21. Il ritorno

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Mark si asciugò le mani, prese la valigia e uscì dalla stanza, facendo segno a Sara di seguirlo. La condusse al piano superiore, che era stato ritinteggiato interamente di un tenue violetto, porte comprese.

«Oddio» Disse Sara «Che cos'è questa roba?».

Mark non rispose, ma aprì la prima porta e gli indicò l'interno

«Le lenzuola sono pulite» disse «I cassetti sono stati tutti svuotati, così potrai mettere i tuoi vestiti. Io e Tim abbiamo pensato che ti potesse allietare un tocco verde, così... così abbiamo messo un paio di piante».

Sara entrò nella stanza, pronta a commentare, ma Mark mise a terra la valigia e scappò nella propria camera come un fulmine, lasciandola da sola. Lei ci rimase un po' male: era stata fermamente convinta che non appena fosse arrivata alla fattoria, lei e il cugino si sarebbero divertiti un mondo, che si sarebbero scambiati storie, che lui l'avrebbe accompagnata a vedere le migliorie della fattoria o le avrebbe mostrato nuove fotografie. Invece adesso le sembrava che quegli anni di amicizia epistolare si fossero d'improvviso carbonizzati lasciandola con lo stesso ragazzo grosso e timido che aveva incontrato tre anni prima... con l'unica differenza che ora lui sembrava un uomo.

Si richiuse la porta alle spalle e accese l'abat-jour poggiato sul basso comodino. C'erano due piante d'appartamento con grandi foglie lucenti, una a destra e una a sinistra della finestra spalancata dalla quale penetrava la splendida luce lunare. Mark non aveva mentito: quella era senza dubbio la stanza migliore dalla casa.

Era sufficientemente spaziosa, dominata da un grosso armadio di legno massello che si reggeva su quattro piedi a zampa di leone con le ante smaltate impreziosito da figure di animali.

Sara aprì la valigia e iniziò a sistemare la sua roba, ma sapeva che non sarebbe mai riuscita a dormire: era troppo eccitata di essere finalmente tornata lì. Si sentiva a casa. Dalla finestra poteva vedere il fienile, dove da bambina si nascondeva per poi saltare addosso a Timothy quando le passava davanti... ora era abbastanza grande da sapere che Tim lo faceva apposta e che fingeva di sorprendersi, ma a quel tempo si sentiva una leonessa. Vedeva anche le stalle se si sporgeva un po' e sapeva che dentro c'era ad aspettarla il vecchio Lumacone, sempre docile nonostante la noia che provava giorno dopo giorno.

Le sembrava di essere nel parco giochi più grande e più bello del mondo: come avrebbe potuto addormentarsi così, senza provare nessuna di quelle attrazioni? Perciò scalciò via le scarpe, si infilò il pigiama, composto da una maglia dei Metallica e da un paio di pantaloncini di flanella, e decise di andare a disturbare il padrone di casa. Aveva una voglia matta di parlare con lui e quasi non riusciva a credere che fosse scappato così.

Silenziosamente, percorse il corridoio fino a quella che ricordava essere la stanza del ragazzo e aprì la porta che non era stata chiusa a chiave.

«Pessima idea» Disse, entrando nella camera «Davvero una pessima idea lasciare la porta aperta quando c'è un'ospite donna...»

«Esci!» esclamò Mark, infilandosi in fretta e furia i pantaloni del pigiama e indietreggiando

«... Potrebbe decidere di entrare ed aggredirti nella notte!» lei avanzò ancora, tendendo verso di lui le mani con le dita piegate ad artiglio «Per prendere la tua purezza! Rawr!»

«E dai, Sara!» Mark alzò il cuscino come per minacciarla «Esci da qui!».

La giovane ridacchiò, abbandonando le braccia lungo i fianchi.

«Sei sempre il solito» Commentò, con leggerezza «Ti va di parlare un po'?»

«È tardi. Non vuoi ambientarti?»

«Mi sono ambientata. Ora fammi vedere Tony!».

Mark rimise a posto il cuscino e senza fiatare si inginocchiò ed estrasse da sotto il letto una grande scatola piatta. Sollevò il coperchio, rivelando l'interno coperto di carta di giornale ed il corpo accovacciato di un animale bruno e verrucoso grosso poco meno di un gatto.

«Quella è Tony?» Sara si avvicinò «Oh, sono quasi emozionata. E me l'immaginavo più piccola»

«Era più piccola, tre anni fa» rivelò Mark

«La posso prendere in mano?»

«Se non hai paura di morire si»

«Ovviamente non ho paura di morire» Sara allungò le mani in un gesto di richiesta «E poi me l'hai detto tu che il suo veleno non è letale»

«Lo so. Stavo solo cercando di farti andare via»

«Non ci riuscirai».

Sara si avvicinò ancora e si abbassò per prendere il rospo. Sentiva il respiro dell'enorme cugino, che controllava che tutto andasse bene, sulla nuca. Alzò la testa di scatto e si ritrovò con il naso premuto contro il suo per meno di un secondo, perché il giovane scattò in piedi, rigido come un soldatino.

«Non alitarmi addosso» Gli intimò lei «Non ti ammazzo il rospo»

«Sarebbe una grave mancanza da parte mia credere che tu non sia pericolosa per Tony».

Sara afferrò l'animale e lo sollevò. Era meno pesante di quanto si aspettasse, visto che quel rospo sembrava una pietra, con una pelle al contempo ruvida e morbida, come se fosse fatta di silicone calato in uno stampo.

«Ciao, Tony!».

Tony non rispose al saluto, essendo un rospo, ma si limitò a guardarla con i suoi rotondi occhi scuri picchiettati di fitte macchiette gialle. Sara ripose nuovamente l'anfibio nella sua scatola e si premurò di richiudere il coperchio.

«Bella bestia» Sentenziò «Ma perché è in una scatola?»

«Perché di notte, quando dormo, non posso controllarla» rispose Mark, controllandosi i bottoni del pigiama «E non voglio che che faccia danni»

«Mi stai dicendo che sono anni che Tony è in prigione?»
«Solo durante le ore notturne. In effetti è un animale notturno, quindi... sì. Sono anni che è in prigione, ma non penso che ci dia molto peso. Ora ti conviene lavarti le mani»

«Non sono quel genere di persona che si tocca inavvertitamente gli occhi» Sara si strinse nelle spalle «Ma se ti fa sentire più tranquillo...».

Mark spalancò la porta e le indicò il corridoio. Lei uscì dopo avergli lanciato un'occhiata divertita e raggiunse il bagno camminando al buio. Si lavò le mani e ritornò indietro, ma trovò la porta chiusa.

«Hey!» Strattonò il pomello della porta «Hey! Mi hai chiuso fuori!»

«Vai nella tua stanza!» rispose Mark, in un borbottio.

Dalla vicinanza della sua voce, Sara intuì che si trovava proprio dietro la porta. Posò una mano sul legno del pannello, chiedendosi distrattamente se le sue dita si trovassero in corrispondenza delle sue, se in realtà non li separassero solo quei tre solidi centimetri. "Vai nella tua stanza". Era certa che Mark avesse davvero voglia di dormire, eppure sentiva il bisogno di vederlo, di parlargli. Non voleva rimanere da sola e non perché avesse paura della solitudine, o di quel buio che poi un vero buio non era, ma perché sentiva una contentezza rara e voleva condividerla.

«Buonanotte» Disse «Fai bei sogni», poi si staccò dalla porta e ritornò nella sua stanza.

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