6 | 𝐌𝐲 𝐬𝐨𝐦𝐞𝐨𝐧𝐞 𝐢𝐧 𝐭𝐡𝐞 𝐝𝐚𝐫𝐤 𝐢𝐬 𝐲𝐨𝐮 [𝟐/𝟐]

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«Per chi hai lavorato prima di venir assunta da Michael?»

Le chiese Michael Bush, intento ad avvolgerle il nastro attorno alla magra vita scoperta. Per assicurarsi di prendere al meglio le misure dell'abito attillato che avrebbe dovuto indossare, le aveva gentilmente chiesto come da contratto di sfilarsi maglietta e la gonna lilla, così da rimanere in intimo; tuttavia l'occhio professionale di Bush non aveva fatto altro se non il suo lavoro, mettendola così a suo agio.

«Oh, nessuno in realtà. È la mia prima volta in un ambiente così.»

L'uomo dagli occhiali tondi e i capelli chiari raccolti in un codino fece un'espressione sorpresa, scrutandola da capo a piedi attentamente.

«Non l'avrei mai detto, hai un ottimo fisico per non essere una ballerina professionista. Spalle dritte, schiena in lordosi, muscoli tonici...devi allenarti molto.» disse, prendendo i centimetri esatti ed appuntandoli nella sua agenda. Lei annuì.

«Ogni giorno, da ormai...quasi un anno, lo facevo anche prima ma con meno frequenza.»

Sospirò, poi continuò.

«E tu? Da quanto lavori con lui?»

«Oh...ormai tre anni, dall'85. Ha detto di vedere in me un "costume designer"» disse ridacchiando, mentre imitava la voce acuta del riccioluto «e mi ha assunto, incredibile no? Un giorno arriva Michael Jackson e ti fa "Hey, vorresti lavorare con me?" E tu ovviamente non puoi rifiutare, è il sogno di una vita che si avvera.»

Spostò il metro da sarta qualche centimetro più in su, all'altezza delle costole. Lei per un attimo spalancò gli occhi, sembrava esattamente la sua storia: doveva essere un uomo particolare Jackson - non tutte le popstar assumono degli sconosciuti, dandogli completa fiducia fin da subito.

«È davvero una brava persona, ha un senso dell'umorismo che non immagini neanche, come un bambino, ma quando si tratta di lavoro è un perfezionista. Dice che 'sente il ballo e la musica, e i vestiti devono mostrare il suo stile di ballo ed accentuarlo' è pignolo, anche quando si tratta di sciocchezze come quei cerottini che mette sempre alle dita. Dio, nessuno gli tocchi quelli perché senza impazzisce» rise sonoramente, seguito da lei «devo sempre stargli dietro perché ci giocherella con le mani e li stacca, e allora mi tocca rimetterglieli almeno tre volte ogni santo giorno che facciamo le prove, i concerti o qualsiasi video musicale - ne è ossessionato, davvero, sono essenziali per lui. Lui e i suoi cerottini bianchi alle dita. E guai se glie ne metto uno sul medio invece che sull'anulare!»

La ragazza dai boccoli biondi, in solo un quarto d'ora passato insieme, poté notare che quel tipo fosse un po' logorroico, ma di sicuro esilerante: non faceva altro che raccontarle aneddoti divertenti riguardanti il cantante. Le raccontò di come, ad esempio, una volta venne cacciato dal set di un video perché continuava a far ridere Michael a furia di dovergli riappiccicare sempre quei dannati cerottini, i quali venivano per dispetto staccati da lui stesso dalle proprie dita. A differenza del manager incontrato pochi minuti prima Bush, era professionale, sì, ma anche di sicuro teneva compagnia: rimase sorpresa positivamente, per l'ennesima volta, di come tutti i dipendenti di Michael parlassero sempre bene di lui, definendolo un uomo buono e simpatico. Anche lei stava iniziando a conoscerlo, ma sentiva, dentro di sé, che c'era di più. Quegli occhi, di un color caffè tanto intenso da essere quasi nero, nascondevano di più.
E lei voleva scoprire cosa.

Dopo aver fatto un rapido e leggero pranzo con il resto dello staff, era andata in camera sua a cambiarsi per il pomeriggio allo stadio, e chiamò anche sua madre; quest'ultima era abbastanza irritata perché non l'aveva chiamata appena arrivata in città, ma riuscì a calmarla e tenerla a bada raccontandole ogni - quasi - dettaglio. Escluse la nottata passata in bianco a parlare con il moro - non era sicura del perché, ma l'istinto le disse di non farlo, sapendo che alla madre lui non stava a genio. Giovanni, suo padre, purtroppo non era a casa siccome impegnato al lavoro in farmacia - che lo impegnava sei, ogni tanto sette, giorni a settimana in cambio di un normalissimo, quasi misero, stipendio. I suoi pensieri spesso si rivolgevano a lui, le dispiaceva che non potessero passare molto tempo insieme come quando era piccola... suo padre era l'unica persona che durante l'infanzia le faceva compagnia, le strappava un sorriso. Poi era arrivata l'adolescenza, e nonostante il loro rapporto fosse rimasto ottimo, si era raffreddato - allora il suo rifugio era diventato la musica.
Sua madre, invece, era sempre stata una donna seria e rigida - la effettiva capofamiglia: la loro si trattava di una situazione familiare strana per quegli anni, ma Giovanni aveva un cuore d'oro e, solo per amore, aveva accettato quei compromessi ed aveva sacrificato anche parte di sé, del suo essere, per dare una vita felice alle due donne che amava.

ANOTHER PART OF ME • michael jacksonWhere stories live. Discover now