Capitolo 47

266 14 2
                                    

CHRISTIAN

So che averla portata da Lea le ha dato speranza, una speranza che non avrei dovuto concederle perché so quello che potrebbe succedere, so che presto accadrà qualcosa che mi costringerà a tenerla distante da me ma non riuscivo a vederla in quel modo, il suo sguardo spento, gelido, impaurito fissava quella cicatrice come qualcosa che le causa un dolore incommensurabile ed io conosco quella sensazione, non l'ho mai vista così, assaggiare un po' del suo dolore mi fa capire ancora di più il perché lei è diversa. Quel dolore che entrambi proviamo divora ogni centimetro di pelle, attraversa le vene e corre fino al cuore bruciando con esso anche l'anima. Riuscivo a percepire un silenzio assordante che partiva da lei, aveva bisogno di me ed io senza pensarci ho fatto qualcosa che non credevo possibile, ho aiutato la sua anima invece di annientarla.
«Come ti senti adesso?» Le chiedo osservando il suo viso a stretto contatto con la luce del mattino che le bacia la pelle.
Ha smesso di piovere, la luce del sole si fa strada fino a noi, dal finestrino entra dell'aria fresca, così da poterle concedere la possibilità di godersi il vento scompigliargli i capelli. Mi sorride con occhi che brillano, luccicano mentre sussurra: «Adesso sto bene».
Wait dei M83 risuona da sottofondo alla radio, alzo istintivamente il volume facendo riempire l'abitacolo di questa melodia incantevole. Si volta verso di me, mi osserva e dalle labbra le esce un flebile suono: «Send your dream where nobody hides».
Annuisco e muovo le dita sul volante a ritmo di musica; le lancio un'occhiata ritrovandola con le gambe raccolte tra le braccia, il viso spensierato e le palpebre socchiuse. Poggio la mano libera sulla sua coscia accarezzando la sua pelle candida; impazzisco nel vedere le sue gambe color latte punteggiate dalle lentiggini.
È una dea, penso.
Una piccola anima pura.
«...there's no end» mormora ancora incurvando le labbra in un sorriso, aggiungendo la strofa successiva: «There is no goodbye».
Nella mia mente risuonano le frasi che ha pronunciato: "manda i tuoi sogni dove nessuno si nasconde" e "non c'è fine... non vi è addio"; perché è così speranzosa? Cosa non la fa smettere di sognare?
Ci fermiamo ad un semaforo e ho il tempo necessario per osservarla qualche istante in più. I capelli ondulati come un aspirale che ti ipnotizza, simili alle onde del mare che travolgono tutto, arrivano appena sotto le spalle carezzevoli sulla pelle bianco latte punteggiata come con un pennello. Le braccia sottili poggiate in grembo, le mani affusolate e curate. La canotta senape le da un tocco di colore, risaltando il viso magro e delicato. Il naso piccolo, un po' all'insù, proporzionato per il suo viso. Le guance rosse e le ciglia che si baciano nascondendo quel colore blu cobalto che mi cattura imprigionandomi e leggendomi fin dentro l'anima.
Schiude la bocca mentre la canzone volge al termine sibilando «No time...»;
il tempo scorre, vola via ma lei rimane impressa sempre di più nella mia mente.
Sposto lo sguardo e parto con gli occhi dritti sulla strada per non farmi beccare a fissarla, dopodiché mi domanda dove siamo diretti.
Ho in programma di portarla di nuovo al lago ma prima mi fermerò a casa a prendere qualche cambio per la notte, domani tornerà sua madre e sarà difficile poter dormire ancora con lei e queste notti insieme mi hanno dato qualcosa che non avevo mai assaporato: pace.
Quando sentivo che sarei crollato nel baratro mi bastava percepire il suo calore, e il suo modo spontaneo di stringersi a me mentre dormiva per ritornare vigile e non fare incubi che mi avrebbero destabilizzato. La prima notte insieme ho avuto paura di perdere il controllo, sentivo sarebbe successo qualcosa, qualcosa di cui però non mi sarei mai aspettato, sono riuscito a controllare i miei sogni e non essere inghiottito dai ricordi, anche se poi sono riaffiorati con violenza quando lei è andata via.
Mi sentivo e mi sento come se la mia mente fosse in silenzio, e il mio corpo fosse staccato dall'anima che brucia e mi causa dolore.
Non mi sento me stesso con lei, mi sento di più, mi sento come mai in vita mia. Lontano da quel me che tanto detesto.
«Ci fermiamo a casa mia e poi andrai a cambiarti, va bene?» propongo parcheggiando davanti al garage.
«D'accordo, ma dove siamo diretti?» continua lei con questa curiosità che l'annienta.
Scendo dalla macchina senza concederle una risposta e lei mi segue sbattendo la portiera con forza.
«Tu e le curiosità» commento entrando in casa.
«Tu e le tue non-risposte! Grr» fa lei rimanendo davanti la porta d'ingresso.
«Fai troppe domande» le ricordo prima di chiederle se ha voglia di entrare.
«Ti aspetto qui...» borbotta con voce da bambina per poi aggiungere: «Fagiolino».
«Ti farò pentire di averlo ripetuto» urlo salendo le scale.
Sento la sua risatina dolce, piacevole all'ascolto e anche seducente da morire. Mi concedo qualche pensiero peccaminoso fissando il lavello del bagno immaginando Federica pronta per me, con il viso desideroso e gli occhi timidi. Gli ansiti che mi regalava al posto di parole fastidiose, quei piccoli sospiri spesso strozzati e quei baci dati sul letto mentre eravamo uniti; è stato qualcosa di nuovo. Delle emozioni a me sconosciute, non sono solito concedere a chi è con me di darmi piacere in alcun modo se non viene espressamente richiesto da me, ma i suoi baci impacciati e delicati mi hanno fatto sentire ancora più bramoso di lei.
Prendo qualche indumento, e lo infilo in uno zaino e senza pensarci afferro il mio quadernino dove ci sono tutti i disegni o i pensieri che mi passano per la testa e le citazioni che amo dei miei scrittori preferiti.
«Christian cosa stai facendo?» Mi dico fissandomi allo specchio.
Poggio le mani sul lavello e sospiro rumorosamente. «Sono pronto a raccontarle di Nicole e di mia madre, Tommaso e l'odio che covo per mio padre? Sono davvero pronto per farmi odiare da lei? Perché è impossibile che non inizierà a provare compassione e poi odio per me. Chiunque sentirebbe queste sensazioni guardandomi»  borbotto udendo la voce di Federica.
Aggrotto la fronte e mi sposto in corridoio per ascoltare meglio.
«Questa sera?», domanda lei con voce timida.
Cosa sta succedendo e con chi sta parlando?
«Credo che Amelia sarà felice di vederti, non dire di no, ti prego... vederti mi reca molta felicità, potresti essere davvero un grande per Christian, ha bisogno di una persona come te e sembra che stia già funzionando.» Propina mio padre come se il suo intervento sul mio modo di essere potesse renderlo un uomo migliore, convincendo una sognatrice come Federica ad avere speranza ed aiutare un caso perso come me. Mi sta prendendo per un malato da aiutare? Porca puttana ma questo uomo è proprio un coglione. Non riesce a starsene buono perché l'unica cosa che vuole lui è quello di risolvere un problema, e in questo caso sono io il suo problema da quando mi ha portato in questa casa. Sono il suo fallimento numero uno e adesso tenta di farmi "salvare" da lei. Lascio tutto quello che avevo preso e scendo al piano di sotto come una furia, i miei occhi proiettano l'immagine di Federica che timidamente cerca la cosa giusta da dire e Andrea De Luca uomo dalle mille scuse che farebbe di tutto pur di convincere una donna al suo volere, in salotto. Mi avvio verso di loro, lui vestito di tutto punto scimmiotta frasi convincenti ma appena si accorge delle mia presenza si ammutolisce.
«Sei tornato!» Dichiaro freddamente.
«Si» fa lui con uno strano tono ottimista.
«Bene, dobbiamo andare» lo informo avviandomi all'uscita.
«Chiedevo a Federica se questa sera sarete a cena con noi come da programma» prova a dire.
«No» dico categorico continuando a camminare.
Si sentono solo i miei passi risuonare sul pavimento, tuttavia, una volta arrivato alla porta d'ingresso mi giro verso Federica visibilmente confusa e la incito a raggiungermi. Lei, dal canto suo senza proferire parola mi affianca ma non prima di aver rivolto a mio padre un sorriso e un saluto cordiale.
«Potresti ripensarci?» chiede ancora ed il suo ottimismo mi irrita.
«No!» Esclamo deleterio.
«Va bene... a presto Federica, spero che penserai alle parole che ci siamo detti!» Dichiara lui allusivo.
Sospiro energicamente, dopodiché mi avvio alla macchina e per la seconda volta le apro lo sportello ma lei non si accorge di questo mio gesto. Salgo anch'io dirigendomi verso casa sua.
«Dove andiamo?»
«Da nessuna parte, ti porto a casa» rispondo borioso.
Assisto alla sua delusione che lentamente ricopre gli occhi e il viso, non replica come invece mi sarei aspettato e questo suo modo di agire mi prende alla sprovvista.
Forse non vuole davvero stare con me, penso.
Se voleva andare a casa bastava dirlo prima, provo a tenere a freno la lingua ma le parole escono troppo velocemente, come se non riuscissi a trattenerle.
«Come mai non ti sento urlare di quanto mi odi per i miei atteggiamenti sgarbati?» la canzono prendendola in giro.
Sbuffa, voltandosi verso di me quando spengo il motore davanti casa sua.
«Christian, mi sono abituata al tuo modo di fare... non mi vuoi fra i piedi o ti spaventa aprirti con me, o semplicemente non vuoi che tuo padre mi conosca o che io faccia parte della tua vita. Sono abituata a questo, sapevo che non sarebbe durata questa quiete tanto a lungo, e mi aspettavo finisse prima di fare colazione ma sono felice che almeno per un po' ho vissuto "tra i sogni", giusto? Perché ti piace ricordarmi che i miei sono solo sogni e cavolate di una ragazza troppo piccola per uno realistico e razionale come te... comunque non ho più la voglia di rincorrere qualcosa o qualcuno che non mi vuole vicino», mi rivolge un sorriso che però non arriva agli occhi, anzi non colora neanche le guance.
Scende dalla macchina senza rivolgermi neanche un'occhiata e sparisce dietro la porta d'ingresso.
Sospiro avvertendo la rabbia montare, dopodiché, come una furia mi dirigo verso casa; odio quell'uomo e i suoi modi sempre schematici di rovinarmi la vita. Sbatto la porta ed entrando ritrovo Amelia e Agnese chiacchierare, entrambe sobbalzano dalla sedia e mi guardano come se mi fossero spuntate due teste.
«Dov'è il tuo compagno?» Mi rivolgo alla bionda con un tailleur rosa cipria e il volto troppo truccato da ricoprire il suo viso giovanile.
«Non lo so Christian, sarà nel suo studio» mormora lei quasi impaurita dal mio modo di far uscire le parole.
Mi ha visto in vesti peggiore e se non fosse la sua compagna mi dispiacerebbe ancora di più vedere il suo sguardo terrorizzato poiché non c'entra nulla in questa storia.
«Digli di non rivolgere mai più la sua sporca attenzione da quattro soldi a me e a Federica» sbotto.
«Federica?» Domanda lei confusa mentre Agnese alza le sopracciglia sorpresa.
«Lui capirà» le liquido notando l'espressione seriosa di Agnese che vorrebbe replicare ma rimane in silenzio, tuttavia, salgo le scale a due a due fino ad arrivare in camera mia.
Il suo profumo aleggia ancora nella stanza e questo mi rende nervoso, devo scaricare la tensione e se non vado via da qui probabilmente metterò a soqquadro l'intera casa. Mi dirigo verso la cabina armadio e nel tragitto calpesto qualcosa sotto al piede, lo raccolgo da terra. È il suo elastico nero con piccoli pois bianchi.
Tipico di Federica, persino gli elastici hanno un tocco singolare... penso tra me e me facendomi spuntare un sorriso involontario che viene proiettato dallo specchio del bagno.
Lo infilo al polso e prendo dei pantaloncini e una canotta, ho bisogno di correre e non pensare. Questa stanza sa fin troppo di lei e mi sento confuso, ho le meningi che pulsano e ogni angolo mi ricorda un momento vissuto con quell'angelo dai capelli color fuoco.
Scendo al piano di sotto cercando di sgattaiolare dal retro quando la voce accusatoria di Agnese mi blocca. Ruoto il capo lentamente verso di lei — poggiata con le braccia conserte allo schienale del divano — ritrovandola a fissarmi con una espressione austera.
«Dove credi di andare?»
«Dove credo di andare, Agnese?» Ribatto come se fosse ridicolo che lei si possa rivolgere a me con quel tono.
«Si, hai sentito bene» tuona accigliata.
Non l'ho mai vista così arrabbiata nei miei confronti, così mi stampo un bel sorriso di circostanza e lentamente faccio qualche passo verso di lei. È più bassa di me, con un viso paffuto ma estremamente dolce. Non riuscirei mai ad essere duro con lei, è l'unica donna della mia vita a cui non riuscirei mai a rivolgermi con prepotenza.
«Vado a correre» rispondo con tono basso e dolce provando a stamparle un bacio sulla guancia ma lei mi scansa facendomi rimanere scosso dal suo modo così severo di reagire.
«Ti sembra modo di rivolgerti a tuo padre o ad Amelia?» Mi ammonisce, sapendo di far sempre più vacillare una pazienza che a stento riesco a sostenere con lei.
«E poi trattare quella ragazza in quel modo Christian... dove sono le buone maniere, ti ho insegnato questo?» Continua con la fronte aggrotta sintomo che è davvero furiosa con me.
Sospiro. «Abbiamo sempre detto che la mia vita sentimentale me la gestisco io...» non mi lascia concludere perché inizia con: «La tua vita sentimentale si basava sullo scappare da un letto all'altro, non ti ho mai giudicato per i tuoi modi di trattare quelle ragazze» brontola indicando un punto imprecisato della stanza con l'indice.
«Inoltre sai quanto sono in disaccordo con il tuo modo saccente di parlare con tutti, ma questo no Christian, credimi quando ti dico che vedendo Federica, si chiama così giusto? Ho pensato: "chi è questa ragazza timida e bella e perché è qui in casa con Christian?" Non sarà la stessa storia che si ripete, no?» Abbassa il tono di voce come se avesse timore di quello che scaturisce nominando i miei sbagli.
«Poi ho visto la tua routine che cambiava, che quella Luana non era più tra i piedi e che in alcuni giorni non sembravi affatto tu, eri calmo, insolitamente calmo e mi piaceva vederti felice anche se so quanto è difficile per te lasciarti andare, ma non devi far soffrire le persone come lei. Ho notato la sua timidezza e il suo modo particolare di influenzarti. Dal modo in cui la guardi a quella luce che emana rendendoti diverso dal solito. Finalmente porti una ragazza a casa, una ragazza come Federica e la tratti così, ma bravo... non devo pensare che sia diversa da tutte quelle che ci sono alle tue feste? Perché non mi sembra come le altre...» fa lei puntandomi un dito contro.
Alzo gli occhi al cielo e rimango in silenzio per qualche secondo, dopodiché, sussurro: «Non lo è... non è per niente come le altre».
«Bene. E allora perché la tratti come se lo fosse? Tua madre come diceva Christian? Lo ricordi? Me lo raccontavi sempre... parlavi di trovare la tua Viola o mi sbaglio?»
Un altro sospiro esce rumoroso dalle labbra e la mente si offusca dai ricordi, gli occhi improvvisamente riprendono la mia stanza ed io sono piccolo ed impaurito.

La Forma del DestinoWhere stories live. Discover now