essere stato per parecchie volte un cazzone.
«Fratello» mormora, «Io sono qui, ti aiuterò a farle capire che hai bisogno di farle conoscere quello che hai dentro».
Scruto i suoi occhi sinceri e lucidi, li osservo bene cercando del marcio che non riesco a trovare, tuttavia, lo abbraccio rimanendo così per un tempo che non so definire. Un tempo che non è mai abbastanza.

La Forma del DestinoNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ