Prologo: 1968

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La prima volta che si incontrarono, Mark aveva otto anni e se ne stava a pancia in giù in mezzo all'erba alta, mentre Sara ne aveva sei e stava inseguendo suo cugino Ephraim con un pitone di legno, per percuoterlo sulla testa, mentre rideva a crepapelle.

Le loro famiglie, i McWoodland e i Barker, erano legate da un'antica storia comune fatta di amicizia, investimenti monetari, co-proprietà e bambini battezzati reciprocamente, e quel sabato mattina di tarda primavera si erano riunite per trascorrere insieme una giornata nel ranch di proprietà di Brody McWoodland, il padre di Mark.

Sara colpì Ephraim con il serpente giocattolo, dritto alla tempia e con tutta la sua forza di seienne scatenata, sbilanciandolo abbastanza da farlo cadere non molto lontano da Mark.

Ephraim cominciò a piangere fortissimo, ma gli adulti erano troppo lontani e scambiarono quel lamento per le solita grida belluine che i bimbi lanciavano quando giocavano alla guerra.

«Sono così vivaci!» Diceva il padre di Ephraim, affettando carote «È bello quando hai intorno questi bambini che giocano e non se ne stanno zitti muti. Non sono... hmm... introversi. Potevano nascere introversi, ve lo immaginate? Che roba. Figli introversi. La signora Castillo ne ha tre ed è penoso, penoso davvero, se ne stanno sempre tra loro a disegnare e fare quelle cose da femminucce patetiche. Il mio figliolo un giorno sarà un generale, sapete? Ha un talento per la guerra. Gioca a Risiko con noi che siamo grandi, alla pari! L'avete presente, no, Risiko? Quel gioco che è appena uscito, dove si conquistano i paesi... comunque, Ephraim è un genio della guerra».

La madre annuiva, contentissima che il suo bambino fosse destinato a uccidere della gente, mentre lo ascoltava piangere da lontano e scambiava il suo lamento per entusiasmo.

La piccola Sara si fermò, il serpente giocattolo saldamente stretto nel pugno, temendo che quel pianto fosse una trappola per farla avvicinare e ribaltarla con una mossa di karate: non si sarebbe lasciata intenerire.

«Smettila di frignare, Effi» Disse, piantandosi con le gambette larghe di fronte a lui «Non facciamo prigionieri solo perché chiamano la mamma!».

Mark, a neanche un paio di metri di distanza da loro, era completamente nascosto dall'erba e respirava piano per non farsi trovare. Non voleva che gli altri bambini ("i cuginetti" come li chiamava suo padre, anche se non erano tutti davvero suoi cugini) lo trovassero e lo costringessero a giocare con loro. Forse era quello che il padre di Ephraim definiva con disprezzo "un introverso", ma non gliene importava granché. Inoltre, e questo era molto importante, di fronte a lui c'era un armadillo a nove fasce che lo stava guardando negli occhi e se qualcun altro si fosse incautamente avvicinato, di certo l'animale sarebbe fuggito.

Mark trattenne il respiro e l'armadillo parve fare altrettanto.

Ephraim si alzò goffamente, si asciugò con una mano le lacrime e urlò a pieni polmoni «Sei matta? Mi sono fatto male, Sara!»

«E allora?» la bambina sciabolò il serpente come una spada «Piangi?»

«Certo che piango! Cavoli, sei fuori di testa!»

«Guarda che lo dico a tuo padre, che piangi come le femmine».

Ephraim fece un verso strozzato, poi protese le mani verso di lei. I suoi ditini, salsicciotti rosei, erano contratti come artigli.

«No! No! Non dirlo a papà!»

«E allora tu scappa» lo minacciò lei, colpendogli le dita.

Ephraim prese immediatamente a correre, in direzione dell'armadillo, così Mark fu costretto a rialzarsi in fretta, sollevando una nuvoletta di fili d'erba secchi sminuzzati e terriccio, e spalancare le braccia per fermare l'altro bimbo.

Il Fiore e l'Artiglio + Versione fantasy estesa +Where stories live. Discover now