«E tu... chi sei?» Chiese Sara, avvicinandosi incuriosita

«Non potete avvicinarvi» disse Mark, ignorando la domanda «È pericoloso, c'è un serpente»

«Un serpente?» Ephraim indietreggiò, torcendosi le mani, mentre balbettava «U-un ser-pente pe-pe-ricoloso? Un bocca di cotone?»

«Proprio così» Mark annuì, ma in quel momento l'armadillo decise che quei cuccioli umani erano troppo chiassosi e che fosse meglio darsela a gambe, così sfrecciò fuori dall'erba.

«Un pangolino!» Esclamò Sara, sciabolando ancora il pitone giocattolo «Che bello!».

Ephraim sorrise, si raddrizzò recuperando tutto il suo coraggio e spinse Mark di lato

«Non è un pangolino» disse, quasi sogghignando «È un armadillo, stupida!».

Detto questo, il bambino afferrò una pietra e la lanciò verso l'animale, mancandolo di pochi centimetri. Il prossimo colpo, ne era certo, non lo avrebbe mancato.

«No!» Gridò Mark, colpendo Ephraim con una spallata «Lascialo in pace! Lascialo!»

«Ah, sta zitto, pel di carota! È uno stupido armadillo!»

«Lascialo in pace!»

«Levati dai piedi» Ephraim si liberò di lui colpendolo sulle dita con un'altra pietra, spezzandogli il mignolo, e prese a correre.

Mark era troppo preoccupato per l'armadillo perché gli importasse qualcosa del suo dito spezzato e del dorso della mano che iniziava a gocciolare sangue, così inseguì Ephraim a denti stretti. Sapeva che gli armadilli minacciati prima o poi si fermavano per scavare una buca in cui si puntellavano con le zampe per mostrare al nemico il loro quarto posteriore ben corazzato: una tattica piuttosto stupida contro gli esseri umani. Ephraim l'avrebbe ferito o ucciso facilmente e lui non poteva permetterlo.

«Fermo!» Gridò, ma non era veloce abbastanza per acchiapparlo e l'armadillo stava già iniziando a scavare.

Ephraim sollevò la pietra che aveva in mano, sporca del sangue di Mark. Nei suoi occhi c'era una luce implacabile e nessuna traccia della paura che aveva dimostrato prima, come se il piacere di ferire fosse in lui più grande di qualunque timore.

Sara gli si avventò contro e lo morse alla guancia, facendolo strillare. Mark lo raggiunse, lo minacciò allargando le braccia di nuovo, come un animale in parata intimidatoria.

Ephraim riuscì a liberarsi da Sara, divincolandosi e scalciando come un cavallino imbizzarrito, e si allontanò di qualche passo, tremando di rabbia.

«Voi siete pazzi!» Gridò «Pazzi! Pazzi! Dovreste stare in un manicomio!»

«Lascia stare il pangolino!» Sara si mise davanti a Mark «Altrimenti ti ammazziamo!».

Ephraim sputò per terra come in passato aveva visto fare a suo padre, voltò le spalle e si allontanò.

L'armadillo si era fermato nella sua buca, mostrando la sua corazza. Ci fu un momento di quasi-silenzio, interrotto solo dal canto delle cicale, poi Mark si afferrò la mano ferita e si lasciò scappare un gemito mentre cercava di stabilire l'entità dei danni. Nonostante la giovane età, non era la prima volta che si rompeva un osso.

«Chi sei?» Gli domandò Sara, lasciando cadere il pitone giocattolo come a dimostrargli che non costituiva una minaccia «Sei alto»

«Sono... mi chiamo Mark» lui deglutì e la guardò davvero per la prima volta.

Aveva di fronte una bimbetta con lunghi capelli biondi, la pelle abbronzata di chi rimane molto tempo a giocare fuori, grandi occhi castani e un vestitino color pesca macchiato del verde dell'erba che faceva uno strano contrasto con il sangue sulle sue labbra rosee, quello di Ephraim. Sembrava un animaletto selvatico, di quelli graziosi ma feroci, che fosse stato agghindato da bambina.

«Ciao, Mark. Io mi chiamo Sara» Gli disse lei «Che facevi nell'erba?»

«Guardavo l'armadillo» rispose lui «E a proposito, grazie per avermi aiutato a salvarlo. Sei stata molto coraggiosa»

«Non ti ho aiutato per salvarlo» la bimba avanzò con aria minacciosa e Mark si chiese se avesse intenzione di mordere anche lui «Non mi importa niente del pango... armadillo»

«Ah sì?»

«Non ridere!»

«Non sto ridendo. E perché l'hai fatto, eh?»

«Perché mi piace picchiare Effie!».

Mark sospirò, rassegnandosi all'idea che tutti i suoi cugini fossero violenti e probabilmente destinati a diventare torturatori.

«Grazie lo stesso, piccola» Disse.

Normalmente Sara avrebbe ribattuto di non essere piccola, ma quel bambino era stranamente grosso e aveva un'aria bizzarra, così non replicò. Le dispiaceva ammetterlo con sé stessa, ma non voleva doversi scontrare con quel ragazzino che non piangeva quando sanguinava. E poi aveva i capelli rossi e si sapeva che quelli lì portavano sfortuna...

Quando arrivò l'ora di pranzo, Mark si presentò di fronte agli adulti con un dito rotto e Ephraim con un morso sulla guancia, così l'intero incidente fu catalogato come una rissa fra i due ed entrambi furono medicati e aspramente sgridati. Mark sapeva bene che più tardi, quando gli ospiti se ne fossero andati, suo padre lo avrebbe picchiato con la cintura per via di questo "incidente" e che non ci sarebbe stato modo di convincerlo che non era colpa sua, così non disse una sola parola per non mettersi nei guai ancora di più. Ephraim sapeva che i suoi genitori, sotto sotto, erano contenti che della sua rissa con quel bambino e che quella sera suo padre lo avrebbe lodato per il suo spirito guerriero, perciò anche lui non raccontò la verità.

Sara, ovviamente, non ricevette alcuna punizione né fu citata dai feriti, ricevette una fetta di dolce extra in quanto era la più piccola di tutti i quattordici "cuginetti" ed ebbe la conferma che mordere la faccia delle persone era effettivamente un'ottima idea.

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