Capitolo 41

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FEDERICA

Riesco a percepire tutta la rabbia che esprime il suo corpo, a partire dalle mani strette a pugno, per poi evidenziarsi sulle vene sporgenti che dalle braccia arrivano fino al collo e pulsano sotto la pelle come se volessero esplodere. La mascella contratta, le labbra strette in una linea sottile e le palpebre socchiuse che accolgono due iridi furenti, rivolte verso colui che ha esclamato quella frase innescando in Christian una rabbia accecante. Il suo respiro è come quello di un cane rabbioso pronto a riversare tutta la sua ira, come un vento turbolento che spazza via tutto. Le spalle ricurve vanno su e giù in modo frenetico e la pelle appena abbronzata è arrossata dalle emozioni che il corpo esprime.
Vorrei dirgli di lasciar perdere, ma il mio corpo non risponde ai comandi della mia mente; sembro immobilizzata e priva di vita, esattamente come tutti gli altri presenti tranne per Mattia che minimizza il tutto facendo battute che non fanno altro che fomentare la rabbia del ragazzo più incasinato e controverso che io abbia mai conosciuto.
L'adrenalina scorre nelle mie vene e il sussurro di Christian mi fa gelare il sangue.
«Cosa hai detto brutta testa di cazzo?», ripete non ricevendo risposta alzando il tono della voce.
Riesco a percepire una ira incontrollata, una rabbia che ha un origine diversa ma che si mescola ai problemi presenti innescando in Christian il caos.
«Stava scherzando», commenta ancora Mattia avvicinandosi lentamente a lui.
«Riva fatti i cazzi tuoi» ringhia oltrepassandolo e indicando la persona interessata con un dito.
«Ripeti quello che hai detto» urla avanzando prontamente verso il ragazzo dall'aspetto adesso pallido e disorientato.
D'altro canto lui prova a dare qualche frase scombinata e senza senso, balbettando di non averlo detto volontariamente.
«Io... ho detto che... scherzavo... amico» continua con gli occhi spiritati. 
Indietreggia di un passo quando Christian scoppia in una sonora risata, i suoi passi sono controllati e capisco che si sta divertendo a terrorizzare il malcapitato che continua a strattonarsi i capelli neri e lunghi. Credo che questo tizio non sia per niente una brava persona, lo avvero dagli occhi scuri e terrorizzati ma per niente gentili, tuttavia penso anche che Christian non faccia una buona impressione agli occhi degli altri, scaturendo il loro odio per lui e chi gli sta intorno. Tuttavia in Chri riesco a percepire un'aurea diversa da questa, riesco a vedere un cuore in mezzo a quella foresta di odio, so che non vorrebbe fare del male ma è come se necessitasse di scaricare i sentimenti negativi in questo modo.
«Perché siamo tutti amici dopo aver fatto una cazzata? Perché sminuite gli altri e poi chiedete perdono solo ed esclusivamente quando vi trovate alle strette? Perché chiami amico me, colui che in questo momento vorrebbe vederti riversato a terra grondante di sangue? Mi spieghi per quale cazzo di motivo dovrei essere tuo amico?» Strilla.
Non vedo il suo viso perché mi da le spalle ma riesco a captare tutto quello che sente, è come se stesse lasciando una scia di dolore ad ogni passo che percorre.
Il tizio non ha il tempo di replicare perché come una furia Christian gli salta addosso scagliandogli un gancio destro dritto al setto nasale. Lui incassa il colpo e indietreggia ma non ha il tempo di reagire poiché gli arriva un altro pugno sotto al mento e un altro all'altezza delle costole facendogli uscire dalla bocca un suono flebile di dolore. Il ragazzo cade a terra e tutto mi dice di muovermi perché potrebbe succedere il peggio, mi copro la bocca semichiusa con le mani e assisto a qualcosa di davvero tremendo, forse peggio dell'ultima volta quando ha difeso Ted da Lorenzo, mi pare si chiamasse.
Uno di loro tenta di togliere Christian da sopra Emanuele, — viene chiamato da una giovane ragazza minuta con vestiti succinti raggiuntaci dopo aver sentito alcuni urlare il nome del ragazzo —, invano Christian colpisce il soccorritore di Emanuele dandogli una gomitata nello stomaco e continuando a colpirlo senza pietà.
Il mio cuore sembra voler esplodere e sono combattuta se entrare nel locale per chiamare i miei amici oppure provare a fermarlo, naturalmente so che la mia scelta sarà quella peggiore, sono ormai la maestra delle scelte pessime così prima che me ne renda conto — sotto gli occhi allibiti e indagatori degli spettatori — mi precipito da Christian.
Corro verso di lui mentre urla parole prive di nesso logico, urla anche un nome che non c'entra con Emanuele, sembra qualcosa come Thomas o Tommaso, ma non riesco a distinguerlo, tuttavia, mi faccio coraggio urlando il suo nome.
«Chri, basta», trillo senza avvicinarmi troppo, «così lo ucciderai», farfuglio nel panico.
«Christian» grido ancora facendo un passo avanti forse troppo azzardato.
La traiettoria del suo corpo si sposta ruotandosi di poco verso di me, sbuffa come un animale inferocito ma non si ferma continuando a colpirlo.
Poi, senza pensare troppo alle conseguenze provo a strattonare il suo corpo dalla maglietta non facendolo spostare neanche di un centimetro ma in un gesto quasi impercettibile i suoi occhi sono rivolti verso di me. Per un istante riesco a percepire il caos più totale, un vuoto negli occhi disumani, le pupille dilatate e gli occhi iniettati di sangue, l'espressione inviperita e avvilente.
Quello che mi distoglie dal suo sguardo è il pugno che sostiene a mezz'aria, vicino al mio viso. Una scia di sangue simile al rubino scorre sulle dita coprendo la pelle abbronzata. La mano trema sotto i miei occhi e solo adesso mi accorgo che si è voltato per scansarmi.
Stava per colpirmi?
Corrugo la fronte passando gli occhi dal suo sguardo ancora privo di vita alla sua mano. Quel verde color smeraldo è solo una linea sottile, mentre quello che privilegia è il nero dilatato delle pupille, la porta d'accesso per la sua anima?
Sono demoni ingannatori quelli che la governano? Sono loro a fargli annebbiare la menta e la ragione? Fin a che punto si spinge questo odio?
«C-Christian», balbetto in un sussurro tremolante.
I nostri occhi si fissano, si mescolano, si perdono non riesco e non voglio distogliere lo sguardo dal suo. Non ho paura ma il suo gesto mi ha fatto paura.
Scuote la testa dopo alcuni secondi di trance e schiude il palmo della mano facendo rilassare di poco i muscoli. I suoi occhi lasciano il posto all'incredulità, si ruota verso Emanuele e lascia andare la presa dalla maglietta. Ha il fiatone e i capelli sono appiccicati alla fronte per via del sudore che scorre sul viso.
Si alza in piedi fissando ancora il ragazzo riverso per terra con il viso tumefatto dai colpi sferrati, tuttavia si gira oltrepassandomi e si incammina velocemente verso il parcheggio.
Lo seguo anche se non dovrei, chiamandolo più volte. Non si ferma e aumento il passo per raggiungerlo ma sembra andare troppo veloce per una come me.
«Christian fermati» strillo per l'ennesima volta.
I suoi passi cessano ma rimane comunque voltato di spalle.
«Dove credi di andare?» Domando sconvolta.
Aspetto impaziente una sua risposta quando fa qualche altro passo in avanti ma comunque esclama con voce rauca: «Via da qui!».
«Come puoi andartene adesso?»
Si gira verso di me ancora senza espressività sul viso, fa qualche passo per raggiungermi fermandosi però a debita distanza.
«Hai visto cosa cazzo ho fatto o no?»
«Certo che l'ho visto» mormoro cercando di non ricordare la faccia di Emanuele per terra.
«Bene.», esordisce, «comunque non ho bisogno che mi ringrazi».
«Ringraziarti?» Chiedo incredula.
«Hai pestato un ragazzo e l'hai ridotto in quello stato... perché dovrei ringraziarti?» urlo aprendo le braccia e sgranando gli occhi avendo tutto il corpo tremolante.
«L'ho fatto solo perché se lo meritava» risponde arcigno.
«Nessuno merita quello Christian» dico aggrottando la fronte.
«Hai sentito come ti ha definita?» Domanda lui questa volta non recependo forse il motivo per il quale non posso giustificare il suo gesto.
«Si, certo. Ero presente anch'io ma non è una buona scusa per ridurlo in quello stato» ribatto rabbrividendo.
«E poi stavi per colpirmi» aggiungo in un bisbiglio abbassando gli occhi sull'asfalto.
«Mi sono fermato, non ti farei mai del male volontariamente...» puntualizza facendo vacillare di poco la sicurezza con cui parlava pochi secondi fa.
«E se non ti fossi accorto che ero io, cosa sarebbe successo? Sentiamo?» Domando trattenendo a stento le lacrime.
«Infatti sei una bambina, non ti devi mai avvicinare davanti ad uno scontro tra due persone» tergiversa.
«Mi avresti colpita» specifico fissando i suoi occhi ombrosi.
«Non intenzionalmente» ribadisce ancora fissando tutto tranne che i miei occhi.
«Ma lo avresti fatto» strillo.
«Ma non è successo» urla a sua volta con occhi spalancati.
Scuoto il capo e faccio un passo indietro quando lui tenta di fare un passo verso di me.
«Hai paura di me?» sussurra quasi timoroso di sentire la risposta.
Si blocca come se lo avessi strattonato, si passa una mano tra i capelli umidi e strabuzza gli occhi arricciando il naso.
«Voglio qualcuno che non abbia la voglia di salvarmi, che non deve per forza usare la violenza per aiutarmi, non deve difendermi posso farlo da me... non sono una principessa da salvare Christian. Sono una persona che ha paura della vita sì, che è dovuta crescere in fretta ma non per questo ha bisogno di una persona che la salvi, invece, ho bisogno di qualcuno che mi stia vicino, che mi dia certezze, che mi faccia capire che mi ama senza paura ma a quanto pare sono una bambina che è perdutamente innamorata di uno stronzo che pensa solo a se stesso, che non riesce a capire la differenza tra proteggere e possedere. Tra amore e sesso. Tra il bene e il male. Non sa perdonare ed è incapace di tenersi stretti le persone che lo amano».
«Tu non puoi amarmi» sentenzia come se fosse incredulo.
Il labbro inferiore inizia a tremare, gocce d'argento scorrono sul mio viso annebbiandomi la vista. Sbatto le palpebre per cercare di ritornare a vedere in modo nitido; anche lui adesso sembra provato. Mostra un briciolo di tristezza? Odio? Amore? Sofferenza? Non saprei dirlo con certezza ma rimane comunque serio ed impassibile.
«Io non...» tento di dire qualcosa ma ogni sillaba mi muore in bocca e il suo viso inizia a diventare sfocato per via della lacrime.
«Devi stare davvero lontana da una persona come me, ti farò solo soffrire... vedi come ti riduco, come riduco ogni cosa» sussurra con quella rabbia di poco prima.
«Mi ha fatto tanto male Chri ma io continuo a chiedermi perché non riesco a lasciarti andare, continuo ad illudermi che tu possa cambiare e mi chiedo se un giorno mi farai mai conoscere quello che hai dentro, il mare e la tempesta che governano il tuo cuore»
«Cambiare? La gente non cambia Federica, quando te lo metterai in testa?» mormora dandomi le spalle.
«Perché hai paura di mostrarti per quello che sei?» Mugugno trattenendo un singhiozzo.
«Io sono così Federica, quello che hai visto lì... quel mostro di cui hai tanta paura, sono io smettila di vedermi per quello che non sono. Sono stanco di passare per quello che illude, non voglio niente da te e non c'è niente da vedere dentro di me, perché sono morto dentro, non ho più nulla dentro di me» dice avvicinandosi a me toccandosi il petto con forza.
I suoi occhi sono un misto di dolore, una sofferenza così grande da far male. Quel verde brillante, come un prato illuminato dal sole mi fa venire la voglia di camminarci sopra a piedi nudi e esplorarlo, inalare il suo odore di fresco, di buono, ammirare la sua bellezza e perdermi dentro ogni parte di esso. Quelle venature scure mi confondono e mi fanno desistere su quale strada intraprendere; alla fine di essa cosa troverò? Paura? Odio? l'inferno o il paradiso?
Io non ho paura di lui, ho paura della sua sofferenza.
Scuoto la testa percependo una lacrima scorrermi sul viso, calda, che brucia mentre il suo sguardo segue la traiettoria. Spero che la scassi via con la sua mano accogliente ma desiste e fa un passo indietro.
«...non ci sarà mai niente tra me e te, e sai per quale motivo? Perché io non amo, non so neanche cosa significa amore, non ne conosco forma o sostanza, non lo voglio conoscere perché in realtà non esiste. Tutti proclamano questo sentimento, sentono la necessità di trovare qualcuno li ami ma con la stessa leggerezza con cui espongono i loro sentimenti, la leggerezza con cui dicono di essere innamorati, di provare amore, smettono di farlo. Vomitano sui loro sentimenti e su quello che hanno vissuto, urlano di amare e poi di odiare senza sapere il loro vero significato.»
Ormai sono un fiume in piena e ogni sua sillaba si conficca dentro di me come degli aghi e tutti vanno verso una direzione, il cuore.
«Perché non provi almeno una volta a fidarti di qualcuno?» Provo a dire fissandogli il petto senza pensare troppo alle parole che ha deciso di propinarmi perché se le accettassi nella mia testa o nel mio cuore potrei non reggerle.
È troppo difficile sostenere il suo sguardo mentre con parole cattive sminuisce quello che invece io provo per lui.
«Fidarmi? Di chi? Di cosa? Cosa mi porta fidarmi? Solo una marea di finzione» esordisce con veemenza.
«Appartengo al caos, appartengo alle frivolezze mentre tu sei l'opposto, tu hai bisogno di qualcuno che ti dia certezze, che ci sia per te sempre e io voglio che sia così, meriti di meglio Fede» dice riducendo il timbro di voce sull'ultima frase, come se fosse difficile anche da pronunciare.
Ho un nodo in gola che si propaga in tutto il corpo, schegge di vetro mi attraversano la pelle fino ad arrivare all'anima. Mi sento stanca e appena riesco a reggermi in piedi. Troppe emozioni mi travolgono, tuttavia, Christian prima di voltarsi e sparire sussurra: «Non ho mai imparato ad amare, però ho imparato a non fidarmi mai dell'amore e soprattutto ho imparato che questo sentimento porta solo una cosa, una grande sofferenza che divora corpo e anima ed io di entrambe non ne ho più il controllo».

La Forma del DestinoWhere stories live. Discover now