Capitolo 42

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FEDERICA

Sono passate circa due ore dall'ultima volta che ho visto Christian, non riesco a far tacere la mia mente e le domande dei miei amici su cosa sia successo mi martellano le tempie confondendomi maggiormente; socchiudo gli occhi estraniandomi da ciò che mi circonda. Ogni piccola parte di me mi dice di alzarmi e correre da lui, capire dove sia andato; era in uno stato confusionario ed era reduce da un'ira incontrollata seguita da tutto l'alcol ingerito, ho paura possa fare altro male a se stesso. So che non dovrebbe importarmi soprattutto dopo quello che ci siamo detti, soprattutto dopo che ho ammesso ad alta voce quello che provo sconvolgendo anche me stessa e lui ha gettato quelle parole procurandomi invece solo un estremo dolore provocato dalla sua idea di se stesso e dell'amore e di quello che non potrà mai offrirmi per chissà quale ragione. Sospiro scuotendo la testa all'ennesima domanda, dopodiché, faccio per alzarmi quando Michael spunta da dietro un gruppo di ragazze con gli occhi lucidi e un sorriso maliardo stampato in faccia.
«Ragazzi che brutto sguardo che avete, cosa è successo?», biascica sedendosi in modo arrogante accanto a me.
Nessuno di noi ha il coraggio di parlare e stecco se ne esce con una sua solita battuta per stemperare l'aria.
«Vuoi br-ballare Federica?», domanda senza preoccuparsi troppo del malessere che aleggia nei nostri occhi, così, poggia un braccio sulle mie spalle stringendomi a se.
Mi rannicchio ruotando il capo dal lato opposto, poiché l'odore di tequila è tanto forte da provocarmi colpi di tosse.
Cerco di scrollarlo di dosso e mugugno: «No, non mi va».
«M-mi dispiace se pimaa... ti ho las-sata da sola» borbotta incespicando con la lingua pronunciando parole prive di nesso logico.
«Non importa, non voglio ballare» dichiaro scrollando il suo braccio e scivolando più lontano possibile da lui.
Non mi piace per niente questo suo atteggiamento, non ricordavo fosse così o perlomeno fingeva di essere qualcun altro, perché adesso non riconosco più il Michael che ho conosciuto.
Charlotte lo ammonisce quando prova ad avvicinarsi ancora e lui di tutta risposta le propina il dito medio dicendo che "stava scherzando".
Agito nervosamente la gamba mordicchiandomi l'unghia del pollice mentre la mia testa ricorda le sue parole, il suo sguardo assente, la sua incredulità dopo aver riacquistato un po' di lucidità ma soprattutto il suo modo così innaturale di odiare un sentimento come l'amore paragonandolo ad una sofferenza pura.
Chi ha deviato la sua mente? Chi gli ha fatto credere che fidarsi è un male e non amare è la soluzione per sopravvivere? Perché si crede un mostro?
Christian ha l'anima danneggiata e gli occhi stanchi, tuttavia, costringe se stesso a spingersi oltre facendo del male per cibare il dolore che prova. Ho sempre pensato che i suoi occhi parlassero al posto della bocca; quel verde racchiude una vita, un'anima, una visione della realtà che nasconde dietro delle parole comuni pronunciate da un ragazzo che gioca a fare lo stronzo. Cela la sua natura dietro la maschera dell'indifferenza e costringe le persone più superficiali a soffermarsi sui suoi atteggiamenti da burbero, mostra solo quello che lo rende comune e molti non riescono, o semplicemente non vogliono, vedere cosa nasconde dall'altro lato. I suoi occhi hanno comunicato con me, un raggio di luce ha catturato la mia attenzione subito dopo aver incrociato il suo sguardo. Ho creduto impossibile che dopo il nostro primo incontro Christian fosse la persona che tutti dicevano, che lui stesso mostrava e ad oggi ne sono ancora più convinta. Forse inconsapevolmente mi ha donato lembi della sua anima, parti che neanche lui riesce a controllare o definire. Vorrei conoscere ogni parte del suo passato, della sua mente, di ciò che pensa e di ciò che ama. Vorrei capire quello che prova ma vorrei ancora di più imparare a comprendere la sua anima. Mi costringo ad alzarmi continuando ad ignorare le battute prive di nesso di Michael.
«Ho bisogno di aria», comunico agli altri mentre chiacchierano dei diversi cocktail che stanno bevendo.
«Vuoi che venga con te?», mi domanda la mia bionda dagli occhi grigi e afflitti.
«No, Cha... tranquilla», dico facendomi strada per uscire.
La confusione prende vita e si propaga all'interno di me e non appena fuori cerco di capire cosa sto facendo. Non so dove si trova e probabilmente non vorrà vedermi. Combatto contro me stessa per quello che devo fare, per la cosa più giusta da fare ma la verità è che non mi importa cosa sia giusto o sbagliato, quello che provo mi divora, mi rende vulnerabile ed io continuo a rincorrere qualcuno che ha espressamente detto di non amare e di conseguenza non amarmi, ma non riesco a farne a meno, non so neanche quando sia successo ma so di aver ammesso a me stessa di essermi innamorata di lui e in qualche modo gliel'ho confessato, peggiorando la situazione.
I suoi gesti forse mi fanno sperare e le sue parole mi fanno desistere per timore di farmi troppo male, ma in realtà con lui non riesco a vedere il limite, il pericolo, voglio di più, sempre di più anche se questo comporta camminare ad occhi bendati verso qualcosa di indefinito; alla fine ci sarà il bene o il male?
Non so cosa significa amare qualcuno, forse non l'ho mai imparato perché non l'ho mai vissuto ma spesso mi capita di leggere nei libri il significato di quella parola senza capirne appieno le sensazioni descritte, però, credo che ognuno di noi scopriamo cosa sia "l'amore" nell'esatto momento in cui iniziamo a provare qualcosa per qualcuno che ci scompiglia la vita; un po' come quando si è in spiaggia con il sole che bacia la pelle e l'odore di buono, il suono delle onde che riempie i nostri sensi, poi, improvvisamente il temporale e la magia si spegne mettendo disordine nel nostro momento di quiete. Be' amore è un continuo alternasi di emozioni contrastanti, ma è anche quando non si pensa più solo a se stessi, quando pensare a quella persona fa mancare il respiro e si percepisce un vuoto al petto e i brividi ci colpiscono il corpo come in una giornata d'inverno; è come se mancasse terreno sotto ai piedi e in un attimo si potesse toccare il cielo con un dito ma il secondo dopo essere completamente a terra, sorridere e subito dopo piangere, come nelle montagne russe: adrenalina e paura. E con Christian si è un po' come sulla giostra più pericolosa del mondo, dove si ha una gran paura ma anche troppa curiosità; come vedere il tramonto sul ciglio di una montagna e sperare che il momento magico possa durare in eterno e non venga spezzato troppo presto.
«Ma l'avete visto?» Ridacchia un ragazzo incamminandosi verso l'entrata del Joyce sciogliendo così i miei pensieri.
«Ubriaco fradicio», commenta un altro facendo una smorfia sbilenca.
«Cosa ci si può aspettare da uno come lui, pensavo facesse una fine così molto prima...» esclama il terzo digitando qualcosa sul display del suo telefono.
«Be' non avrà problemi, il padre è ricco e...» fa un altro quando senza pensarci due volte lo interrompo intromettendomi nel discorso.
«Di chi state parlando?» domando sbarrando la strada al primo che ha acceso la mia curiosità.
Due occhi color nocciola mi fissano con sufficienza e arricciando il naso mi squadra da capo a piedi.
«Chi sei tu?», fa lui abbozzando un sorriso.
«Voglio sapere solo di chi stavi parlando» farfuglio a disagio.
«E se non volessi dirtelo...» esordisce prendendosi gioco di me.
«Sto cercando una persona...» cerco di spiegare agitando le mani in aria ma il ragazzo riccio ghigna e mi propina un «Non mi interessa», facendo ridacchiare anche i suoi amici.
Sospiro energicamente, dopodiché, chiedo nuovamente chi fosse la persona ubriaca incontrata.
Inalo incamerando aria quando riprende a fare battute sui miei modi poco femminili.
Tuttavia, per evitare di dargli un cazzotto qui su due piedi, lo oltrepasso mormorando un: «Fanculo».
«Ehi bambolina calmati, parlavamo di un certo De Luca... cosa ti importa?», esclama facendomi sgranare gli occhi.
Aggrotto la fronte, bloccandomi seduta stante, mi giro appena come se fossero stati loro a rivolgermi un cazzotto dritto al petto. 
«Dov'è?», chiedo in un sussurro tremolante.
«Alla fine della strada... riverso a terra e ubriaco fradicio» ribadisce sogghignando.
Riprendo a camminare velocemente, lo ringrazio con un gesto della mano incamminandomi verso la strada da loro percorsa.
«Non penso sia il momento di fare sesso» urla il ragazzo dagli occhi nocciola e l'aria arrogante.
Fingo di non sentire la sua squallida esclamazione, proseguendo a passo svelto, poi, ad ogni passo mi dico se sia giusto andare da lui e mi costringo a pensare alle parole da utilizzare. Dovrei dirgliene di tutti i colori, insultarlo e fargli capire quanto male mi ha fatto, raccontargli di quello che ho provato quando lui senza pensarci troppo mi ha detto che siamo niente e non si è preoccupato di come stessi, non si è fatto vivo ne mi ha fatto capire che era dispiaciuto. Ha solo utilizzato l'indifferenza, quella maledetta indifferenza che propina a tutti per allontanarsi. Pesa le parole e si lascia sfuggire spesso quelle cattive ma alcune volte leggendo fra le righe, qualcosa non riesce a controllarla e a volte i suoi silenzi comunicano più delle sue parole. Ci sono volte che mi concede di vedere un lato diverso, buono che non conosce nessuno, che riserva solo a poche persone e questo mi rende anche fottutamente speranzosa e poco razionale.
Arrivo alla fine della strada, fissando con confusione le macchine sfrecciare e faccio un giro con gli occhi per vedere dove si trova. Il ragazzo mi ha mentito? Forse è andato via?
Sbuffo quando noto il locale ormai lontano da me, la chiasso si sente appena e questo silenzio rilassa un po' i muscoli facendomi però percepire il vuoto al petto diventare più grande e i dubbi tempestarmi le tempie.
Un mugolio, un ansito strozzato e un sospiro sommesso mi inducono a incamminarmi avanti e indietro nella speranza di trovarlo. Mi volto verso la direzione in cui sono arrivati i lamenti ma non vedo nessuno.
«Chri», lo chiamo.
Forse riesce a sentirmi, penso.
Mi muovo nervosamente passando tra le macchine del parcheggio, l'unica luce che mi illumina è quella arancione di un lampione. Socchiudo le palpebre e lo chiamo ancora.
«Christian», questa volta alzo la voce.
Faccio ancora qualche passo in avanti, il vento mi colpisce la pelle. Sento come tanti aghi attraversarmi. Mi stringo nelle spalle e caccio un respiro rumoroso, quando qualcuno si schiarisce la voce a qualche passo da me. Mi volto di scatto e dietro un muretto intravedo l'ombra di qualcuno steso per terra, sgrano gli occhi e mi avvicino repentinamente. Mi precipito da lui ritrovando Christian in uno stato pietoso; la testa penzoloni, rivolta verso il cielo con gli occhi semichiusi e il volto pallido. Le mani posate in grembo troppo stanche per fare qualsiasi gesto e le gambe distese.
Mi accovaccio prendendogli il viso tra le mani, l'alcol si sente ancora più forte di prima infatti una bottiglia vuota giace accanto a lui.
«Chri... cosa diavolo hai fatto?», balbetto con voce tremolante.
Emette un altro sospiro accompagnato da un debole sorriso.
«Perché?» Ripeto mordicchiandomi il labbro inferiore.
Accarezzo le sue guance calde, aspettando impaziente una risposta. I suoi occhi sono lucidi e vitrei, le pupille sono ristrette a tal punto da far apparire il verde un immenso prato il quale vorrei poterci camminare sopra e scoprirne ogni parte.
Si scosta appena forse per liberarsi dalle mie carezze ma dopo qualche tentativo ritorna nella posizione di prima chiudendo le palpebre.
«Devo chiamare qualcuno», farfuglio nel panico provando ad alzarmi.
Christian, però, mi afferra il polso costringendomi a rimanere accanto a lui.
«Rimani qui», sussurra con voce impastata alzando gli occhi verso il cielo.
«Okay, ma perché l'hai fatto Christian? Ti sei visto?», domando ancora scossa.
Non scioglie la presa sul mio braccio ma mi indica di sedermi accanto a lui, obbedisco facendo un sospiro per l'assurdità della situazione.
Ad ogni modo, mi siedo accanto a lui portando le ginocchia al petto, un braccio lo avvolgo intorno alle gambe mentre Christian si porta la mia mano destra in grembo e la stringe come se potessi sparire via allentando la presa.
«I pensieri mi opprimevano», inizia a dire con voce roca dopo un lungo silenzio.
«Non è una giustificazione, hai bevuto anche quella?», lo ammonisco indicando con il mento la bottiglia vuota.
«Non riuscivo a pensare lucidamente e il tuo viso... tu, che avevi paura di me mi stava uccidendo Fede», continua alternando gli occhi da me alle stelle sopra la nostra testa.
«L'unica cosa che mi calma è allontanarmi dal mondo, annientarmi e poi osservare qualcosa e ricondurlo ad un dipinto...» prende la mia mano e traccia la pelle con le dita fredde.
Mi piace questo contatto e mi piace ascoltarlo parlare.
«Mi calma analizzare, osservare, capirne il significato di quell'opera», mormora ancora accompagnando il suo discorso con qualche sospiro sommesso.
«Adesso osservavo il cielo, ho pensato a Van Gogh e a quello che provava...», fa una pausa forse per riprendere lucidità o per trovare le parole giuste da utilizzare.
«...al suo tormento e mi sono chiesto cosa sentiva mentre dipingeva, se mentre creava la sua mente era offuscata da pensieri oppure si allontanava dalla realtà creandone una tutta sua insieme all'arte», sibila passandosi una mano tra i capelli.
«Hai pensato alla notte stellata?» Chiedo alzando lo sguardo sul cielo.
I suoi occhi si precipitano su di me e mi scruta attentamente aggrottando la fronte.
«Si!» dichiara.
«I suoi ultimi giorni di vita, ha dipinto la notte stellata poco prima di suicidarsi» commenta prima di aggiungere: «Lui esprimeva quello che lo tormentava, a mio avviso era un modo per sfogare ciò che sentiva dentro racchiudendolo in un dipinto. È come se l'arte e la natura che ricreava lo consolassero di tutto il dolore che provava».
«Sai», fa ancora lasciandosi sfuggire un'amara risata. «In vita non era considerato, anzi lo disprezzavano e non lo reputavano nemmeno un pittore se non un pazzo tormentato. Ora lo definiscono artista incompreso perché non riescono a non dare una giustificazione alla loro cattiveria. Ecco perché non mi importa di ciò che pensano gli altri di me, dovrei fare un gesto estremo per farmi considerare, per farmi amare? Io non voglio la pietà di nessuno, non voglio che gli altri conoscano il mio dolore perché non riuscirebbero a comprenderlo, non riuscirebbero a capire il perché dei miei gesti, non voglio essere compatito o avere qualcuno che mi poggia una mano sulla spalla e mormora un "mi dispiace" senza provarlo davvero.»
I suoi occhi bruciano sulla mia pelle, mi attraversano e ogni parola rimane impressa nella mia mente.
«Noi non dobbiamo fidarci di tutti Christian, ma solo di quelli che davvero ci amano», faccio accarezzando le sue nocche colorate di rosso e graffiate per via della rissa di poco prima.
Il mio tocco sembra non causargli fastidio, fissa le nostre mani mentre si regalano delle carezze dopodiché, mi scruta attentamente.
«Come fai a distinguere chi ti ama da chi finge di amarti?», arriccia il naso e con espressione seriosa aspetta una risposta.
«Hai mai fatto qualcosa per qualcuno senza volere niente in cambio? Hai mai lasciato andare qualcuno anche se la volevi accanto? Hai mai protetto qualcuno solo perché sentivi la necessità di farlo? Amare è qualcosa di astratto, ma delle volte quando è forte è come se riuscissi a percepire un cambiamento nell'aria, è come se il mondo si trasformasse, è come se vorresti essere migliore per quella persona. Probabilmente mi prenderai per una sciocca o inizierai a prendermi in giro ma amando l'arte non puoi non essere legato ad un sentimento come l'amore e probabilmente capire chi ci ama davvero non è mai qualcosa che comprendi appieno e alcune volte si sbaglia ma non è sempre così, credo che lo avverti dentro di te, percepisci che quella persona ha bisogno di te come tu di lei, non c'è nulla di razionale in un sentimento come questo, ci sono sbagli e passione, perdono e semplicemente amore», scimmiotto fissando adesso il cielo di un blu intenso punteggiato dalle stelle grandi come quelle di Van Gogh.
«È il ragionamento classico di una bambina innamorata dei romanzi», dichiara alzando gli occhi.
Ritiro la mano come se avessi preso la corrente e mi alzo velocemente prima che lui possa costringermi a ritornare seduta.
«E sei troppo permalosa», sussurra in un lamento storcendo le labbra.
«Sono troppo stupida Christian», rido istericamente sentendo quella ormai familiare sensazione divorarmi il petto, farmi mancare il respiro e pugnalarmi ripetutamente il cuore.
«Sei stato già chiaro l'ultima volta, ho capito che non mi ami, ho capito che sei incapace di amare ma ti dico solo che io credo tu non sia quello che mostri. Dalla prima volta che ti ho visto ho sentito che c'era qualcosa dietro quella maschera che utilizzi con tutti, non conosco il tuo passato e appena riesco a percepire il tuo presente, ma so che quello sguardo spento racchiude qualcosa di tanto grande, so che non dimostri ciò che provi, so che fingi di non avere sentimenti, so che comunichi tramite i tuoi sguardi e tra i disegni che crei, o attraverso l'arte che tanto ami. Sei scostante, sei così... cavolo... sei così controverso e contraddittorio. Dici una cosa e poi ne fai un'altra. Tu non vuoi allontanare le persone da te, tu le costringi a scappare via ma lasci dentro ad ognuno di noi il tuo segno. Fai male Christian, mi fai tremendamente male e poi pretendi che io faccia quello che è più giusto per te. Non rispetto quello che mi dici, sono stanca di essere accondiscendete, sono fottutamente stanca e sì, cazzo provo qualcosa per te e non mi importa se sia giusto o sbagliato, non so come sia successo o perché non ti volto le spalle e vado via. Potrei andarmene ma non ci riesco, potrei non rivolgerti più la parola ma non voglio farlo. Ti sei preso tutto di me, corpo e anima e cosa hai fatto? Dimmelo Christian, l'attimo dopo mi hai lasciato con ancora più insicurezze. Ora sono una bambina perché credo nell'amore e...»
«Non lo sei», mormora interrompendo il mio sfogo.
«Cosa non sono Christian? Non mi propinare la solita frase: sapevi che io fossi così, perché anche tu sai come sono ma non ci hai pensato due volte a fare cosa? A giocare con me, perché era solo un gioco, vero? Un gioco per cosa? Portarmi a letto? Far vedere quanto sia persuasivo Christian De Luca? Bravo Christian, sei riuscito a portarti a letto una vergine, ora cosa vuoi? Quale obiettivo hai?»
«Non sei stata un gioco» sibila fissandomi da seduto con l'aria afflitta.
«No? L'hai detto tu...», borbotto tra i singhiozzi.
«Ho mentito», sussurra ancora, fissando adesso il pavimento.
«E cosa sono, sentiamo» farfuglio tra i singulti violenti che cerco di trattenere.
Le lacrime scorrono sul mio viso appannandomi spesso la vista, la gola brucia per le parole urlate e la testa subisce capogiri.
«Sentiamo, nulla? Sono nulla?» Lo canzono alzando la voce.
«Non lo so Federica» urla a sua volta.
«So solo che hai scompigliato la mia vita cazzo, so che non riesco a riconoscere me stesso da quando ti conosco! Riesci ad abbattere le mie difese senza battere ciglio, riesci a creare dei dubbi nella mia mente, mi fai sentire strano ed io non sono abituato a questo. È fuori dal mio controllo, tu sei fuori il mio controllo», conclude percependo in lui qualcosa di diverso, di nuovo.
«Non è un bene allora che io ti stia vicina»
«No, non lo è affatto! Ma io non riesco a starti lontano, più cerco di mandarti via più ritorno da te. Voglio tenerti lontana dal mio mondo, non è niente di bello. Non voglio questo per te, meriti di più di uno come me», le sue parole sono sofferte mentre le tira fuori con difficoltà.
«Ma io non voglio altro, non sei tu a dover scegliere per me ma io, sono capace di capire cosa voglio. Non ho bisogno di essere protetta»
«Se dici così è perché sei ingenua e non puoi capire», continua scuotendo la testa.
«Siamo molto più simili di quel che credi», sibilo raccogliendo una lacrima col dorso della mano.
Trasalisco sentendo dei passi dietro di me avanzare troppo velocemente, ruoto il capo e due occhi scuri preoccupati si fermano davanti ai miei.
«Fede cosa succede?»
È Carlo a parlare, ma io sono ancora scossa dalle sue parole. Non riesco a rispondere a tal punto che dopo avermi esortato una seconda volta, si precipita da Christian per assisterlo.
«Non sapevo dove fossi, poi abbiamo sentito urlare e mi dispiace avervi interrotti»
Il mio sguardo si posa su Charlotte dalla voce traballante e gli occhi lucidi.
«Avete ascoltato?», chiedo sottovoce facendomi sfuggire una lacrima.
«Non avrei voluto», tira su col naso e mi stringe tra le sue braccia così forte da farmi mancare il respiro.
«Non rompere Carlo, lasciami qua», impreca Christian quando lui prova a tirarlo su.
«Non rompere idiota... se non ti fai sollevare ti porto in macchina a calci», lo ammonisce costringendolo ad alzarsi.
Lo abbraccia dalla vita mentre Christian si sorregge mettendo un braccio attorno alle spalle dell'amico.
«Domani ti farò rimangiare di avermi chiamato "idiota"!» Esclama lui facendo ricadere la testa penzoloni.
«Si, okay... Ora taci e cammina», continua Carlo portandolo nella sua macchina mentre Christian continua a dire frasi sconnesse.
«Non l'ho mai visto così», mormora piano Cha osservando la scena, «soprattutto non l'ho mai sentito parlare così di nessuna» puntualizza spostando lo sguardo triste su di me.

La Forma del DestinoWhere stories live. Discover now