Capitolo 46

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FEDERICA

Schiudo le palpebre sentendo il rumore della pioggia fare da sottofondo al mio risveglio; l'odore di buono mi riempie le narici e ci metto pochi istanti a ricordare che il profumo di muschio che aleggia nella stanza e sul mio corpo e non è frutto della mia immaginazione. Ruoto il capo verso di lui e lo sorprendo a osservarmi con occhi che brillano e un abbozzo di sorriso rivelano una piccola fossetta sulla guancia destra.
«Buongiorno», mi saluta continuando a guardarmi girato su un fianco con la testa poggiata sulla mano per sorreggersi.
Gli rivolgo un sorriso e mi stiracchio tra le lenzuola calde. L'estate sta terminando e nell'aria aleggia già il vento fresco che ci comunica un nuovo inizio, che busserà presto alla nostra porta.
«Hai dormito bene?», scimmiotta leccandosi le labbra.
Annuisco stropicciandomi gli occhi e ruotandomi con tutto il corpo verso di lui.
«Da quanto mi guardi?»
Si rannicchia nelle spalle.
«Mi piace guardarti dormire, sembri ancora più bambina di quanto già lo sei», gongola prendendomi in giro.
Faccio una smorfia e opto per alzarmi ma inevitabilmente mi afferra e mi stringe al suo corpo nudo e caldo. È una sensazione mai provata, emana così tanto calore da potermici abituare a stare fra le sue braccia. Scaccio via questo pensiero in fretta perché l'imprevedibilità di Christian potrebbe mettere a soqquadro ogni piccolo progetto che mi balena in testa, tuttavia, mi stampa un bacio sulla tempia mormorando: «Come ti senti questa mattina?».
Mi muovo per cercare la sensazione fastidiosa della prima volta fra le gambe, ma non percepisco nessun dolore, tuttavia, alzo gli occhi per incrociare i suoi e mi ci perdo per un tempo indefinito.
«Vuoi fare colazione?» Mi domanda con tono seducente.
Dalle mie labbra esce solo un flebile: «Mhh», ripensando alla notte precedente.
Avverto la fronte perlata e i sospiri corti, le emozioni riempirmi tutta, i suoi occhi nei miei e i sussurri che incorniciavano il nostro momento insieme;
«Federica» mi chiama poggiandomi una mano sul ventre sotto le lenzuola.
«Si?»
Le sue carezze mi riportano ancora una volta a ieri, alle sue mani mentre mi stringevano, mi davano piacere e mi facevano sentire come mai in vita mia. Un fremito mi colpisce il basso ventre percependo di nuovo quella scarica tra le gambe, le stringo deglutendo a vuoto. Mi mordo il labbro inferiore quando Christian mi pizzica delicatamente il fianco facendomi il solletico.
Il mio risolino risveglia una sensazione stuzzicante, tuttavia, lui fa scorrere la mano fino ai miei seni e li stringe con decisione, provocandomi un brivido.
«Vuoi qualcosa?» Chiede con la bocca sulla mia.
Istintivamente con la lingua lecco il suo labbro inferiore e il suo sorriso diventa più ampio.
«Oggi siamo desiderosi», commenta con veemenza.
Sospiro facendo un sorriso timido e percependo il calore colorarmi le guance. «Dimmi cosa vuoi» bisbiglia disegnando con l'indice dei cerchi sull'addome che mi provocando la pelle d'oca.
«Ehm...» balbetto spostando lo sguardo sul soffitto.
«Qualcosa che c'entra con questo?»
Mi sfiora la gamba accarezzando l'orlo delle mutandine lilla.
«Mhh» gemo fissando i suoi occhi luccicanti e divertiti.
«Dimmi cosa vuoi Fede» mi canzona continuando a torturarmi.
Mi balenano in mente pensieri peccaminosi ma non riesco a parlare, sorrido timidamente cercando la cosa giusta da dire ma ancora una volta escono dalle mie labbra solo suoni striduli.
«Un bacio?» Mi provoca lui stampandomi uno casto sulla bocca.
Assaporo il bacio e balbetto: «N-non solo», sperando che capisca cosa intendo senza farmi parlare.
Il suo viso è divertito, mi mordo le labbra e sfioro con le dita il suo petto definito. «Cos'altro vuoi piccola?» Mi domanda sfiorandomi ancora una volta il monte di venere.
«Non... ehm...» provo a dire avvertendo le guance in fiamme.
«Hai per caso voglia che ti carezzi?» mi stuzzica con il suo solito modo di fare esplicito da farmi diventare paonazza di vergogna.
Il rossore sulle guance diventa violento e lui se ne accorge perché scoppia a ridere; la sua risata è bellissima, profonda e contagiosa ma adesso che la vergogna mi assale il mio unico pensiero è sparire per la mia inesperienza che mi mette sempre a disagio.
«Cosa hai capito?», fa lui corrucciando divertito la fronte, «intendevo i capelli... vuoi che ti carezzi i capelli?», continua sogghignando.
Sposta la mano sui miei capelli e li scompiglia leggermente trattenendo a stento una risata. Sospiro rumorosamente e alzo gli occhi al cielo scuotendo la testa con disappunto, non sono abituata a questo genere di cose e ancor di più con lui che adesso mi tormenta in questo modo rendendo più catastrofico il mio imbarazzo.
«Non voglio niente» taglio corto e levo la sua mano dalla pancia per alzarmi.
«Dai, stavo scherzando» cinguetta afferrandomi per un braccio.
«Non devi vergognarti di dirmi cosa desideri Fede, voglio che tu riesca a parlarmi senza questa timidezza... dici che non mi approccio al dialogo, adesso possiamo farlo. Impareremo entrambi qualcosa» esordisce schiacciandomi l'occhiolino.
Lo guardo in silenzio, dopodiché gli strattono il braccio e borbotto alzandomi: «Adesso non mi va più, ma possiamo parlare se ti va».
Socchiude le palpebre lasciandosi cadere sul materasso ma dopo alcuni minuti si alza anche lui, nudo e bello da mozzare il fiato. Deglutisco a fatica e rimango con la bocca semi aperta e l'espressione da ebete stampata in faccia mentre fingo di trovare i miei vestiti, tuttavia, mi passa accanto con nonchalance lasciando una scia di profumo che mi colpisce confondendomi i pensieri.
Mi siedo sul letto e seguo con lo sguardo i suoi movimenti osservando il suo fondoschiena perfetto, la pelle è appena abbronzata e mi perdo a guardare le sue fossette di venere appena sopra il podice. Si muove con disinvoltura e ogni tanto mi lancia qualche occhiata dallo specchio del bagno che riflette la stanza, si gira completamente verso di me e si poggia alla porta. Distolgo lo sguardo improvvisamente quando mi accorgo di star osservando il suo pube con poco pudore.
«Cosa c'è?», mi canzona abbozzando un sorriso.
«Niente» brontolo alzandomi cercando di muovermi senza cascare per terra.
«Voglio fare una doccia» dichiaro senza guardarlo in faccia.
«Va bene, facciamola... tanto devo farla anch'io» propone.
«Insieme? Assolutamente no» rispondo allibita voltandomi verso di lui.
«Perché?» chiede confuso.
«Ho detto no, la farò dopo di te!» esclamo decisa.
«Ma ti ho già vista nuda e tu hai visto me, cosa c'è di male?» continua senza capire.
«Vai! La farò dopo» trillo sedendomi ancora una volta sul letto.
Sbuffa e arriccia il naso storcendo le labbra.
«Come vuoi» sbraita entrando in bagno ma lasciando la porta aperta.
Sento lo scroscio dell'acqua fare da sottofondo alla mia ispezione della camera, mi dirigo al mobile con le foto sopra. Accarezzo quella con Carlo e Charlotte, hanno circa dieci anni e sono nel giardino della casa di Christian. I loro volti sorridono all'obiettivo ma gli occhi del ragazzo più complicato che abbia mai conosciuto sono spenti e particolari, diversi da quelli di ogni bambino o dei suoi due amici che sorridono con dolcezza verso chi scatta. Passo alla foto successiva, la donna che lo stringe ha il suo stesso sguardo, anche più spento del suo. Giovane e bella ma dall'aspetto trasandato, i capelli legati e chiari, gli occhi di un grigio intenso e i lineamenti simili a quelli di Christian. Deve essere sua madre e lui è piccolo ma anche qui — in modo impercettibile — quell'area cupa inizia a intravedersi, ed infine l'ultima foto, con Francesco.
Sorride in modo freddo mentre il fratellino molto simile a lui è felice, tra le sue braccia. Passo in rassegna ai disegni fatti sul muro e mi perdo in quello di una donna con gli occhi bendati, non capisco cosa sia ma è bellissimo.
«La dea bendata», sento dire alle mie spalle mentre traccio con le dita l'inchiostro bianco che colora la parete nera.
Mi volto e un'asciugamano gli copre l'intimità, il corpo ancora umido e i capelli bagnaticci incorniciano il suo volto perfetto.
«Non volevo sbirciare», cerco di giustificarmi.
«Sono disegni fatti su una parete, li vede chiunque Federica... non preoccuparti!», dichiara con tono calmo.
Chi sei e cosa ne hai fatto di Christian De Luca?, vorrei dire per prendermi gioco di lui ma rimango in silenzio ad ascoltarlo.
«Quel disegno l'ho visto in uno studio e mi piaceva, è la Dea Bendata, la Dea della fortuna... nell'antica Roma veniva considerata responsabile del destino degli abitanti. Mi piace perché lei non decide chi aiutare, distribuisce la fortuna a caso, mi piace pensare che nessuno può opporsi al suo volere, bisogna accettare quello che la fortuna ci riserva», spiega muovendosi lentamente verso la cabina armadio.
«Quindi non le può essere attribuita una colpa non conoscendo chi aiuta o meno», penso più tra me e me.
«Una cosa del genere» fa prima di sparire cercando probabilmente qualcosa da mettersi.
Mi avvio alla scrivania osservando i vari disegni architettonici attaccati ad una lavagna, sono perfetti e simmetrici. Tuttavia, abbasso lo sguardo ritrovandomi il quadernino nero con la citazione di Dostoevskij, sono combattuta se aprirlo. La mia curiosità è alle stelle ma desisto, avviandomi nella cabina armadio.
Lo ritrovo con indosso dei jeans strappati sul ginocchio e intento a scegliere una t-shirt in un cassetto.
«Metti questa» propongo fissando una camicia blu.
Solleva lo sguardo in direzione del mio dito e la scruta con aria interrogativa.
«Ti piace?» Domanda sfilandola dalla gruccia portandosela poi al petto per osservarsi all'enorme armadio a specchio.
Annuisco facendo un breve abbozzo di sorriso che svanisce quando mi accorgo del mio corpo riflesso. Inalo a lungo, sentendo la solita sensazione di inadeguatezza sopraffarmi; il mio ventre coperto per metà dagli slip è segnato dalla cicatrice che per qualche giorno mi ha dato tregua perché troppo impegnata a pensare al ragazzo che adesso mi osserva serio e attento, mentre mi pone una domanda che non riesco a sentire perché quello che rimbomba nella menta è la solita voce che mi ricorda di non essere all'altezza di Christian o di chiunque altro, ma soprattutto che questa bolla in cui siamo adesso, presto scoppierà e mi farà molto male.
Percepisco la sua voce profonda chiamarmi con calma ma quella linea sottile che compare sul fianco mi agita, la sfioro percependo quel solito dolore immaginario. Deglutisco a vuoto, una sorta di affanno mi comprime il petto, mi destabilizza e mi rende vulnerabile a tal punto da avvertire le gambe di gelatina.
Sento freddo dentro di me ma un lieve calore mi sfiora le braccia, cerca di risvegliarmi.
«Ci sono qui io, okay?» Riesco a percepire e il mio stato di trance si placa di poco.
«Non aver paura di guardarti», sento ancora e il calore scivola fino all'origine del mio dolore.
«NO!» Esclamo quando una carezza sfiora la cicatrice.
Un bacio mi lambisce la nuca, socchiudo gli occhi distogliendo l'attenzione dal mio corpo. Mi faccio cullare da lui per minuti indistinti e dal suo leggero tocco placare quel freddo che mi schiaccia e mi blocca.
«Fede», mi chiama ancora e questa volta la sua voce ritorna ad essere chiara e profonda come prima.
«Scusa», sussurro votandomi verso di lui, il nodo al petto si scioglie all'improvviso facendomi scoppiare in un pianto.
«Perché ti scusi, devi solo capire che sei bellissima esattamente così. So che fa male, d'accordo? Ma sei forte, lo sei tantissimo... anche più di me» mi rassicura, poi, fa un passo indietro e mormora: «Guarda».
Tiro su col naso e asciugo le lacrime col dorso della mano quando Christian si sfila la camicia che gli avevo consigliato, mi afferra il polso e porta la mia mano al tatuaggio della rosa, sul collo.
«Tocca», mi intima fissandomi con occhi quasi malinconici, indecifrabili e anche un po' confusi.
Sfioro le linee del tatuaggio sentendo al centro della rosa un rialzamento. Avevo intuito fosse una cicatrice ma ho sempre evitato di chiederlo esplicitamente, capendo il disagio che si prova nel sentirselo domandare.
Mi scosta la mano portandola vicino alla clessidra dove il tempo sembra in bilico, fermo.
Il fiume che diventa sabbia ha anch'esso una sorta di rialzo ricoperto dall'inchiostro nero.
«Questo è il passato che ho voluto nascondere dietro questi disegni. Non sono più coraggioso di te, ma ho trovato il modo di sopprimerli e fingere che non esistano».
Un'altra lacrima scorre frettolosa sulla mia guancia ma lui con un dito la raccoglie e mi stringe a sé, facendomi stare subito meglio.
«Allora avevo ragione io», sibilo con il viso sul suo petto.
«Cioè?»
«Siamo più simili di quel che credi» mormoro inalando il suo buon profumo che mi infonde una pace indescrivibile.
Fa un sospiro stampandomi ripetuti baci sulla nuca, dopodiché dice:
«Andiamo dai... non metterò questa camicia, sembro un fighettino» brontola facendo una smorfia accompagnata da un sorriso dolce.
Mi rannicchio nelle spalle sorridendo timidamente.
«Credo che andrò a fare una doccia», lo informo prima di chiudermi in bagno e sperare che questo momento non finisca troppo presto.

La Forma del DestinoWhere stories live. Discover now