Capitolo 40

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FEDERICA

Ringrazio Michael prima di scendere dall'auto e accetto l'invito che mi propina senza pensarci due volte; siamo amici quindi non vedo perché dovrei rifiutare un'uscita con lui. Tuttavia, mi balena subito in mente il suo nome e il modo in cui ci ha guardati mentre andavamo via. Era furibondo, frustrato e anche irritato ma è stato lui a rovinare tutto, a trattarmi come se non gliene importasse nulla di me, ad illudermi con i suoi soliti modi indagatori e i suoi giochetti.
Chissà cosa penserà vedendoci insieme, penso.
Non dovrei preoccuparmi di lui o di quello che non gli va bene, non mi importa se non va d'accordo con Michael o se non gli piace come persona, dopotutto è un mio amico, ho voglia di passare una serata diversa dalle altre e conoscerlo meglio senza drammi o paranoie.
«Passo a prenderti per le nove?», chiede alzando le sopracciglia.
Annuisco e faccio per scendere dalla macchina.
«Federica» mi chiama.
«Sono felice che tu abbia accettato il mio invito».
Gli rivolgo un sorriso e sussurro: «Buonanotte» prima di chiudere la portiera della sua Ford focus rosso fuoco.
Mi rifugio in casa, mi strucco e mi svesto indossando degli short e una canotta a tinta unita, dopodiché, prendo un libro acquistato alla mia ormai libreria preferita e provo a leggere il primo capitolo.
Dopo tre pagine mi accorgo di non averci capito niente, l'immagine di Christian è impressa nella mia mente mentre bacia quella ragazza dai capelli biondi e l'aria poco innocente. Mi chiedo più volte se l'abbia raggiunta o se sia andato via con qualcun'altra o Luana. Non voglio in realtà sapere la risposta, perché già il solo pensiero mi crea un nodo alla bocca dello stomaco e il senso di nausea ritorna a infastidirmi.
Riuscivo a percepire le sue mani su di me mentre toccava lei, e mi sento sporca per aver baciato Stefano. Sento ancora il suo sapore addosso e solo adesso mi rendo conto che fino ad oggi avevo baciato solo Christian, e il suo sapore era ancora impresso sulle mie labbra e il suo odore imprigionava i miei sensi.
«Basta Federica», urlo al mio riflesso ripreso dallo specchio.
Fisso il mio volto sentendomi ancora più inadatta, abbasso lo sguardo sulla cicatrice coperta dai pantaloncini. Avverto il dolore, fa male, un male inesistente ma sempre presente. Un dolore che mi ricorda le mie insicurezze e le mie paure ma poi mi ricorda anche il giorno che Christian mi ha fatto sentire per la prima volta giusta, come se non avessi qualcosa di sbagliato e fossi perfetta nella mia imperfezione.
Ma anche quella era finzione? Un'illusione?
Inspiegabilmente avverto la debolezza di questi giorni sopraffarmi, le pagine diventano sfocate e la solita sensazione di blocco comincia a farsi presente al centro del petto, tuttavia, con le palpebre sigillate avverto qualche goccia d'argento rigare il mio viso, chiudo il libro e mi metto a letto abbracciandomi sotto le lenzuola.
Il telefono emette un trillo, ma non ho la forza di prenderlo, mi lascio andare facendo  invece scorrere l'argento sulle guance, ripercorrendo i miei ultimi mesi, tuttavia mi perdo in un sonno profondo col ricordo di me e lui, col ricordo di quello che ho vissuto in così poco tempo stravolgendo completamente la mia vita.

Alle sette e un quarto balzo giù dal letto per via del campanello che non smette di suonare, tuttavia mi fisso qualche secondo allo specchio ritrovandomi in uno stato alquanto osceno, ma mi precipito di sotto per vedere chi possa essere mai così attivo a quest'ora del mattino.
Naturalmente spalancando la porta ritrovo Charlotte con uno sguardo truce, pronta a rifilarmi probabilmente una strigliata. Mi oltrepassa sedendosi sul mio divano con ancora la stessa espressione con cui si è presentata.
«Ciao anche a te», sibilo chiudendo la porta alle mie spalle.
Mi avvio al divano sedendomi poco lontana davanti al suo viso serioso, tuttavia mi sento immensamente in colpa da non riuscire neanche a guardarla in faccia.
Esordisce con un: «Lo odio».
Aggrotto la fronte e la domanda mi sorge spontanea: «Chi?»
«Anzi li odio», sbotta voltandosi verso di me.
I suoi occhi sono lucidi, la bocca trema e si stringe nelle spalle trattenendo a stento le lacrime.
«Charlotte», mi allarmo subito avvicinandomi repentinamente a lei, scacciando il pensiero che sia furiosa con me perché sono scappata dal Blanco rifilandole un messaggio.
«Cosa succede?» le accarezzo la mano provocandole un singulto violento.
La attiro a me abbracciandola, mi sento ancora più in colpa adesso e la avvolgo tra le mie braccia per attutire il suo pianto isterico.
Le ripeto più volte di dirmi cosa le è successo quando esclama: «Ted è un stronzo».
Non riesco proprio ad assumere quell'appellativo a uno come Teodoro: «Perché?».
«Stavamo ballando, ha tentato di baciarmi davanti a Carlo così l'ho mandato via, non potevo rischiare che ci vedesse, non voglio sentire anche le ramanzine di mio fratello... così sai cosa ha fatto?» balbetta tra i singhiozzi.
«Ha baciato un'altra, senza pensarci due volte!» esclama senza darmi il tempo di chiedere, riempiendo i suoi occhi grigi di lacrime.
Sgrano gli occhi e corrugo la fronte, ripensando per un secondo al ragazzo più complicato che abbia mai conosciuto, ha fatto più o meno la stessa cosa, con la differenza che lui mi ha usata e probabilmente da me non vuole più niente, mentre Ted credo lo abbia fatto per un capriccio o per orgoglio.
«Poi ho visto il tuo messaggio solo che probabilmente eri già andata via con Michael, e lo capisco, ho visto Christian...», borbotta senza concludere.
«Anche io» sussurro guardando le nostre mani che si stringono.
«Per questo sei andata via?» mi chiede, dispiaciuta.
Mi rannicchio nelle spalle senza guardarla in faccia.
«È un idiota Fede, lui non...» la interrompo dicendo tutto d'un fiato: «Michael mi ha chiesto di uscire questa sera e ho accettato».
Rimane con la bocca semi aperta senza dire nulla per diversi secondi, come se stesse contemplando su come rispondere o fosse fin troppo sorpresa, dopodiché, si lascia andare in un sospiro e annuisce lentamente.
«Bene!», esclama dubbiosa.
«Dove ti porta?», continua socchiudendo gli occhi in un gesto sospettoso.
«Non lo so, a mangiare qualcosa credo», rispondo con nonchalance.
«Perfetto, sai già cosa mettere?»
Scuoto la testa e le chiedo più volte cosa ne pensa perché il suo tono è cambiato, quasi timoroso mentre esprime il suo consenso.
Tuttavia si alza in piedi andando in cucina probabilmente a mangiare qualcosa, la seguo e dopo aver aperto la dispensa, aver preso una pagnotta di pane dice: «Stai solo attenta, okay?»
«Si, certo!» ridacchio sedendomi sul bancone della cucina come se chissà quale impresa debba fare.
«Perché me lo dici?», domando poi pensando alle sue parole.
«Non lo so, così! Voglio che tu stia attenta... Michael è gentile, quindi, sono felice che usciate insieme! Fate un salto al Joyce magari, saremo lì questa sera» mi informa spalmando della crema alle nocciole su una fetta troppo spessa.
«Okay, glielo chiederò!» farfuglio fissando il pavimento per poi dire d'impulso riferendomi a Chri e Ted: «Ci saranno?»
«Chi può dirlo... che facciano quello che vogliono!» risponde deleteria addentando la sua colazione.
Tuttavia la giornata passa in fretta e Charlotte mi consiglia cosa indossare prima di andar via per aiutare Lea in pasticceria. Opto però per qualcosa di più sobrio indossando una gonna di jeans e un top nero stretto in vita e velato sul seno.
Sistemo i capelli lasciandoli sciolti, trucco gli occhi con un filo di ombretto e del mascara, dopodiché applico un po' di correttore per coprire le occhiaie che in questi giorni hanno appieno colorato il mio volto, facendomi apparire più stressata di quanto già lo sia.
Infine infilo gli anfibi e vado al piano di sotto da Elis, salto l'enorme palla di pelo coricata alla fine della scala e mi precipito in cucina per chiederle un parere sull'outfit.
«Come sto?» faccio una giravolta su me stessa concludendo con un bel sorriso colpevole.
«Charlotte aveva detto vestitino blu o mi sbaglio?» commenta lei scorrendo le dita sullo schermo del cellulare.
«Mh! Meglio così...», mormoro stringendomi nelle spalle.
Scuote la testa ammonendomi con un'occhiataccia ma dopo alcuni secondi fa: «Sei bellissima, come sempre».
Mi precipito da lei stampandole alcuni baci sulla guancia, dopodiché, faccio per andar via quando se ne esce con: «Quindi era Michael quello del vestito o Christian?»
Aggrotto la fronte dubbiosa delle sue parole avvertendo uno strano formicolio quando pronuncia il nome dell'incasinato.
«Ricordi quando sei andata alla tua prima festa con Charlotte?»
Annuisco.
«Mi hai chiesto se fosse il caso di vestirsi con un abito scelto da un ragazzo, ed io ti ho detto che se fosse importante per te avresti potuto farlo per renderlo felice»
«Lo ricordo», borbotto agitandomi.
«Era Michael il ragazzo o Christian? L'altro giorno pensavo fosse De Luca il fortunato soprattutto dopo quel bacio ma a quanto pare mi sbagliavo» borbotta ripensando alle mie parole dopo averle raccontato che le cose tra noi non sono andate bene. Tuttavia, ripensare a quel giorno mi causa un peso al petto, mi fa sentire subito vuota, mi rabbuio dichiarando «No!», per poi aggiungere «non era nessuno», addolcendo il tono.
Sussurra un «okay» ritornando a fissare lo schermo.
«Ho capito semplicemente che quella persona non faceva per me e non voleva me, quindi, no Elis tranquilla... non era nessuno» dico in un sospiro sommesso.
«Be'... non sa cosa si perde» fa schiacciandomi l'occhiolino.
Le rivolgo un sorriso debole e deglutisco cercando di mandare giù il nodo che è ritornato a farmi visita, vorrei raccontarle di più, renderla partecipe di quello che ho vissuto con Christian ma non sono ancora pronta ad affrontare questo argomento, a dire il suo nome ad alta voce e fingere che non mi importi nulla, ho dovuto far morire il suo entusiasmo non appena tornata dal lago poiché tutto di lui mi faceva e mi fa male soprattutto dopo quello che mi ha detto. So che probabilmente non condivideremo più niente ma ancora riesco a percepire le sue labbra su di me, le sue mani, le sue carezze e la sua pelle avvolgermi, stringermi, persino i sospiri mi ronzano in testa, mi sento diversa dopo la nostra notte e non voglio rovinarla, non voglio ammettere ad alta voce quello che ho provato e quello che provo per lui.
«Io vado» la informo quando Michael mi scrive di essere davanti al mio giardino.
Saluto sia lei che Brown, dopodiché, esco sul portico con una sensazione particolare che mi stringe lo stomaco.
Michael mi aspetta dentro la macchina, il suo riflesso viene ripreso dal lampione che illumina il suo abitacolo. Scendo gli scalini del portico e mi incammino fino alla sua macchina, apro la portiera quando esclama: «Ciao, ti stavo aspettando! Non ti avevo vista arrivare».
«Ciao» lo saluto, sedendomi nella macchina che sa di fiori d'arancio.
Mi sento nervosa ma allo stesso tempo cerco di tranquillizzarmi e ripetermi che è solo un'uscita con un amico; voglio divertirmi e non pensare troppo a qualcuno che non è interessato né a me né a nessun altro che non sia se stesso e i suoi desideri.
«Pronta?» mi domanda prima di ingranare la marcia.
Faccio di sì, sistemandomi sul sedile. Mi torturo le mani per metà viaggio e per l'altra metà invece mi concentro sulla cintura che mi soffoca.
Michael mi racconta della sua famiglia e del suo hobby, il tennis. Di suo padre, campione nazionale di tennis, protagonista di numerosi premi e lui vorrebbe seguire le sue orme.
Ambizioso direi.
Mi limito ad annuire e fargli qualche domanda sul racconto, ama parlare ma soprattutto ama parlare di se e di quello che fa, mi piace ascoltarlo, è facile parlare con lui e mi sembra di conoscerlo da una vita dopo mezz'ora di viaggio. Tutto l'opposto di Mister simpatia che è riservato e scostante ma soprattutto sfuggente e poco loquace. Non parla mai, quando lo fa ferisce qualcuno o cerca di ammaliare qualche ragazza.
«Mentre mio fratello oltre il tennis pratica anche nuoto, a livello agonistico e...», continua mentre in radio parte Demons.
Il mio cuore subisce un fallo, e solo adesso che stavo tentando di rilassarmi e ci stavo riuscendo la mia mente non riesce più a concentrarsi su di lui e su quello che mi dice.
Davanti ai miei occhi compare un ragazzo all'apparenza invincibile, scontroso e per certi versi cupo. Delle volte mi sento in intimidatorio, e ogni parola che dice sembra sempre un pretesto per litigare o per minimizzare qualcuno o qualcosa. È così misterioso da far paura, ma in quel momento ho visto la sua sicurezza vacillare e non per un attimo, non per pochi secondi ma avvertivo tutto il suo mondo crollare sotto ai miei occhi. Percepivo il suo terrore e percepivo qualcosa di doloroso, simile ad un cielo squarciato da un lampo. Percepivo la sua anima urlare, faceva male persino fissarlo negli occhi. Ho visto un po' della paura che ha dentro di sé, sono riuscita a osservare i suoi occhi mentre cercavano la pace, forse mai provata, forse mai neanche conosciuta. Questo mi priva di andare oltre, questo mi priva di capire perché si comporta in questo modo nascondendo invece quel mondo che lo contraddistingue. Ho visto il suo dolore, l'ho avvertito logorargli l'anima, questo gli crea disagio, nasconde quello che sente davvero causando così dei crolli improvvisi e ingestibili. Non avevo paura di lui, capivo dai suoi occhi che voleva che me ne andassi per non vederlo in quello stato ma percepivo anche qualcos altro. Mi stava chiedendo di non lasciarlo da solo, mi diceva che aveva bisogno di me, qualcuno ha mai toccato il suo dolore? Gli è successo più di una volta di vivere questi momenti? Era da solo? Cosa ha passato per riuscire a ridursi in quello stato?
Demons è riuscito a calmarlo e forse non c'entra neanche il testo della canzone o la canzone in se, ma è riuscito a concentrarsi su quel suono e sul nostro contatto per non crollare, per non impazzire, per non perdere quel briciolo di dominio che era riuscito a mantenere di se stesso.
Anche questo era finto? Anche questo per lui non ha significato?
Michael mi chiama attirando la mia attenzione e facendomi sfumare i pensieri che stavano ritornando a martellarmi il cervello.
«Mi hai sentito?»
«Scusa... mi sono distratta per un secondo, dicevi?», provo a dire fingendo di aver ascoltato davvero quello di cui mi stava parlando.
«Dicevo: hai già mangiato in un ristorante gourmet?»
Scuoto la testa.
«Be' adesso ci andremo, si mangia molto bene... i proprietari sono amici di famiglia» mi informa fiero delle sue parole.
«Va bene, non vedo l'ora si assaggiare qualche piatto», farfuglio ascoltando la canzone volgere al termine e per gli ultimi istanti un brivido mi accompagna all'ultima nota.
Sfrego le braccia captando la pelle d'oca scorrermi sulla pelle e poi sotto finendo per colpire anche il cuore, tuttavia mi concentro sul paesaggio e sulle luci che illuminano Roma.
Mi piace il calore della città e la bellezza dei monumenti, le strade, i colori, le persone rendono tutto più magico. Desideravo sin da piccola viverci con Elis, la quale aveva il sogno di trasferirsi qui, infatti dopo aver conosciuto Adam ci è riuscita, così ho pregato per anni mia madre affinché mi portasse a trovarla ma diceva di aver troppo da fare e con mio padre era tutto un'inferno. Ad ogni modo ricordo quando mi ha dato la notizia di doverci trasferire qui; ero appena rientrata da un weekend trascorso con Jessica e l'emozione per il saluto che mi aveva rivolto Liam, tuttavia, dopo cena mia madre decise di dirmelo di getto senza troppi giri di parole, la mia fu una scenata più che un urlo di gioia; però penso sia stata la scelta migliore per noi, sono felice di essere qui e la me di prima sembra così lontana e sconosciuta ai miei occhi. Mi sento diversa, forse più matura e meno infantile, forse è la città o le persone, forse sono state le amicizie oppure lui, o entrambe le cose. Lui mi ha cambiata, decisamente. Mi ha resa del tutto diversa, non so se sia positivo o meno ma so che non mi pento di quello che ho fatto, semplicemente non avrei dovuto dargli il peso che lui non ha dato. Per lui sono solo un'altra da aggiungere, per me lui è stata la svolta per il mio inizio. Ma non dovrà mai saperlo e forse non gli interesserebbe neanche.
«Siamo arrivati», mi informa parcheggiando davanti ad una fila di ampolle illuminate che conducono ad un posto il quale ha un nome piuttosto bizzarro: Salvatores.
Scendiamo dalla macchina e seguendo la scia di luce entriamo in un grande giardino adornato con sedie e sdraio intorno ad un'ampia piscina.
Proseguo stando dietro Michael che mi conduce fin dentro il locale. Tuttavia osservo il posto semplice ma raffinato, dai colori pastello e dai toni chiari. Michael parla con un cameriere che ci indica un tavolo vicino un acquario, con calma mi faccio strada tra le persone vestite di tutto punto e solo adesso mi rendo conto che forse sarebbe stato meglio indossare qualcosa di più elegante.
Mi abbraccio la vita fissando il pavimento color ocra, tuttavia, arrivo al tavolo con lo sguardo dei presenti addosso.
Non sembra il posto adatto ad una persona come me, mi sento in soggezione infatti mi concentro ad osservare l'acquario pieno di pesci che presto verranno serviti nei piatti dei clienti, questo mi fa sentire ancora più inadeguata.
Tuttavia, metto il mio nervosismo da parte cercando di apparire serena sotto gli occhi del mio amico e delle persone agghindate e indagatori, faccio un sospiro profondo concentrando l'attenzione sulla storia del ristorante e del suo nome che Michael mi racconta con grande entusiasmo. Spiega infatti che Salvatores è il cognome di un regista italiano, amato dal proprietario del posto, grazie ad un suo film è riuscito a conoscere la sua compagna, scoprendo successivamente avere il cognome uguale a quello del regista.
«Crede che fosse il destino ad unirli», conclude guardando alle mie spalle la vetrata con su scritto a caratteri cubitali il nome del ristorante.
«È una cosa molto dolce», commento aprendo il menù.
«Vero... si dice che è un posto fortunato, magari anche io troverò qui la ragazza del mio destino» gongola fissandomi con occhi lucenti.
Mi muovo nervosamente sulla sedia, sfoglio le pagine alla ricerca di qualche piatto e sussurro un: «Magari, si» cercando di velare l'imbarazzo che ha suscitato la sua frase.
Passiamo diversi minuti in silenzio alla ricerca di un piatto, i nomi sono strani e non riesco appieno a scegliere qualcosa che possa soddisfarmi.
«Io prendo pluma iberica con garum di acciuga», dichiara fissando il menù.
Arriccio il naso e aggrotto la fronte fingendo di capire di cosa si tratti, dopodiché, annuisco e continuo a osservare i nomi senza capirci un accidente.
Tuttavia il cameriere si avvicina chiedendoci di poter ordinare, Michael rilegge la sua ordinazione ed io mi ritrovo alla ricerca di qualcosa di abbastanza comune al mio palato.
Sento il fuoco divampare le mie guance quando Michael mi chiede se ho bisogno di aiuto.
«Pollo speziato e cotto alla brace», mormoro porgendo il libricino al ragazzo.
Il cameriere un po' titubante scrive sul taccuino l'ordinazione e sparisce dopo averci offerto una bottiglia di Chardonnay.
Mi sento un po' fuori luogo ma Michael vedendo il mio evidente stato di imbarazzo cerca di parlare raccontandomi quando ha conosciuto i proprietari.
Veniamo serviti quasi subito e sorprendentemente il pollo è ottimo, ma la portata è così minuscola da finirla quasi subito, tuttavia, chiacchieriamo per tutta la durata della cena anche se il maggior tempo mi limito ad annuire e rispondere a qualche domanda sull'argomento, quando improvvisamente mi ricorda che la serata dopo la cena potrebbe prendere una piega diversa.
«Va bene per te andare al Joyce? Oppure vuoi andare da qualche altra parte?»
«Va più che bene», rispondo bevendo un sorso di vino bianco.
«Non credo ci sarà Christian», dice con noncuranza provocandomi un sussulto nel sentir pronunciare il suo nome.
«Non vedo come dovrebbe importarmi» esclamo gelida.
«Possiamo andarci», continuo rivolgendogli un sorriso per risultare meno scontrosa.
«D'accordo», fa in un mormorio per poi aggiungere: «Posso sapere cosa è successo tra voi?».
Caccio un sospiro, mi schiarisco la gola fissando un punto del tavolo; cercare le parole per definire cosa c'è stato tra me e Christian è una delle imprese più difficili da gestire in questo momento.
«Non devi parlarmene per forza», mi rassicura sfiorandomi la mano.
Scuoto la testa e fisso i suoi occhi celesti mentre in modo comprensivo ma anche curioso cercano di capire fino a che punto siamo arrivati, quali sentimenti Christian è riuscito a iniettarmi e quali conseguenze è riuscito a lasciarmi.
«Non è successo niente di che, qualche bacio ma credo di aver sbagliato sin dall'inizio a credere che fosse... diverso» mento trovando le parole giuste per proteggere quello che abbiamo avuto anche se lui stesso ha deciso di sminuirlo.
Dentro di me rimane importante da custodire e da proteggere da tutti.
«Diverso», ghigna trattenendo un risolino che mi infastidisce.
«Conoscendo Christian mi sarei aspettato di più» sibila in tono saccente abbozzando un altro sorriso impertinente mai visto dipinto sul suo viso.
«Poi con una come te» borbotta ancora scuotendo il capo.
Sento che il Michael che ho conosciuto non è qui, e la frase pare averla già udita da qualcun altro e questo qualcuno non è particolarmente simpatico ai miei occhi.
Ha utilizzato le stesse parole di Luana per descrivermi e il suo sguardo non è tanto sconosciuto dal suo.
«Cosa vuol dire?» sbotto seria.
«No, semplicemente che Christian non è il santo che ti ha dimostrato evidentemente... lo hai capito presto, questo è un bene» spiega sistemandosi sulla sedia in modo arrogante.
«So che Christian non è la persona più calma che conosco, ma almeno si dimostra per quello che è», lo canzono con fare arcigno.
Non credevo che mi potesse infastidire il modo con cui si rivolge, non ho mai visto un Michael così freddo e distante da quello che ho conosciuto. Mi accorgo che realmente non conosco niente di loro, di tutti loro e del loro passato. Charlotte mi dice sempre che non è una sua scelta o un suo dovere raccontarmi cosa è successo tra i due, ma mi accorgo ancor di più che entrambi hanno qualcosa da nascondere al mondo. Chi è il carnefice in questa storia? Cosa è successo di così grave? Perché nessuno ne parla? Ma soprattutto perché si odiano così tanto?
«Christian è sempre il solito stronzo ma sono felice che tu abbia capito che non è la persona adatta a te, gioca con le ragazze e tu non meriti questo» esordisce facendo il suo solito sorriso cordiale che cela forse la sua vera natura.
«Andiamo?» chiedo improvvisamente nervosa.
Lui annuisce chiedendo il conto al cameriere che ha osservato tutta la scena dal fondo della sala, tuttavia, non mi lascia pagare la mia metà e per tutto il viaggio fino al Joyce non riesco a non pensare al suo cambio di umore nel parlare di Christian.

La Forma del DestinoWhere stories live. Discover now