Capitolo 60

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FEDERICA

Oggi il tè sembra più caldo del solito, lo avverto bollente sulla lingua, tuttavia mi trovo inchiodata a fissare un punto della stanza e a sentire una strana sensazione di ansia dentro di me; avverto quasi un senso di impedimento, paura?
Ho come il presentimento che oggi sarà una giornata particolarmente travagliata e l'ultima volta che la mia mente ha avuto questo pensiero, ne sono uscita distrutta.
Ho un nodo al petto che non riesco a sciogliere neanche con questo liquido caldo, mi chiedo come sarà oggi, ho pensato e penso tanto a quello che è successo ieri; apparentemente potrebbe essere qualcosa che non dovrebbe toccarmi, ma conosco Christian e so che quell'emozione che scorreva dentro di lui dopo quella chiamata si riverserà su di me e su chi gli sta intorno. Ho quasi più ansia adesso del mio effettivo primo giorno di scuola, il che è abbastanza discutibile dato che avrò dormito circa tre ore quei giorni.
Ad ogni modo mi ritorna in mente mentre stringo le gambe al petto, quel suo modo carnale di stringermi a sé, di abbracciarmi forte come se potessi dissolvermi fisicamente se lentasse la presa. Anche quando sono andata via ho visto nel suo sguardo un senso di vuoto che aleggiava dentro di sé, era qualcosa che ho sempre percepito in lui, era come assistere ad un velo di tristezza, misto a consapevolezza; una consapevolezza che mi spingeva a pensare che avesse dentro una rassegnazione, e lo avvertivo ogni volta che mi guardava o tentava di lasciarsi andare, ma ieri non l'ho avvertito, l'ho proprio sentito sulla pelle mentre mi carezzava e i silenzi che aleggiavano intorno a noi mancavano di qualcosa; anche l'aria voleva essere riempita dalle sue parole ma lui ha deciso — come sempre d'altronde — di sigillarsi la bocca e poi l'anima.
«Stai bene?», la voce di Elis mi riporta alla realtà, incrocio i suoi occhi chiari che mi guardano curiosi e comprensivi.
«Si» mormoro mandando giù un ultimo sorso.
«Problemi in paradiso?» Fa ancora afferrando un cornetto al cioccolato, lo addenta e si siede davanti a me.
Le rivolgo una smorfia con la bocca senza replicare.
«È un ragazzo così misterioso», mi dice rivolgendosi a Chris, addentando poi ancora una volta la sua colazione.
«Lo so», rispondo alzando le sopracciglia, «e tra voi come va?».
Faccio un grande sospiro ma mi lascio andare al mio stato di ansia, dandole qualche racconto che continua a girarmi in testa.
«...è sempre un continuo su e giù, ma non ho mai provato qualcosa di così forte per qualcuno, e adesso mi sento diversa e anche un po' impaurita dal fatto che le cose potrebbero andare male e vorrei solo sentirmi bene, godermi quello che sta succedendo, ma so che finché lui non si lascerà andare e mi farà conoscere davvero tutto di lui, per noi sarà sempre un continuo tirare e mollare la presa», racconto sconfitta.
Lei ci pensa a cosa dire, ci pensa anche più del dovuto e questo silenzio mi mette un po' in agitazione finché mi guarda esordendo: «Adam ed io non siamo stati sempre così, nei nostri primi mesi c'è stato un continuo rincorrersi e lasciarsi ma anche il timore di liberarci delle paure e aprirci l'uno all'altra, e sai perché? Perché entrambi sapevamo che quelle emozioni che avevamo dentro di noi non le avevamo mai provate prima; tutto di lui mi attraeva e mi spaventava, mi rendeva così incapace di reagire delle volte e di lasciarlo andare quando le paure diventavano grandi. Io non so cosa prova lui per te, ma so cosa provi tu per lui e sembri tanto me quando mi crogiolavo nei "se" o nei "ma" e non facevo nulla per fargli capire che avevo bisogno di lui, che lo comprendevo per i suoi errori e non lo giudicavo per quello che aveva passato; faglielo capire Fede o arriva al punto di dirglielo. Non siamo perfetti, abbiamo tutti fatto delle cose di cui abbiamo paura di parlare, ma abbiamo ancor più paura quando la persona ad ascoltarci è chi amiamo perché potrebbe andare via dalla nostra vita. Quindi, lui avrà bisogno dei suoi tempi, tu invece hai bisogno di quelle emozioni che ti sa dare solo lui. Tenta, provaci, non devi mollare, combatti per ciò che vuoi e se vuoi davvero lui e tutto ciò che comporta stare con lui, non fermarti davanti alle paure».
Sono interdetta, ascolto il flusso di parole e mi rendo conto solo adesso che Elis ha così tante cose nella sua anima che io non conoscevo, la sento sempre più vicina e il fatto che possa comprendermi, mi fa sentire ancora più legata.
Mi alzo dalla sedia, mi avvicino a lei e la stringo in un abbraccio.
«Grazie» mormoro dandole un leggero bacio sulla nuca.
«Grazie per esserti confidata con me!» Dichiara e nello stesso frangente di tempo mia madre si palesa ricordandomi che da lì a poco sarebbe passato il bus, così, ritorno di sopra — non prima di aver ringraziato mia zia altre tre volte — e mi sistemo veloce portando con me la cartella con i libri.
Le saluto un'ultima volta e corro da Charlotte in attesa alla fermata.
«Alla buon'ora», esclama con un velo di nervosismo nella voce.
«Questo malumore è dovuto a...?» Chiedo mentre il bus si ferma davanti a noi.
Dopo essersi seduta, mi guarda per un'istante poi abbassa lo sguardo sul display del cellulare e sbuffa. «È assurdo come pensi di conoscere qualcuno e invece non conosci davvero niente di quella persona, ti promette cose e ti illude con parole che ti sembrano bellissime e poi poof... tutto sparisce», parla tutto d'un fiato senza riprendere aria.
Sono confusa dalle sue parole anche se comprendo di chi sta parlando, lascio da parte i pensieri e le parole di Elis concentrandomi invece sulla mia amica, che ha urgente bisogno di me.
Prima però che possa fare altre domande sbotta: «ti rendi conto... in un messaggio mi viene a dire: questa sera passo alla festa con Alice. Alice, ti rendi conto... fa tutta l'amica e invece gli gira intorno, lo so. E poi ha anche il coraggio di esordire con: siamo solo compagni di classe. Ma per favore, questa sera andrò alla festa e mi ubriacherò anzi non ci vado proprio, non voglio vederlo. Non ha il coraggio di affrontare le cose, anzi non vuole affrontarle inventando che Carlo non lo accetterà mai e se lo scoprisse farebbe un torto al suo amico, ma fanculo».
Il suo monologo mi ha del tutto smarrito. «Festa? Quale festa?» Domando.
«Non lo sai? Chri non ti ha detto nulla? Questa sera Luana ha organizzato una specie di festa al Blanco invitando l'intero istituto e Ted ha deciso di andarci con la sua "amica" Alice...», ringhia fissando il finestrino mentre una donna sulla sessantina dietro di noi, continua a fare boccacce.
«Quella che abita nel suo stesso quartiere?»
«Si», fa lei mostrando tutta la sua frustrazione cercando di aprire un pacchetto di cracker.
«Le darà un semplice passaggio Cha, non preoccupartene... lo sai che è cotto di te», cerco di rassicurarla ma lei continua a non ascoltarmi, anche dopo essere arrivati a scuola prende a scimmiottare di quanto sia delusa da Ted.
«...quindi ci andiamo insieme?» domanda dopo aver sfogato tutta la sua ira, fermandosi davanti la sua classe per dividerci per qualche ora.
«Non so se verrò, non mi è stato detto nulla!» dichiaro rannicchiandomi nelle spalle.
Si guarda intorno sospirando, dopodiché mi punta il dito dicendo:
«Ci andiamo insieme... A dopo!».
«Charlotte ho dett...», faccio ma lei si allontana repentinamente mandandomi baci, sparendo subito dopo dietro la porta della sua classe.
Spazientita mi dirigo verso la mia aula quando Maia — una mia compagna di corso — mi informa di dover andare in palestra, poiché il prof Vicinelli sta allenando dei ragazzi per l'imminente partita di calcio.
La seguo a passi lenti, ma mi soffermo in bagno per darmi una veloce sistemata e cambiarmi i jeans con i leggings; preferisco il bagno agli spogliatoi che non hanno un minimo di privacy.
Tuttavia mi prendo il tempo davanti allo specchio per farmi una coda alta e mettermi del veloce mascara con un lucido alle labbra; il ritardo di questa mattina mi ha impedito di prepararmi come volevo, non facendomi rendere conto neanche della mia pessima cera.
«Ah! Ah! Ah! Lu... sei proprio deficiente lasciatelo dire», un timbro apparentemente familiare parla fuori la porta del bagno, distraendomi dalla missione di diventare apparentemente decente; tuttavia continua ad insultare l'interlocutore di cui non percepisco la voce, e dopo una risata sonora e contagiosa, saluta la persona e si infila in bagno canticchiando.
Questo mi riconduce subito a una persona, infatti, prima che possa dire qualcosa o anche solo alzare lo sguardo per accertarmene, la sua voce si rivolge a me.
«Tu, ragazza nuova... forse dovremmo smetterla di incontrarci in questo bagno AHAH!», ridacchia sistemandosi i capelli scurissimi.
La guardo: è Nicole; appare così solare ma dagli occhi percepisco un senso di dolore che nasconde dietro questi grandi sorrisi. Mi si avvicina, si lava le mani, dopodiché estrae dal suo zaino un piccolo beauty e comincia a truccarsi.
«Credo proprio di si» esordisco forse troppo tardi, poiché presa ad osservarla.
«Non ci siamo più incontrate, il che è strano... o non esci mai dall'aula oppure vivi qui dentro» ridacchia ancora.
«La seconda opzione è quella giusta», esclamo seria facendola ridere di gusto.
«Allora facciamo una cosa: questa sera una mia amica ha organizzato una festa al Blanco, ti aspetto! Ci sarà metà istituto, magari è una buona occasione per fare amicizie nuove per entrambe» dice sistemandosi il rossetto scuro.
Questa frase mi crea una certa confusione in testa, non voglio che le domande che mi stanno sfiorando la mente, possano essere la risposta a tante mie idee.
«Ci penserò», le dico ricambiando il sorriso.
«Vedi che ti aspetto questa sera, ho bisogno di avere con me un'altra persona simpatica, devo sopravvivere a tutta quella marmaglia presente».
Le sorrido con un cenno di assenso e comprensione. 
Nicole? Mi tuona il suo nome come un campanello sordo, pronunciato da Charlotte più volte, e so che causa a Christian un senso di impedimento e fastidio, ma non può essere lei. Non può. Quella persona faceva parte del suo passato, giusto?
Sarà una coincidenza, mi dico.
«Stai bene?» domanda osservandomi dallo specchio, dandosi poi un'ultima sistemata.
«Sisi, devo andare in classe sennò Vicinelli farà storie».
«Quello è uno stronzo!», esclama ed io annuisco, salutandola prima di uscire per dirigermi verso la palestra.
Mi muovo meccanicamente cercando di convincere la mia mente che le coincidenze esistono e che quella persona che faceva parte della vita di Christian appartiene al passato; ma il non sapere mi causa così tanta confusione. Vorrei poter non dovermi crogiolare in questo vuoto e in questi pensieri che mi attanagliano la testa.
Da fuori sento la voce del professore dare indicazioni, faccio un sospiro profondo, socchiudo gli occhi e spalanco la porta catapultandomi dentro questa realtà che non avevo mai visto. Alla mia vista si affaccia questa sala molto grande, alta e dai colori tenui. Spalti alti da un colore blu notte ricoprono gran parte delle pareti laterali, le altre pareti invece lasciano spazio a degli attrezzi e pesi utilizzati da ragazzi in pantaloncini neri e maglia del medesimo colore. Al centro della sala tre ragazzi corrono da un capo all'altro senza fermarsi, Vicinelli dal canto suo tiene il tempo con un contatore appeso al collo da una cordicina metallica, clicca il pulsante rosso e urla i minuti che ci hanno messo nel percorrere il tragitto. Tuttavia, gli occhi del professore incontrano i miei quando involontariamente la porta sbatte alle mie spalle.
Sobbalzo, spalanco gli occhi e noto le attenzioni dei presenti tutte su di me.
Deglutisco a vuoto, il professore dall'aspetto curato si accarezza la barba bianca, anch'essa perfettamente tagliata, e poi esordisce: «Mancini non accetto ritardi alle mie lezioni, ti ricordo».
Schiudo le labbra per dire qualcosa ma lo sguardo ipnotico del ragazzo più incasinato del mondo, si avvicina all'uomo con il respiro corto e l'aria stanca per via della corsa.
«L-lo so, professore» sibilo stringendomi nelle spalle.
«Ero andata in bagno a cambiarmi», continuo con tono sottile e intimidita dal suo modo truce e serioso di rivolgersi a chiunque.
«Mi scusi», aggiungo quando continua a fissarmi senza proferire parola.
Sposto la mia attenzione da una persona all'altra ma non riesco a distogliere i miei occhi da Christian, che continua a fissarmi con attenzione da capo a piedi.
A mia volta prendo ad osservare ogni centimetro di lui, ogni movenza, ogni particolare.
«Puoi andare dagli altri», mi dice il professore.
Mi muovo meccanicamente rischiando di cascare rovinosamente al suolo, per il mio impedimento di levargli gli occhi di dosso.
«Cos'è successo?», mi chiede Camilla facendomi spazio tra le prime file degli spalti.
Vorrei rispondere ma rimango impedita ad osservare, ancora il corpo di Chris che adesso mi da le spalle, parlando con Vicinelli.
Ne contemplo tutta l'imponenza che emana in questi vestiti stretti ma adatti al suo corpo da adone. La maglia nera stringe sulla parte superiore del corpo facendo intravedere tutti i muscoli che lentamente si contraggono ad ogni movimento, i pantaloncini invece stringono le cosce e coprono le gambe fino al ginocchio, mentre dei calzoni bianchi sono fino ai polpacci facendo intravedere il tatuaggio su quello destro.
«Ad ogni giro di campo fate venti flessioni e poi riprendete con la corsa, per quattro volte», spiega Vicinelli mentre Christian alza gli occhi su di me e accenna ad un sorriso.
Si morde il labbro inferiore ed io faccio lo stesso senza riuscire a distogliere lo sguardo, prendo ad osservare i suoi particolari che riescono a colpirmi ogni volta che ci poso gli occhi. I capelli cadono umidi sulla fronte perlata, la pelle risulta ambrata, le sopracciglia nascoste dai capelli scuri si intravedono appena e le ciglia lunghe proteggono quelle iridi così preziose; sembrano essere l'immagine di un dipinto, il naso a punta viene sfiorato nervosamente dall'indice sottile e affusolato, le labbra carnose sono rosso porpora. Le lecca più volte, torturandole. Le guance hanno un accenno di barba, ricoperte fino al pomo d'adamo che va su e giù in modo ritmico.
Le braccia muscolose cadono lungo la vita, tutto mi riconduce ai suoi abbracci caldi che mi avvolgono tutta; il suo petto si gonfia in modo appena irregolare, ma questo mi costringe ancora di più a rimanere con gli occhi inchiodati a lui.
«Capito De Luca?» sento un urlo.
«Si, mister», fa lui scuotendo la testa, ritornando poi ad ascoltare attentamente il professore.
Ascolta le indicazioni, annuendo seriosamente ad ogni domanda o avvertimento. Poco dopo lo affiancano anche Carlo e un ragazzo dai capelli biondi e ricci di cui non conosco il nome. Tuttavia, iniziano a correre per tutto il perimetro della sala fermandosi ad ogni giro di campo per fare le flessioni. I suoi movimenti così precisi mi costringono ancor di più a dargli attenzione, mi sento completamente ipnotizzata a scrutare il suo corpo curato e sudato.
«Ragazze», un tipo alto si avvicina, «il mister ha detto di riscaldarvi... per poi andare nel cortile a fare dei giri di campo, vuole l'attenzione dei ragazzi che adesso un po' manca» spiega lui rivolgendomi un sorriso sornione.
«Okay», risponde Camilla perplessa seguita da Fabiana che prende a sbuffare.
Ci distribuiamo alla fine della sala con dei tappetini, mi sento un po' a disagio mentre tutti gli altri prendono a stiracchiarsi, secondo alcune indicazioni date dal ragazzo che è venuto a parlarci.
«Segui me», mi dice Camilla che pratica yoga ormai da diverso tempo.
Tutte le ragazze della mia classe prendono a muoversi seguendola, tuttavia annuisco cercando di riprodurre i suoi movimenti, con scarsi risultati. Dopo i primi due minuti infatti vorrei sinceramente sotterrarmi piuttosto che continuare rischiando anche di strapparmi qualche muscolo.
«Se pensi ai movimenti da fare ti ritroverai a farli meccanicamente, piuttosto per oggi prendi spunto, ma muoviti seguendo i tuoi impulsi e soprattutto senza pensare alla gente che ti guarda» mi incalza.
Mi sento una corda pronta a spezzarsi, tuttavia, mi guardo intorno e nessuno sembra dar peso alla nostra presenza. Neppure Christian sembra voler incrociare il suo sguardo col mio, tuttavia sospiro dandogli un'ultima occhiata ma sembra troppo preso con i suoi crunch inversi per dare importanza alla mia presenza.
Avverto una mano sfiorarmi, è Camilla; mi passa una sua cuffia sussurrando:
«Questa ti aiuterà a non pensare».
Conor Maynard sulle note di You broke me first si infonde dentro di me facendomi rilassare in pochi istanti, mi muovo lentamente sciogliendo tutte le tensione; parto dal collo per arrivare alle spalle, al bacino, alle gambe.
Socchiudo gli occhi rilassando tutto il corpo, sento distendersi ogni muscolo, la mente viaggia insieme alla musica lasciando il mio corpo fare da se.
«Ora facciamo il saluto al sole, ti va?» Mi chiede continuando a muoversi.
Annuisco seguendo i suoi movimenti, mi abbasso lentamente al suolo per poi ritornare su e seguire il flusso di movenze che lei mi indica. 
«Non è poi così male lo yoga, credo che mi piacerebbe praticarlo», sussurro rannicchiandomi.
«Anche a me piacerebbe» sento dire a qualcuno dietro di noi in un ghigno.
Mi volto appena notando il ragazzo riccio osservarmi con attenzione, spalanco gli occhi e arrossisco violentemente, ritornando a guardare dinanzi a me, incrociando nuovamente quel verde scuro serioso e adirato.
Il rossore colora ancora di più le mie guance calde facendomi percepire una sensazione di fuoco in tutto il corpo; sembra avere i muscoli e ogni fibra del mio essere andare a fiamme. Il suo sguardo indagatore mi entra dentro mentre fulmina anche il riccio, con uno truce.
«È arrivato il momento di andare a correre ragazze», ci informa il mister indicandoci l'esterno della sala.
Blocchiamo il flusso dei movimenti dirigendoci verso il cortile, tuttavia, con gli occhi lo cerco ritrovandolo a pochi passi dalla porta, intento a parlare con Carlo che mi rivolge un sorriso dolce. Lo ricambio, quando le iridi scure dilatate e vitree mi osservano facendomi desistere su due piedi.
«E quelli?» Mi chiede quando gli passo accanto.
«Come?» Domando a mia volta perplessa.
Indica i miei leggings stretti, abbasso l'attenzione su di essi senza capire il significato delle sue parole, carezzandone così il tessuto. «Cos'hanno?»
«Niente Federica, puoi andare», borbotta spazientito e forse combattuto, alzando gli occhi al cielo.
Mi volto e seguo le mie compagne di classe nel cortile quando la voce di Carlo fa una risatina gongolando: «Questa gelosia da dove proviene?».
Mi lascio sfuggire un sorriso spontaneo che però entrambi non possono vedere, tuttavia, mi accodo alle altre cercando di seguire il loro ritmo.
«Tutto okay?» Mi domanda Fabiana.
Non riesco a trattenere un sorriso ma annuisco comunque come una ebete.
«Come mai così felice improvvisamente?» Fa lei sorridendo con me pur non sapendo la ragione.
Faccio spallucce e la supero provando ad andare più veloce per non farmi fare altre domande, al quale non saprei effettivamente rispondere, se non dire esclusivamente: "Christian" e tutto ciò che mi provoca lo stargli accanto.

La Forma del DestinoWhere stories live. Discover now