Capitolo 24

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CHRISTIAN

Credo di essere in procinto di un esaurimento nervoso ed essere obbligato ad incontrare di nuovo la dottoressa Rinaldi, non aiuta affatto.
Ho circa tre ore di sonno, accompagnate da sei di boxe e due di corsa. Non riesco a scaricare la tensione e l'adrenalina che ho in circolo; il suo pianto, il suo disprezzo verso di me e... i suoi occhi così spenti, delusi, non mi danno tregua. Quel blu mare mi fissava, mi fissa ancora adesso ed esprimono tutto quello che ho sempre ammesso: sono un mostro.
Mente alla sua migliore amica e perdona le mie parole taglienti; non volevo che quel verme respirasse la sua stessa aria e sono rimasto in silenzio per evitare che ci andasse di mezzo lei, ma questo lei non può capirlo. Quando l'ho visto avvicinarsi verso di noi sapevo che tutto sarebbe andato a rotoli, ma come potevo pensare di poter gestire la situazione? Lei non conosce il mio passato, non ha conosciuto Nicole e non conosce la mia infanzia. Avrei voluto che capisse un po' di più ma non può farlo, non lo pretendo poiché la sua anima troppo innocente le impedisce di distinguere quanto male possono fare le anime come quelle di Mattia, alla quale non provo nessun timore ma so che sarebbe capire di fare qualsiasi cosa.
Ho bisogno di proteggerla, almeno da loro e da me, sento che devo farlo ma questo comporta starle distante. Se lei si trovasse lontano da me, starebbe bene. Persino con Michael l'ho vista sorridere, persino con una cicatrice che le provoca incubi e dolori  la sua aurea innocente non crolla e questo mi impedisce di comprendere come possa essere rimasta così pura.
Pigio sul sesto piano, le porte dell'ascensore si chiudono provocandomi ancora più malessere. Come starò in silenzio per un'ora a torturarmi assiduamente su Federica, mentre la Rinaldi prova con le sue domande da strizza cervelli a farmi parlare?
Quel noi, pronunciato in modo flebile dalle sue carnose labbra mi hanno destabilizzato del tutto, dovrebbe sapere che non sono quel tipo di persona. Come siamo arrivati a questo punto?
Sono quel mostro che dentro la sua anima ha dei demoni che governano ogni parte delle sue viscere, alimentano le fiamme quando sono a contatto con qualcosa di estremamente innocente, mi causano dolore finché la mia mente malata non la riversa su di loro. Devo proteggerla da me, si farà del male avendomi vicino. Quando ha sbattuto la portiera andando via da me, ho capito che forse non si volterà più indietro. Forse sono ancora in tempo per dimenticarla, mandarla via dalla mia vita. 
«Signore è il suo piano?» domanda timidamente una donna dall'aspetto pulito e minuto.
Scuoto la testa scacciandomi la sua immagine da davanti agli occhi ed esco dall'ascensore senza ringraziarla.
La porta dell'appartamento è semiaperta, quindi, è pronta a ricevermi. Entro chiudendola alle mie spalle, inalo a lungo e mi incammino verso lo spazioso studio della Rinaldi.
Il suo entusiasmo non tarda a mancare e salutandomi mi indica di sedermi su quell'odioso divanetto.
«Come stai?» mi domanda guardando la sua scrivania colma di fogli e carte scribacchiate.
Quel disordine mi causa ancora più nervosismo, vorrei alzarmi e sistemarli tutti.
Come sto? Come vuole che stia dottoressa? Come sempre, o peggio di sempre. Ho come la sensazione che ci sia qualcuno dentro di me a divorare e distruggere pezzo dopo pezzo, e farmi sentire e ascoltare impotente di reagire.
Improvvisamente chiedo: «Lei come sta?».
Anche la sua espressione è di sorpresa, pur di non pensarla per qualche istante e soprattutto non pensare a quanto odio me stesso, ho bisogno di provare a trasportare i miei pensieri altrove.
Mi rivolge un sorriso mostrando i denti: «Io sto bene, grazie per averlo chiesto» dice prima di sedersi davanti a me col suo taccuino sulle gambe.
Metto le braccia conserte guardandola con aria di sfida. Oggi non mi farò annoiare dalle sue solite domandine da psicologa.
«Cosa scrive su quel quadernino? Quanto i suoi pazienti siano pazzi? Fa tipo la classifica dai più indecenti ai più malsani?» la provoco causandole solo un sorriso sornione sul viso.
«Non ho pazienti malsani o indecenti, ho solo persone che hanno bisogno di aiuto per capire quale sia la causa del loro malessere e dopodiché cercare di farglielo superare» spiega sempre con il suo tono pacato e monotono.
«È la stessa cosa» puntualizzo.
«Comunque non si stanca di ascoltare la vita di tutti e i loro problemi, non credo che lei non abbia altro di cui preoccuparsi», ribadisco, per l'ennesima volta da quando la conosco.
«Ho deciso io di aiutare il prossimo e poi sì, ho chi mi aiuta. Ho accanto un uomo che ogni giorno mi sostiene. Tutti dovremmo avere qualcuno su cui contare» cinguetta accarezzando la copertina del quaderno.
Evito di ribattere e domando invece: «Perché è così importante per alcune persone fare la cosa giusta?»
«Li aiuta a gestire meglio la vita, alcune persone stanno bene vedendo qualcun altro stare bene!» dichiara.
Corrugo la fronte.
«Ma non ha senso, questo l'ha letto da qualche parte, in qualche romanzo» esordisco deleterio.
«E se fosse?»
«Non possiamo basarci su cose che leggiamo su dei libri» dico incredulo.
«I libri sono il riflesso della realtà accompagnato da un pizzico di fantasia» sostiene con aria quasi sognante.
«Dottoressa io credo che le persone facciano qualcosa solo perché pretendono di ricevere un beneficio in cambio, sennò perché farla?»
«Perché tieni a quella persona, sei mai stato innamorato?»
«No» rispondo freddo.
«Allora prendi un amico, colui che è cresciuto con te, se avesse un problema vorresti aiutarlo?»
«Si» dico sinceramente.
«E pretendi qualcosa da lui?»
«Pretendo lo stesso affetto»
«Bene. Questo è lecito, ma in quel momento mentre lo vedi soffrire per qualcosa che lo logora... il tuo pensiero è quello che un giorno lui ti dovrà ricambiare?»
La mente si sposta a ieri mattina, il suo pianto e i suoi singhiozzi. Sono riuscito a farla piangere per ben due volte e non ho fatto nulla per rimediare, anzi, l'ho allontanata; le ho distrutto la giornata e l'ho delusa.
«E se non fossi capace ad aiutare qualcuno? Se invece di aiutare la mandassi
via?» domando soprappensiero.
«Forse hai troppo paura di perderla» la sua voce risulta lontana, ma ne comprendo le parole. La sua immagine, invece, è limpida, nitida davanti a me.
«No, io la allontano perché non posso darle quello che chiede»
Fisso la stoffa del divano grigio, Federica è sempre davanti ai miei occhi e sorride, per poi sparire andando via da me.
«E cosa chiede?»
«Noi. La tipica storia dell'innocente e il mostro, solo che adesso il mostro non può cambiare. Ha utilizzato "noi" per descriverci, non potrò mai essere capace di darle questo. Non mi conosce affatto, se mi conoscesse meglio rimarrebbe delusa e mi odierebbe» borbotto incapace di fermarmi.
«Christian non puoi essere nella testa delle persone, perché dici che ti odierebbe se ti conoscesse meglio?»
«Perché è semplicemente così, già mi odia e non la biasimo» sibilo.
«Odiare è un sentimento forte Christian, cosa hai fatto per pensare ciò?»
Alzo gli occhi su di lei, i suoi occhi color ghiaccio quasi si confondo con quelli di Federica.
«Anche lei ha detto così: l'odio è un sentimento troppo forte, non potrei mai odiare nessuno» farfuglio sentendomi stordito.
«Appunto»
«Ma l'ho delusa e non l'ho protetta» mormoro.
«Protetta da cosa?»
«Me stesso» mormoro.
«Tu credi che lei voglia questo?»
«Non lo so»
«E allora rimedia, fai qualcosa per lei e sistema prima quello che provi. Cerca di capire quanto sia importante per te, liberati della tensione e chiedi scusa. Non sei il mostro che ti ostini a credere, anche tu puoi provare amore ed essere felice.» Il suo consiglio mi scuote, ho parlato di Federica alla Rinaldi senza rendermene conto. Scaccio la sua immagine dalla mente e strofino gli occhi per riacquistare lucidità.
«Le persone vanno via, prima o poi ti abbandonano, quindi, perché perdere tempo?» il mio tono adesso diventa più acuto e dispotico.
Osservo per un istante l'orologio, mancano cinque minuti alla fine della seduta. Il tempo è passato così velocemente? È la prima volta che non mi rendo conto del tempo trascorso qui dentro.
«È inevitabile Christian, possono andare via, ma possono anche rimanere a lungo e lasciarti un ricordo indelebile»
Mi alzo in piedi, faccio un giro con lo sguardo della stanza respirando energicamente. Non riesco a liberarmi di questa tensione che ho nel petto, devo imprigionarla e mandarla via.
«Non andare via Christian, abbiamo ancora del tempo» quasi mi supplica ma non l'ascolto.
Prima di uscire dico alla Rinaldi di leggere meno libri con lieto fine — ovviamente mi ha sorriso ricordandomi che mi aspetta alla prossima seduta — dopodiché, chiamo Dan.
«Amico» urla con voce roca.
«Dan, mi serve un favore»
«Dimmi tutto»
«Ho trovato un tatuaggio che voglio fare, ma ho bisogno di farlo entro la giornata, posso passare?»
«Certo amico, sto aprendo lo studio adesso, ti aspetto da qui!» dichiara.
Riaggancio, entro in macchina scarabocchiando il disegno. Evito le infinite telefonate di Luana e Carlo, dirigendomi, invece, verso Dan. Mio padre si infurierà da matti, non vedo l'ora.

La Forma del DestinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora