Capitolo 67

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OLTRE

FEDERICA

30 ottobre - sabato

Non vedo possibile come la mia mente abbia potuto recepire quelle parole, come le mie orecchie abbiano udito una cosa simile. Anita, la mamma di Chris è in verità viva. Andrea come ha potuto mentire al figlio, cosa pensava di fare? Voleva forse aiutarlo in quel modo? Perché l'ha fatto? Christian ogni giorno sente il peso addosso di non poter neppure sapere che in qualche posto nel mondo lei, esiste. Si sente colpevole di quel che le è successo, si da la colpa della sua morte, della sua fine. Come può avergli mentito? Perché farlo? Proteggerlo da cosa? Da una donna che gli ha salvato la vita? Ho pensato che lui stesse cercando in ogni modo di farsi perdonare dal figlio ricominciando da zero, senza menzogne, senza mezze parole.
Ho il dovere di proteggere la sua anima ma adesso mi sento complice di sapere. Perché ho sentito qualcosa di cui non ho il potere di decidere. Amo Chris, lo amo ma qual è la cosa giusta da fare? Il loro rapporto subirà il non ritorno se venisse a conoscenza di questo. Sono follemente arrabbiata, non riesco a pensare, non so cosa sia la cosa giusta da fare. Cammino pestando i piedi sull'asfalto del parco, vicino casa. Mi muovo freneticamente con la musica nelle orecchie per comprimere un po' i pensieri. Lui deve sapere, ha bisogno di sapere. Ma cosa succederebbe se dicessi tutto a quell'anima già rotta? Rotta e bruciata, trafitta e segnata?
Il mio cellulare vibra ma non ci faccio caso, continuo a rimuginare mentre le voci di Andrea e del suo avvocato ritornano a risuonare nella testa.
Ho un peso al petto, il nodo alla gola vuole soffocarmi e sono combattuta;
perché gli ha fatto una cosa simile?, continuo a ripetermi.
Ricordo che Chris durante il suo racconto disse che la cercava, che scappava da qui per ritrovare la sua mamma, ma spezzare la speranza di un bambino in quel modo invece di aiutarlo. Perché è così difficile dire la verità?
Il mio cellulare trilla ancora, respiro a lungo e socchiudo gli occhi riempiendo i polmoni di aria fresca, tuttavia, all'ennesimo suono lo afferro con nervosismo e ritrovo le chiamate e i messaggi di Chris.
Puoi rispondere?, dice il primo messaggio.
Possiamo parlarne, per favore? Rispondi, cazzo!, dice il secondo.
Perché sei andata via?, scrive ancora.
Sto digitando "sono al parco vicino casa", quando avverto dei passi venire verso di me. Alzo gli occhi, ritrovandolo farsi strada attraverso i piccoli vialetti di erba che si uniscono, per ritrovarsi al centro dove sono situati tutti i giochi per bambini. Sembra affannato, un po' sorpreso e confuso. Alza le braccia mentre mi si avvicina, è ancora vestito dall'allenamento, sintomo che non si è curato del suo aspetto per venire qui. Levo le cuffie posandole nella tasche del giubbotto.
«Chris» faccio in tempo a dire prima che le sue labbra premano sulle mie.
Mi bacia quasi con forza ma la pressione che esercita mi piace, mi fa annullare tutti i pensieri negativi che fino a quel momento mi tormentavano.
«Scusa» sibila tra i baci.
Mi tiro leggermente indietro avvertendo il distacco della sua bocca calda su di me, le mie labbra hanno l'esigenza di essere ancora toccate.
«Non devi scusarti, avevo solo bisogno di stare da sola per un po'», cerco di rassicurarlo dandogli una spiegazione alla mia fuga da quella casa.
Sospira, si concede un flebile sorriso, dopodiché, riprende a baciarmi attirandomi tra le sue braccia.
«Non voglio litigare con te proprio oggi!» Esclama con gli occhi socchiusi.
Non rispondo ma inalo a lungo assorbendo il suo buon profumo, tuttavia, mi rendo conto solo adesso di che giorno sia. Il flusso degli eventi mattutini mi hanno impedito di pensare razionalmente, e così, mi rendo conto solo ora che oggi è proprio quel giorno.
«Un mese dalla mostra» diciamo all'unisono ma io aggiungo: «un mese di noi».
Lui arriccia il naso imbarazzato, ma non ribatte stampandomi un bacio sulla fronte.
«Andiamo?» Chiede provocandomi improvvisamente una sensazione di vuoto al petto. Dovrei dirglielo? Dovrei, sì. Merita di sapere la verità, ma come si dice una cosa simile? Come si inizia a parlare? Non voglio pensare alla conseguenza di quello a cui verrebbe a conoscenza ma è inevitabile. Cosa dovrei fare?
«Stai bene?» Mi domanda alzandomi il viso con l'indice.
Incrocio i suoi occhi verdi intensi e lucidi, avverto quello che la sua anima ha dovuto subìre, a quello che ho saputo durante la mostra, a quello che ieri sera lo tormentava. Avverto quello che ha potuto provare, sento lacerarsi lentamente sotto ai miei occhi la sua anima, piccoli brandelli si staccano viaggiando attraverso le sue iridi.
Vorrei piangere, crollare e prendermi quello che lui proverà.
«Fede» fa lui perplesso.
Schiudo le labbra, la mia gola si chiude e non esce nulla dalla mia bocca.
«Cos'hai?» Domanda preoccupato.
«Dove andiamo?» Dico invece.
«Da me?» Fa ancora con un pizzico di confusione nel tono.
«Vorrei andare un secondo a casa, magari ci vediamo più tardi?» Propongo.
Ho bisogno di pensare, ho bisogno di capire come dirglielo.
«Passo a prenderti alle 7?»
Assento.
Ci dirigiamo verso casa mia, e so che passerò le prossime ore a capire cosa sia meglio fare, tuttavia, una volta chiusa la porta alle spalle, ritrovo mia zia litigare con un aggeggio mentre Marco dorme beatamente sul divano.
«Ma buongiorno, ormai hai preso dimora fissa in quella casa», ridacchia cercando di attaccare degli adesivi.
«Cosa fai?» chiedo.
«Cerco di costruire questo castello, ma sembra un'impresa impossibile» sta dicendo mentre io mi butto sul divano cercando di ascoltarla, ma i pensieri sono ritornati a tormentarmi.
Annuisco più volte mentre parla, ma quello che attraversa la mia mente è la possibilità di parlare con Andrea e convincerlo ad essere sincero con Chris o metterlo al corrente che so tutto, o abbastanza.
«Quindi?» Alza la voce attirando la mia attenzione.
«Cosa?»
«Ecco, perché non mi ascolti mai... che succede? Avete litigato?»
Scuoto la testa continuando a guardare un punto davanti a me. Mi mordicchio una pellicina avvertendo una sorta di pesantezza sulle spalle e sul petto. Come se l'ansia fosse arrivata tutta d'un tratto in modo violento.
«Se venissi a conoscenza di qualcosa che potrebbe far male a qualcuno a te molto vicino, sarebbe giusto che tu gli dicessi le cose come stanno, vero? Ma facendo ciò, le conseguenze potrebbero essere eclatanti e in ogni caso questa persona a te vicina soffrirebbe, e tu non vuoi che stia male, giusto? In questo caso, se venissi a conoscenza di questo qualcosa dovresti dirglielo, no? Anche se le conseguenze sono difficili oppure è meglio evitare anche se in questo caso la persona in qualche modo soffrirebbe comunque, anche se non ci sarebbero quelle strane conseguenze, però tu risulteresti allo stesso modo una bugiarda e non va bene, quindi? Che dici?», spiego con troppa velocità ma provando a far capire a mia zia quello che intendo.
Non risponde subito scossa un po' dalle mie parole, quindi si prende il tempo per ragionare, tuttavia, borbotta delle idee che non mi fanno affatto avere consapevolezza di cosa sia giusto. Anzi, mi creano ancora più confusione, mi scompigliano i pensieri facendomi sentire in bilico tra quello che sia giusto fare e quello che devo e quello che voglio, e poi continua a chiedermi di cosa si tratta ed io non so come si formula una frase per spiegare questo.
«Quindi, in sintesi gliene parlerei... qualunque cosa sia, capirebbe», conclude facendomi provare un senso di vuoto così grande, da non riuscire più ad affrontare questo discorso.
Annuisco comunque, fingendo di essere d'accordo con lei ma ad un tratto mi ricorda di qualcosa che avevo per un attimo rimosso.
«Ma ti serve ancora quel piccolo loft di cui avevamo parlato?»
Dentro di me si riaccende qualcosa, avevo del tutto rimosso di aver chiesto a mia zia di poter arredare il loro loft ormai abbandonato, non sapevo quando fare o dire a Chris di questa idea, ma vorrei che lui avesse un posto dove poter rifugiarsi, dove poter essere se stesso. Tuttavia, il corso degli eventi mi hanno portato a mettere da parte questa idea e aver saputo di sua madre mi ha del tutto destabilizzata, ma credo che oggi è il momento perfetto per dedicarmi a lui. Non voglio passare un intero pomeriggio a dilaniarmi su cosa sia meglio fare. Devo dirglielo, quindi, prima o poi dovrò farlo. Non so come o quando ma dovrò farlo, per il suo e il mio bene.
«Si, solo se zio Adam è d'accordo! Non voglio crear... » cerco di dire ma lei mi interrompe subito.
«Fede, tuo zio ed io abbiamo preso quel loft appena siamo arrivati qui, ma non ci siamo mai andati ne lo utilizzeremo mai. Siamo felici di sapere che quel posto sarà utilizzato da te e Chris. Se il tuo progetto è quello di cui mi hai parlato, sono ancora più felice di dirti di sì. Quando vorresti andarci?»
«Pensavo oggi, facciamo un mese e sarebbe perfetto poterglielo regalare».
«Oh! Riuscirai a fare tutto nel pomeriggio?»
Mi rannicchio nelle spalle e mi intima a muovermi; per fortuna si propone di darmi una mano nel portare tutti i miei acquisti e aiutarmi ad arredare il posto.
Sono circa le cinque e mezza, ho male dappertutto ma il lavoro fatto con Elis sembra aver preso la giusta direzione ed essere uscito davvero bene. Siamo qui da questa mattina, non abbiamo neppure pranzato per riuscire a finire ma il risultato è sopra le mie aspettative. Amo i colori che offre il loft dal parquet marrone scuro alle pareti rosso acceso, mi affascina soprattutto il contrasto con i colori chiari dei due mobili vicino alla finestra. È tutto su un piano, dispone di un open space e un bagno, ma per quello a cui servirà, è perfetto.
Mi sdraio sul divano in pelle nero, e osservo dalla finestra grande e luminosa il cielo blu e la luce riflettere sulle tele bianche sorrette dal cavalletto in legno, sparse per lo spazio; una serie di colori e pennelli sono invece posizionati perfettamente asimmetrici e qualche tavolozza, invece, su una scrivania.
«Proprio un bel lavoro», commenta Elis guardandosi attorno.
Ora più che mai non posso mentirgli, non posso non dirgli la verità su sua madre, non sarò complice dello sbaglio di suo padre.
Il trillo del mio telefono mi avvisa che Chris verrà a prendermi tra meno di venti minuti.
«Devo cambiarmi, verrà a prendermi tra poco», farfuglio alzandomi in piedi.
«Bene, dobbiamo andare allora», dice Elis sistemando le ultime cose.
Il loft si trova alla fine del quartiere, in una strada isolata ma in pochissimi minuti rientro in casa, saluto mia madre e corro al piano di sopra. Non ci impiego troppo a sistemarmi, tuttavia, dopo la doccia decido di mettere un tubino color lilla e gli anfibi, un po' di ombretto e del mascara sulle ciglia, applico infine della cipria per apparire meno cadaverica e lego i capelli in uno chignon morbido con qualche ciocca pendente sul viso.
Ho il cuore che batte in modo frenetico, lo avverto pulsare sui polpastrelli, in simbiosi col respiro ma ancor di più, quando percepisco la sua voce nel mio soggiorno; non riesco davvero a capire come la mia mente e il mio corpo non riescano ad abituarsi alla sua presenza. Le sensazioni che riesco a percepire quando lui mi è vicino non riesco a giustificarle o anche a comprenderle. Forse è proprio questo quello che rende tutto così diverso con lui, non riuscire a gestire o ad abituarmi alle emozioni che provo e che lui mi provoca.
Ad ogni modo, prima di scendere al piano di sotto mi gusto per poco la scena di avere Christian imbarazzato mentre dialoga con mia zia e mia madre. Il suo viso è leggermente arrossato sulle guance, si dondola lentamente avanti e indietro ma appare comunque sicuro di sé. Riesce a mantenere la sua aria affascinante e serena, i movimenti sono controllati e anche le parole, tuttavia, mia zia esordisce con:
«si fa sempre aspettare la nostra Federica».
Socchiudo le palpebre, ma scendo i gradini, palesandomi.
«Sono qui», li informo fissando gli occhi di Chris che puntano su di me.
Sono sempre lucidi ed espressivi, li osservo e in un sospiro tento di non catapultarmici troppo dentro rimanendo incastrata nella sua anima. Mi fa sempre un certo effetto guardare il suo corpo, mi viene ancor più difficile fingere di non esserne così tanto attratta, non voglio che mi colga sempre a fissarlo e a contemplare quanto il suo essere mi affascina.
«Non fate molto tardi» si rassicura mia madre, e in contemporanea Elis dice tutto l'opposto provocandoci una risata.
«Noi andiamo» faccio davanti al portico con l'imbarazzo che mi inghiotte.
«Prenditi cura di lei» parla improvvisamente mia madre causandomi una strana sensazione al petto.
Lui la osserva per un istante e sembra in difficoltà su cosa rispondere, forse ci pensa su, sta cercando il modo corretto di far uscire le parole.
«Questa è la mia priorità, signora!» Esclama con convinzione, prima di guardarmi con un sorriso sincero.
Questa strana sensazione si trasforma in un'emozione che non riesco a gestire, inducendomi ad essere incapace di trattenere un sorriso sornione, e con me anche Elis e mia madre.
«Andiamo» mormoro e lui augura la buonanotte a entrambe.
Per tutto il tragitto non mi svela dove siamo diretti, piuttosto canticchia di tanto in tanto la playlist dei the Neighbourhood, dove attraverso la melodia e le parole di Sweater Weather riesco sempre più a perdermi nell'osservare i suoi tratti, il modo in cui rimane sempre serio e riflessivo osservando dinanzi a sé. Il suo viso asciutto, l'accenno di barba che ogni tanto sfiora con i polpastrelli, e con un gesto abituale accompagna l'indice a carezzare la punta del naso seguendo tutta la linea, mi affascina confondendomi al tempo stesso.
Tuttavia, il tramonto gli colora la pelle leggermente ambrata, le ciglia solcano l'iride verde dalle venature scure, colorano il suo viso, anche le sopracciglia folte e curate appena carezzate da ciocche castane pendenti e ribelli sulla fronte.
Sembrano tanti fili dorati alternati con altri marrone scuro, la dose perfetta per dare armonia al suo viso perfettamente proporzionato. Amo osservare i suoi lineamenti e i suoi colori, o i gesti che fa abitualmente: leccarsi i lati della bocca, giocherellare con il labbro inferiore, o ancora, socchiudere gli occhi ed assumere un'espressione seriosa ma attraente.
«Ti piace tanto guardarmi?» Fa improvvisamente senza ruotare il capo verso di me, io scatto con lo sguardo in avanti ma poi mi decido a rispondere: «ti dispiace?».
«Affatto» dice sinceramente.
Questa volta i nostri sguardi si fondono, prima che lui ritorni a guardare davanti a sé.
«Abbiamo la stessa passione» mormora.
«Ti piace guardarti? Come siamo narcisisti», gongolo prendendolo in giro.
Lui scuote la testa ma sorride.
«Be'... non mi dispiace guardarmi ma preferisco guardare te!», esclama senza troppo impaccio nel parlarmi con sincerità.
Arrossisco cambiando discorso. «Dove siamo diretti?»
«Ancora... quando saremo lì lo saprai» sbuffa.
«Vuoi uccidermi e non lasciare tracce?» Scherzo.
«È la giornata ideale se ci pensi ma no, non è arrivato il momento di ucciderti... ci penserò nei prossimi giorni», scimmiotta schiacciandomi l'occhiolino ma poi aggiunge: «siamo quasi arrivati, abbi pazienza».
Sospiro e mi dedico al tramonto, la sua mano mi avvolge la gamba carezzandomi la pelle con il pollice. Sento la mia anima andare in simbiosi con la sua, tuttavia,  contemplo la bellezza del paesaggio perdendomi poi nella melodia della musica, ma in pochi isolati mi indica che siamo arrivati.
Non conosco né zona né il posto che ho davanti; mi chiede di seguirlo, facciamo qualche passo e mentre camminiamo avverto la sua mano carezzare la mia intrecciando così, le mie dita alle sue. In poco tempo, la vista del mare è davanti ai miei occhi.
È così calmo, penso.
Uno specchio d'acqua blu, col sole riflettente su di esso creano alla vista un senso di pace, meraviglia, bellezza. Chris si leva le scarpe ed io faccio lo stesso, immergo i piedi nella sabbia fredda. Mi mancava questa sensazione, inalo l'odore di mare incamminandoci verso la riva.
«Ci venivo spesso con lei, quando aveva una giornata felice mi portava qui! Amavo correre sulla sabbia e giocare con il mio orsacchiotto Larry, e poi, andavamo lì "da Mario". Non vengo in questo posto da quando avevo circa sei anni, quindi, non so cosa ritroveremo in quel ristorante ma ho scoperto che è ancora aperto, e volevo farti conoscere anche questo di me.»
Sta osservando il sole tramontare, è pensieroso; sicuramente sta cercando di ricordare quei momenti con sua madre. Io, d'altro canto mi stringo a lui e ascolto in silenzio il suono delle onde fare da sottofondo a questa pace.
Non posso mentirgli, adesso più di ogni altra cosa, non voglio rovinare questo ricordo ma dovrò cercare il modo di raccontagli come stanno le cose perché lui si sta aprendo con me, mi sta mostrando il suo mondo, quello che ha dentro, quello che ha vissuto e quello che sua madre gli ha lasciato.
Ad ogni modo, ruoto il capo verso il ristorante dallo stile antico con le pareti a vetrata con su scritto Da Mario. Tutt'intorno è circondato da una staccionata bianca e delle siepi dove sono ubicati dei tavoli, c'è un contrasto tra elegante e antico rendendo il locale un posto particolare e raffinato.
Affondo i piedi nell'acqua fredda, i brividi mi colpiscono la pelle ma avere lui accanto mi causa un senso di calore non indifferente. Lui fa altrettanto, abbracciandomi da dietro e affondando la testa nell'incavo del mio collo.
«Grazie» sibilo.
«Di cosa»
«Aprirti con me, includermi nella tua vita, nel tuo passato, nel tuo presente».
Non ribatte, ma prende a carezzarmi in silenzio, a stringermi tra le sue braccia facendomi sentire al sicuro.
Poco dopo, mi induce a seguirlo fino all'entrata del ristorante dove una donna sulla quarantina ci accoglie in modo amorevole, indicandoci di seguirla. L'odore che si respira è un misto tra mare e estate, avverto il bisogno di quella stagione ma poterne percepire l'essenza nel locale, mi fa provare un mix di sensazioni, mai assaggiate prima.
«Seguimi» dice non appena la donna ci indica il tavolo prenotato.
Lo faccio senza replicare, percorre tutta la sala puntando verso una bacheca dove si sofferma, la osserva e lascia andare un sospiro, dopodiché, si accerta che io lo stia seguendo e lentamente si avvicina fissando delle foto appese.
La poca gente in sala ci osserva curiosa, lanciandoci qualche occhiata di sottecchi ma non ci do peso notando il cambio d'umore repentino di Chris, che rimane immobile a fissare cos'ha davanti agli occhi.
«È ancora qui» sussurra quando mi avvicino per capire a cosa si riferisce.
Passo in rassegna tutte le foto appese, c'è gente di ogni tipo abbracciati con lo stesso uomo dall'aspetto gentile, tuttavia, seguo lo sguardo di Chris che osserva la foto di una donna e un bambino, tenuto in braccio dallo stesso uomo di tutte le foto. Il bambino sembra effettivamente Chris e lo noto non solo dai tratti simili ai suoi ma anche da un piccolo orsacchiotto grigio, un po' sporco e malconcio che tiene saldo da un braccio.
Sorrido, capendo che sta ripercorrendo una piccola parte della sua infanzia con me, rendendomi partecipe della sua vita. Poggio la testa sul suo braccio, avverto la sua anima legarsi alla mia, la sento piangere mentre guarda sua mamma con un cenno di sorriso sulle labbra. È così bella, sembrano felici qui.
«Christian?» Sentiamo entrambi.
Ci giriamo nella stessa direzione, quell'uomo della foto dall'aspetto un po' invecchiato e dai capelli non più neri ma brizzolati, ma sempre dallo sguardo tenero e gentile, ci scruta con occhi sgranati e sorpresi. Un sorriso spunta sul suo volto ma anche sul nostro; Christian pronuncia il suo nome avvicinandosi per abbracciarlo.
«Inconfondibile!», esclama stringendo in un abbraccio il ragazzo che adesso è il doppio di quel mini bimbo che teneva tra le braccia.
«Gli occhi sono sempre uguali, belli come quelli di tua madre» dice dandogli una pacca sulla spalla.
«È passato così tanto tempo», fa Chris in un respiro dopo aver avvertito probabilmente quell'emozione di dolore che gli provoca, quando parlano di sua mamma.
«Vero, tanto tempo ma come vedi le cose sono rimaste molto simili. Speravo di rivederti» puntualizza l'uomo toccandosi i capelli malinconico.
Il mio incasinato annuisce senza replicare, così Mario, si accorge di me esordendo: «E tu?».
Christian si sposta poggiandomi una mano sulla schiena.
«Lei è Federica», fa una pausa ma poi aggiunge: «la mia ragazza».
È la prima volta che lo dice, presentarmi come sua fidanzata. Questo mi crea un vortice di emozioni a cui non sono abituata affatto, deglutisco a vuoto e in imbarazzo con la faccia paonazza, gli porgo la mano cordiale presentandomi.
«Ancora è qui» gli fa notare Mario indicando la foto.
«Era una peste questo ragazzo qui», dichiara rivolgendosi a me.
«Correva sempre per tutto il locale e Anita... sua mamma a inseguirlo ma non riusciva mai ad acciuffarlo. Per fare quella foto? Ci abbiamo messo parecchio, ma nessuno poteva toccargli quel pupazzo, quindi, quando volevi che facesse qualcosa, gli dicevamo che li avremmo separati e lui si immobilizzava subito e obbediva a tutto.» Mi racconta lui entusiasta fissando la foto.
Sorrido ammirando il suo piccolo volto dolce, mentre stringe il braccio del pupazzo come se allentando la presa potesse dissolversi e perderlo. La sua piccola anima sembra custodire ancora quella spensieratezza, che presto gli è stata strappata via dalla realtà. Dopo poco, l'uomo ci accompagna al tavolo, augurandoci un buon pranzo aggiungendo qualcosa che mi sorprende ma mi rende ancora più conscia di quanto sia buono.
«Si vede che riesci a renderlo felice... custodisci il suo cuore, non merita la fine di Anita», esclama sottovoce mentre Chris ritorna al tavolo dopo essersi assentato per salutare la moglie dell'uomo.
Quando ci sediamo, ordiniamo i piatti che prendeva sempre da piccolo; inoltre passiamo tutto il pranzo a dialogare e ridere, ridere così tanto da aver male alla pancia. Mi racconta di quanto faceva impazzire Mario e sua mamma, o di quando ha riversato un intero vassoio per terra scappando subito dopo sul retro e facendo prendere uno spavento a tutti, poiché scomparso per circa tre ore.
«E sei rimasto nascosto per tre ore seduto sul retro del ristorante mentre tutti ti cercavano» rido.
«Be' in realtà mettevo una mano sulla bocca di Larry, e sussurravo non parlare sennò ci beccano».
Scuoto la testa ridendo. «Tu facevi impazzire tutti da piccolo, non sei cambiato molto direi» gli faccio notare.
«Be'... non come quella volta in cui mi sono arrampicato su un albero per tutto il pomeriggio, con mia madre che urlava da sotto dove fossi».
«Non oso immaginare cos'ha fatto quando ti ha trovato».
«In realtà mi ha proibito di vedere cartoni e mangiare gelato, dovevo rimanere in camera e uscire solo per il pranzo e per la cena, ma non mi dispiaceva perché in quel modo ho imparato a leggere e a disegnare».
«Wow, a che età hai imparato a leggere?»
«Avevo cinque anni, ho iniziato a leggere il barone rampante, mia madre lo leggeva tutte le sere ed io a furia di ascoltare e guardare le parole e come le pronunciava, dopo qualche settimana lo sapevo letteralmente a memoria».
Sono affascinata da quanto sia sorprendente la sua bravura, prima di conoscerlo davvero, credevo di avere difronte una persona priva di questa bellezza, ed invece, Christian è una sorpresa ogni giorno.
«Oh!» Esordisce dopo poco aver mangiato l'ultimo boccone del suo pollo al curry marinato con latte.
«Volevo darti una cosa, non è niente di che ma l'ho vista in un posto e ho pensato a te... spero ti piaccia», balbetta estraendo dalla tasca del suo chiodo una piccola scatolina dorata.
La osserva per un istante sistemando il fiocchetto, poi, alza lo sguardo su di me passandomi il regalo. La afferro, carezzando la carta dorata che la ricopre e lentamente sciolgo il fiocco. Guardo Chris di sottecchi rimasto con le mani intrecciate posizionate sotto al mento, in attesa che io sveli cosa mi ha comprato.
Mi mordo le labbra, e in modo lento apro la scatola facendo aumentare la suspence e l'ansia per Chris e l'eccitazione per me.
«Dai» fa quando ci metto più del dovuto ad aprirla.
«Shh» lo ammonisco facendo un sorriso divertito.
Lui mi lancia un'occhiata e sospira rimanendo in silenzio, in attesa.
Ad ogni modo, apro del tutto rivelando una collana con il ciondolo di una margherita.
È bellissima, penso.
Schiudo le labbra, e il mio sorriso diventa più grande mentre ne carezzo la forma. La margherita è dorata come il fiore che ha inserito nell'invito o i cioccolati che mi regala ogniqualvolta va al Cake Village. È delicata, bella ed elegante.
«È davvero bella, Chris! Grazie» mormoro scrutandola con ammirazione.
«Posso mettertela?» Chiede ed io annuisco.
Si alza, mi viene vicino e lentamente la afferra; si mette dietro di me e l'aggancia al collo carezzandomi la pelle con i polpastrelli, provocandomi così la pelle d'oca.
«Fatto» dice stampandomi un bacio dietro l'orecchio.
Non appena si siede esordisco con: «adesso tocca a me, portarti al tuo regalo».
Lui aggrotta la fronte confuso e curioso: «mi hai fatto un regalo?».
Assento.
«Portarmi?» Domanda ancora pensando alla mia affermazione.
«Si, ora tu dovrai attendere e fidarti dove ti porto» dichiaro.
«E dove andiamo?»
«Abbi pazienza, non essere così frettoloso di sapere... presto lo scoprirai» scimmiotto con veemenza.
Scuote la testa ma annuisce senza riuscire a trattenere un sorriso.
«Sei tu quella che vuole uccidermi allora» fa quando gli mostro la benda che deve indossare.
«Forse» ridacchio mentre gli copro gli occhi.
Sospira energicamente. «Cosa mi fai fare Federica».
«Dai, non lamentarti e scendi dalla macchina», lo intimo dopo aver parcheggiato vicino casa mia.
Lui esegue senza replicare, tuttavia gli prendo un braccio e lo induco a seguirmi, rido di gusto quando a tentoni cerca di camminare e inciampa sui suoi stessi piedi.
«Fidati» ghigno.
«Tu vuoi seriamente farmi del male oggi» si lamenta.
Lo zittisco incitandolo a continuare senza blaterare troppo. Dopo qualche minuto siamo davanti alla porta in alluminio colorata di un rosso acceso, come le pareti, difficile da confondere.
«Siamo arrivati, non fare domande e goditi quello che vedi» dico prima di aprire la porta.
«Non toccare» gli schiaffeggio le mani quando cerca di toccarla per capire.
«Federica, lo sai che dopo toccherà a me torturarti» ghigna.
«Shhh... e fidati di me» lo rimprovero.
«Mh, non so se mi fido» fa titubante ma prosegue.
Lo aiuto ad entrare e prima di dirgli che siamo effettivamente arrivati lui brontola: «secondo me vuoi davvero uccid...», sta parlando ma prima che possa finire sciolgo la benda dandogli l'opportunità di vedere il suo nuovo mondo.
Lui si blocca, osserva il posto, dopodiché, aggrotta la fronte e spalanca gli occhi dopo aver realizzato. Abbassa lo sguardo su di me, poi ritorna a scrutare tutto l'occorrente per il disegno e la pittura che gli dispone il loft. Fa un giro di tutta la stanza senza dire nulla, intontito da quello che ha davanti, poi, ritorna a guardarmi e osservare il posto per altre tre volte incapace di dire o fare qualsiasi cosa.
«Ehm...è tutto mio?», inizia confuso.
Annuisco felice del mio regalo che pare apprezzare, poi, come se avesse realizzato davvero, mi aggiunta dal braccio attirandomi a sé.
Il mio corpo aderisce perfettamente al suo, con una mano mi afferra i capelli costringendomi ad alzare lo sguardo su di lui.
Scuote la testa lasciando andare dei respiri. «Cosa sei, chi sei tu».
Mi mordo il labbro inferiore ma in un attimo non tocco terra, le mie gambe avvolgono il suo bacino, e le sue mani mi stringono mentre la sua bocca mi chiede il permesso di baciarmi, di accendere la passione che con lui non cessa mai di esistere.

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