Capitolo 31

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FEDERICA

«Torniamo a casa?», domanda mentre mi bacia il collo.
Chiudo istintivamente le palpebre quando inizia a leccare la scia di baci che aveva percorso per poi cominciare a succhiare lentamente. Siamo in un parcheggio di chissà quale punto della città e sono a cavalcioni su colui che pochi minuti fa mi ricordava quanto fossimo diversi, che non saremmo mai stati insieme e che dovevamo stare distanti. Credo che non capirò mai i suoi sbalzi d'umore così repentini; perché dirmi quelle cose per poi impedirmi di andare via? La sua eccitazione mi preme sui jeans, le mani mi stringono i glutei; deglutisco a vuoto sentendo una sensazione di paura e esaltazione propagarsi nel petto. Non riesco a riconoscere la me di adesso con la me di qualche tempo fa, non mi sarei mai sognata di essere in un parcheggio vuoto ad ansimare sulle gambe di un ragazzo incasinato e bellissimo.
Non sarò mai come le altre, e non so come possa una come me attrarre uno come lui. Christian potrebbe trovare una ragazza ogni sera che soddisfi le sue voglie peccaminose e il suo corpo esperto. Mi rabbuio pensando a quante ragazze hanno baciato le sue labbra carnose e perfette, quante gli hanno procurato piacere e quante hanno assaporato la sua esperienza.
«Cosa succede?», si scosta dal mio collo e mi accarezza i capelli mentre mi osserva le labbra.
Scuoto la testa sfiorando le ciocche scompigliate che gli ricadono sulla fronte.
«Federica» mormora.
Bagno il labbro inferiore mordicchiandolo appena. È irresistibile sentir pronunciare il mio nome dalle sue labbra, le sillabe scivolano sulla lingua come miele.
«Perché perdi tempo con me?» chiedo abbassando il volto sul suo petto imponente fasciato da una polo verde che si distende sul suo torace facendo intravedere ogni lineamento dei muscoli.
«Chi ti dice che io stia perdendo del tempo?» giocherello con il colletto della sua maglia.
Con l'indice mi costringe al alzare il mento e incontrare quel verde smeraldo, colorato da venature di un verde scuro che mi induce a pensare siano la via per arrivare alla sua anima, così misteriosa e cupa.
«Non credo di essere quello che tu desideri, l'hai detto anche tu che siamo diversi» dichiaro scandendo ogni parola con difficoltà.
«Non ho mai detto che io non ti desideri, sei forse l'unica cosa buona che mi sia capitata ma... tu non conosci il mio mondo ed io non posso darti quello di cui hai bisogno. Se accettassi di avermi così, senza un legame... senza credere che possiamo diventare un noi, senza innamorarti di me potrei accettare di averti nella mia vita. Ma tu hai bisogno di qualcuno che ti renda felice e che non sia incasinato come me» le sue parole sono pronunciare con amarezza, come se non avesse scelta, come se non potesse trovare una via di fuga.
Lascio andare uno respiro e mi scosto dalle sue gambe, sentendo però ancora un vuoto al petto e percependo ancora le sue mani e la sua bocca su di me. Sapevo che il suo passato o quello che ha vissuto gli impediscono di fidarsi degli altri, ed io sono stata un'illusa a pensare che potesse essere diverso tra noi. Ecco perché non sono come le altre, non so se riuscirei ad accettare di avere il suo corpo — che concede a tutte — e rinunciare così a tutto il resto. Ai sentimenti che ormai non riesco a contrastare e a tenere a bada. Non sono innamorata di lui, ma non posso negare che  non sia entrato nel mio cuore. Non posso negare che sentirgli pronunciare quelle parole mi provocano un dolore al petto, che anche se si ostina a dire che non sia così mi tratta come una tra le tante. Non desidero solo il suo corpo, la prima volta che ci siamo incontrati quello che mi ha costretto a non dimenticarlo e a rivivere quel momento sono stati i suoi occhi, la sua anima incastonata dietro di essi e da lì ho capito che qualcosa dentro di me stava cambiando, qualcosa che piano piano si è propagato fino al cuore e l'ha reso suo, senza neanche accorgermene.
Mi siedo sul sedile e aggancio di nuovo la cintura, fisso davanti a me percependo un nodo serrarmi la gola. Gli occhi si riempiono di lacrime ma le scaccio prima che possano creare un disastro, non voglio che mi veda piangere. Non voglio che mi veda fragile. Accende il motore partendo l'attimo dopo, la musica adesso è l'unico sottofondo che riecheggia nella macchina, le mie mani si torturano e il mio respiro rende tutto piuttosto difficile, tuttavia, resto impassibile anche sotto il suo sguardo che brucia su di me ogniqualvolta ha l'opportunità di voltarsi.
Passiamo vicino al Joyce, il locale che di solito frequentano i miei amici e osservo la luce a neon blu e verde che richiama il suo nome.
Christian rallenta notando una calca di persone davanti all'ingresso, afferra il telefono digitando qualcosa sullo schermo. Aggrotta la fronte cercando di guardare all'interno del parcheggio del locale. Il suono del telefono di Christian emette un suono e lui risponde prima che possa riagganciare in tono calmo ma serioso.
La chiamata si conclude in semplici monosillabe incomprensibili; con un sospiro mi guarda stranito e poi aggiunge: «Dobbiamo fermarci un secondo, ma se preferisci posso portarti prima a casa».
«No, voglio venire con te» rispondo con una nota preoccupata nella voce.
Annuisce contraendo la mascella, espira leccandosi le labbra, poi, invece di proseguire torna indietro immettendosi dentro il parcheggio del locale.
«Rimani qui e non scendere per nessuna ragione», mi avverte con uno sguardo improvvisamente serio, quasi truce.
«Christian che cosa sta succedendo?», domando ma lui è già sceso dalla macchina con un'espressione arcigna sul viso e gli occhi socchiusi.
Lentamente si incammina verso la calca di gente e sparisce poco dopo nella penombra della sera.
Sono combattuta se scendere e capire cosa sta accadendo oppure rimanere qui a crogiolarmi nella confusione e obbedire al ragazzo più controverso che io abbia mai conosciuto. La mia curiosità mi precede e mi rendo conto troppo tardi che le mie gambe hanno deciso da sé, faccio lo stesso percorso di Christian sentendo delle urla diventare sempre più vicine e amplificate.
Corrugo la fronte notando una cerchia di persone che circondano come una gabbia tre individui. Mi faccio strada tra di essi sentendo un nodo formarsi anche alla bocca dello stomaco e giocare con le emozioni.
Mi insinuo in mezzo a due ragazzi per vedere di chi si tratta, sgrano gli occhi alla visione di Ted con un occhio nero e un ragazzo dall'aspetto tenebroso che gli riversa parole sprezzanti. I suoi occhi sono iniettati di sangue e con sarcasmo denigra il mio amico mentre giace a terra.
«Hai fatto un grave sbaglio» la voce profonda ormai familiare spezza il fracasso che si era creato.
La terza persona si rivela essere Christian, che con una spavalderia significante si avvicina a passo felpato verso il tizio dai capelli cortissimi e l'aspetto rude quasi quanto il suo.
«Che cazzo vuoi, De Luca?» tuona il ragazzo adesso concentrato su Christian.
«Be'... ti sembra educato parlare così davanti a tutti i presenti?» chiede lui trattenendo a stento un ghigno.
«Amico, fatti da parte» continua il ragazzo mentre colui che ha rubato la mia anima si sofferma davanti a lui abbozzando un sorriso.
«Oh Lorenzo, non confondere mai gli amici! Io non sono un tuo amico, io sono colui che fra pochissimo ti spaccherà il naso e ti ridurrà in brandelli per aver toccato un mio amico», dice arcigno marcando sull'ultima parola.
Sono alti uguali ma Christian possiede spalle più grandi e imponenti, anche Lorenzo ha un aspetto duro e solenne ma più snello e atletico.
Ha le mani strette a pugno, una vena pulsa sul collo e il torace fatica a mantenere un respiro regolare. Spalanco gli occhi quando Christian si avvicina al tizio che ha pestato Ted, eliminando la distanza che li separava.
«Ho solo fatto ciò che meritava, ci ha provato con la mia ragazza» ringhia Lorenzo fulminando Ted con lo sguardo che adesso in modo faticoso si è alzato da terra e viene sostenuto da un tipo che ricordo di aver incontrato alla festa di Christian.
La sua risata sonora e gracchiante attira di nuovo la mia attenzione sul loro scontro. Vorrei tanto irrompere per evitare una rissa imminente ma ho il terrore di creare scompiglio.
«Quella è la tua ragazza?» la indica.
«Davvero?», fa lui rivolgendosi alla "fidanzata" in questione.
Una giovane donna dall'aspetto tremolante ricoperta soltanto da un vestitino in paillettes, incrocia il mio sguardo per qualche istante. È in imbarazzo perché tutti gli occhi sono puntati su di lei;
«Ely, con tutti i ragazzi che puoi avere davvero perdi tempo con uno come lui?» borbotta Christian arricciando il naso inorridito.
«Se vuoi possiamo fare un secondo giro, farò un'eccezione per te» le schiaccia l'occhiolino mentre lei diventa paonazza di vergogna.
La sta umiliando davanti a tutti.
«Te la sei scopata?», urla Lorenzo rispecchiando la mia stessa espressione.
Un misto di perplessità e disgusto mi pervade, conosce la ragazza e ci è andato a letto?
«Me lo domandi, amico? Le sue mani fanno miracoli e la sua bocc...» Christian non riesce a concludere la frase perché Lorenzo lo scaraventa per terra con uno spintone.
Una seconda risata riecheggia nell'ambiente mentre Lorenzo prova a pestare il volto di Christian, ma lui con un gancio destro riesce a scacciarselo di dosso, si alza in piedi con un scatto e si pulisci con il dorso della mano nella parte in cui Lorenzo lo ha compito. In questo momento avverto adrenalina e paura prendere vita dentro di me.
«Sai quante volte ha urlato in mio nome mentre la scopavo per bene?» esordisce Christian sferrando un pugno allo stomaco del ragazzo e facendolo piegare in due.
Stringo gli occhi in due fessure per il gemito strozzato di Lorenzo che l'attimo dopo finisce con le ginocchia sull'asfalto. La scena mi inorridisce, vorrei fare qualcosa, chiedere a Christian di smetterla e risparmiarlo ma la sua ira e la sua foga mi inchiodano i piedi al pavimento.
«Pensavi di avere una verginella accanto? Mi faceva impazzire vedere il suo bel culetto su di me, anche a te piaceva la sua voglia nel suo interno coscia? Sembrava di caffè... si, caffè» bofonchia lui, prendendosi gioco di Lorenzo cercando di farlo infuriare ulteriormente, tirandogli poi i capelli per costringerlo a guardando in faccia.
Non gli lascia il tempo di reagire perché sferra altri pugni sul suo volto già grondante di sangue; perché nessuno fa nulla per fermarlo? Perché non capisce che sta esagerando e che quel ragazzo sta ormai perdendo i sensi?
Faccio un passo in avanti ma qualcuno mi attira a sé impedendomi di proseguire. Alzo gli occhi incrociando l'azzurro ghiaccio di Michael che sorride timidamente alla mia espressione sconvolta.
«Meglio se eviti di avvicinarti» mi sussurra all'orecchio.
«Perché non fate nulla per fermarlo?» ho le lacrime agli occhi.
«Peggioreremmo la situazione», dice semplicemente.
«Lui è così, non si ferma davanti a niente» ribatte continuando a guardare la lotta tra i due.
Ritorno a fissare la gabbia in cui il leone distrugge la sua preda mentre con parole cattive ricorda la notte di passione con Ely. Il mento inizia a tremare e capisco che non riuscirò per molto a trattenere le lacrime, ciononostante però Michael continua a sostenermi con un braccio magro attorno alla vita ed io istintivamente poggio la nuca sul suo petto, non per attrazione ma perché a stento le mie gambe riescono a tenermi in piedi.
«E adesso mi raccomando, prima di picchiare qualcuno per riempire il tuo ego prova a immaginare le mie mani mentre distruggono questa tua faccia di merda.»
Christian fa per alzarsi da terra e lasciare Lorenzo disteso di schiena con gli occhi chiusi e il sangue che cola sull'asfalto. Si guarda la maglietta con schizzi di sangue, gli lancia uno sguardo nauseato ma prima di voltarsi verso chi sta assistendo sferra un altro calcio al suo avversario, facendogli pronunciare un lamento di dolore.
«E adesso andate a farvi fottere, lo spettacolo è finito», conclude voltandosi verso Ted per dirgli qualcosa.
La gente si disperde andando alcuni verso il ragazzo ancora steso per terra, altri rimangono a parlottare tra di loro ed infine altri ancora ritornano dentro il locale. Sento le gambe di gelatina, la vista è annebbiata dalla violenza spietata che è uscita da quel corpo possente e maestoso.
«Stai bene?» la voce di Michael mi riscuote dallo stato di trance ricordandomi di essere sostenuta soltanto da lui.
Non rispondo ne accenno con un segno di vita per rassicurarlo, rimango invece a fissare il ragazzo che credevo di conoscere almeno un po' mentre con la stessa ira di prima si avvicina a me e la persona che non sopporta per chissà quale ragione.
«Togli quelle sporche mani da lei» gli sento dire coprendomi la visuale col suo corpo aitante. Il suo profumo di muschio mi investe e rimango ancora ancorata a Michael mentre osservo il suo torace adesso ricoperto da schizzi di sangue.
«Christian credo che tu abbia già abbastanza esagerato, non la vedi che è scossa?»
Non riesco a guardarlo in faccia, non riesco a incrociare i suoi occhi che prima di questo momento mi mettevano tranquillità e mi facevano sentire al sicuro.
«Ti avevo detto di rimanere in macchina», si rivolge a me con la solita voce profonda e rassicurante che farebbe sciogliere chiunque.
Continuo a guardare il suo torace e la stoffa sporca di rosso, ho il cuore in gola, le mani tremolanti e la vista annebbiata dalle lacrime che riaffiorano agli angoli degli occhi.
Si inclina verso di me per permettersi di guardarmi negli occhi, è molto più alto infatti per poter incrociare il mio sguardo con l'indice prova ad alzarmi il mento ma con un gesto improvviso indietreggio finendo contro il petto di Michael che ancora mi tiene saldo a sé.
«Fede...» mormora quasi timoroso di pronunciare il mio nome.
«Hai paura di me?» continua facendo questa volta lui un passo indietro.
Non ho paura che lui possa farmi del male, ma quello che ha fatto mi ricorda la violenza che mio padre utilizzava per punirci, il modo cattivo in cui pronunciava parole sprezzanti umiliandoci e la foga con cui si gettava contro di noi senza darci scampo.
Scuoto la testa sentendo il suo sguardo bruciarmi addosso, il suo odore di muschio continua a inondare i miei sensi mischiato però a quello di dopobarba e talco di Michael.
«Perché non sei rimasta in macchina?» questa volta il suo tono si abbassa e risulta un mormorio afflitto. Il Christian che ho davanti non è lo stesso che pochi minuti fa picchiava quel ragazzo; sembrava un forsennato, privo di ragione con l'unico scopo di far del male, ma il Christian che ho adesso di fronte è completamente diverso, pentito del suo destino, come se non potesse cambiarlo come se fosse dannato per l'eternità, un bambino colto con le mani nel sacco.
«Volevo assicurarmi che tu stessi bene» sibilo sciogliendo il contatto con Michael per avvicinarmi a lui. I nostri occhi si incrociano, i suoi sono lucidi e spenti, privi di vita, come se tutto fosse rinchiuso dietro quel verde smeraldo.
«Eravate insieme?», chiede Michael spezzando il nostro contatto visivo.
«Flores fatti gli affari tuoi, puoi anche andare adesso», lo liquida, concentrandosi subito dopo su di me.
«Fede» mi chiama.
«Sicura di star bene? Vuoi che ti riporti a casa?», fa lui provocando un sospiro rumoroso da parte di Christian.
Prima però che possa rispondere mi afferra per un braccio e mi trascina con sé.
«Non puoi decidere per lei» grida.
Christian si ferma facendomi quasi sbattere contro il suo corpo, scioglie la presa incamminandosi ferocemente verso di lui.
«Senti, mi hai proprio stancato Flores! Chi cazzo sei per dirmi cosa posso o non posso fare?»
Non posso rischiare che accada un'altra rissa e non posso rischiare che uno dei due si faccia male, per me.
Non so cosa loro due abbiano in sospeso ma questa non è una buona scusa per farne un dramma, mi riscuoto dal mio stato di trance accorrendo per fermare l'imminente rabbia di Christian.
Mi insinuo tra i due, più alti di me, mettendo però le mani sul petto di Christian che va su e giù in maniera alienante.
«Guardami», gli sussurro cercando di calmare il fuoco che divampa il suo sguardo.
Con gesti lenti accarezzo il suo torace cercando la sua attenzione, le mani strette ancora a pugno, le sue nocche bianche tremano lungo i fianchi e una vena pulsa sul suo collo come se volesse esplodere.
«Guardami Christian», alzo la voce addolcendo però il tono.
«Per favore», continuo.
Deglutisce a fatica, ma stacca lo sguardo da Michael riportandolo su di me. Con gli occhi gli chiedo di smetterla, di evitare di fargli del male, tuttavia, il respiro diventa lentamente regolare ma la mascella rimane contratta e le labbra strette in una linea sottile.
«Andiamo», sbotta riprendendomi di nuovo il polso senza stringere troppo la presa ma con decisione mi trascina fino alla macchina. Ruoto il capo verso Michael rimasto inerme nello stesso punto finché la sua sagoma risulta solo una forma scura e indecifrabile per via del buio.
«Perché l'hai fatto?», mi divincolo dalla sua mano e rimango bloccata davanti all'auto mentre lui apre lo sportello per salirci sopra.
«Sali», mi dice con tono distante e dispotico.
«Tu non mi dai ordini, dimmi perché hai picchiato quel ragazzo?», strillo.
«Hai visto Ted? Ho cercato solo di difenderlo», spiega come se fosse una buona ragione per ridurre quel ragazzo in quel modo.
«Che bisogno c'era di provocare altra violenza? Potevi parlargli», borbotto mentre lui scoppia in una risata amara.
«Pensi davvero che se gli avessi parlato avrei risolto le cose? Quanto sei ingenua Federica» dichiara rabbioso.
«Esiste il dialogo, si possono risolvere molte cose col dialogo! Perché ridurlo in quel modo e umiliare la sua fidanzata?» ho le lacrime agli occhi e il naso inizia a pizzicare, la solita sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco arriva fino in gola creano un nodo pungente.
«Sali su questa macchina, non ne voglio parlare!» afferma indicandomi di salire.
«Smettila di darmi ordini, voglio sapere perché l'hai fatto», urlo ancora.
«Sali su questa fottuta auto», strilla a sua volta sbattendo lo sportello e percorrendo lo spazio che ci divide.
Arriva ad un palmo dal mio naso, si sfiorano e la solita espressione distante e arcigna adesso mi fissa.
«Vuoi picchiare anche me, adesso? Eh?» lo fronteggio.
Aggrotta la fronte facendo un passo indietro. «Credi che possa farti del male? Credi che avrei il coraggio di sfiorarti?».
«E allora perché hai fatto del male a loro?»
«Perché lo meritavano, perché non sono persone buone, non hanno anime pure e dovevo proteggere Ted», sbotta.
«Non è vero. Tu dovevi proteggere la tua reputazione, perché se non lo avessi picchiato non saresti più quello che gli altri temono. Quando passerai davanti agli altri dovranno aver paura di te, e tu riempirai il tuo ego già spropositato... questo sei tu! Non sei migliore di loro, vuoi soltanto ammirazione dagli uomini e desiderio dalle donne, ma la violenza non può essere ripagata con altra violenza, Christian!» ribatto lasciandomi sfuggire una lacrima.
«Ecco perché mi devi stare alla larga, non sono quello che vuoi... io sono quello che hai visto e nient'altro. Non siamo tutti perfetti come te, non è tutto così semplice».
«Infatti non è per niente semplice, non sono perfetta. Sono l'imperfezione fatta persona ma non voglio fare ciò che mi hanno fatto. Non farò soffrire qualcuno solo perché io ho sofferto. Così non andremo mai, avanti. Non cambieremo mai.», sussurro lasciandomi scorrere le lacrime sul viso.
Il dolore al petto diventa estenuante e i singhiozzi fatico a trattenerli.
«Vuoi salire in macchina con il mostro o andare con lui?», domanda ed io mi volto vedendo Michael poco distante da noi a osservare la nostra conversazione cercando probabilmente di ascoltare.
Per quanto io sia contro quello che ha appena fatto, per quanto vorrei fargli capire che la violenza non è la strada giusta. I suoi occhi mi dicono che rinchiusa c'è un'anima buona che ha bisogno di aiuto per poter uscire fuori.

La Forma del DestinoWhere stories live. Discover now