Capitolo Venticinquesimo - Parte Seconda: Un legame che trascende la paura

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Salomone scrollò il capo. Levi lo capì dal tintinnio degli orecchini che gli pendevano ai lati del viso. «Mah sheatah 'osseh? (cosa stai facendo?)» gli chiese, chinandosi sulle ginocchia come un padre che cerca lo sguardo del figlio.
Levi non alzò lo sguardo, non subito, quantomeno: «Lo meshaneh mah atah 'assiyta, ani modeh lekhe, akh (qualsiasi cosa tu abbia fatto, ti ringrazio, fratello)» Quando poi ebbe finito, i suoi occhi incontrarono quelli dolci e familiari dell'amico con cui aveva condiviso gli ultimi ventisei inverni. Li vide riempirsi di lacrime, arrossarsi e rendere il grigio delle sue iridi ancora più vivo, come se fosse argento fuso.
«Akh...» la voce di Salomone sembrò già sul punto di spezzarsi, così gli rivolse un sorriso quanto più grato possibile; ma al posto di venire avvolto dalle sue braccia, come aveva pensato, il Generale si ritrovò a vederlo sgattaiolare via. Trascinando i piedi nudi sull'arenaria il Re si portò alla finestra, poi oltre sulla piccola balconata e lì, forse provando a cacciare indietro le lacrime, si aggrappò alla pietra del parapetto chinando il capo sulla città sopita.

«Al todi li (non ringraziarmi).» La voce di Salomone giunse amara alle orecchie di Levi che d'improvviso, sentendo la preoccupazione montare alla gola come un conato, si alzò.
La brezza notturna smuoveva appena le tende di lino, le vesti imbrattate di sangue che l'uomo teneva ancora addosso. Persino i suoi capelli, fili color terra, danzavano lenti nel silenzio.
«Ani... 'assiyti mashehu kol kakhe nora... (io... ho fatto qualcosa di così orribile...)»
Il Generale mosse un passo verso l'amico: «La'olam lo qal liretsoakh (uccidere non è mai semplice)» anche se non era certo di star dicendo il vero.
«Lo... Lo, akh (No... no, fratello)» la testa del Re cadde all'indietro, come se fosse esasperato. La punta del naso dritta verso la luna, le sopracciglia corrugate: «Ani medaber shel mah sheett ani 'assiyti lekhe (parlo di quello che ho fatto a te)» sospirò, mentre una lacrima gli scivolava al lato del viso.
«Lamah atah mitekavenn? (cosa vuoi dire?)» Levi non seppe che fare, se avvicinarsi o restare lì. Una parte di lui gli suggeriva di non muoversi e chiudere quel discorso, di non approfondire, mentre un'altra lo supplicava di affiancare il proprio migliore amico e farsi spiegare cosa volesse dire il sogno fatto poco prima.
Ci fu del silenzio dopo quella domanda, istanti che divennero lunghissimi, sfiancanti, poi Salomone tornò a guardare la città: «Bitsa'eti kefirah, Levi (ho compiuto un'eresia)» con una mano si portò via la lacrima. «Heveti lekhe akhorah minn hametim, akh... 'al gakhamah (ti ho portato indietro dalla morte, fratello... per capriccio)» un'altra pausa, un singulto: «ki beli lekha ani efes (perchè senza te sono niente). Levadi ba'olam hazeh (solo in questo mondo).»
Il Generale corrugò la fronte. Stava parlando seriamente? Ma la risposta era ben evidente di fronte a lui. Bastava guardare il modo in cui il Sovrano si stava atteggiando, pensare ai corpi di cui si erano sbarazzati, delle sensazioni che provava, dell'incubo in cui era rimasto intrappolato - e del bruciore al petto che non lo aveva abbandonato da quando il serpente ci si era infilato dentro. Con le dita sfiorò quel punto. La viscosità del sangue lo accolse, seguito subito da lembi di pelle in rilievo, incisi come cotenna. Abbassò lo sguardo. Un simbolo strano, un disegno che aveva già visto tra gli appunti sgualciti che Salomone aveva redatto negli ultimi anni. D'improvviso capì.
L'uomo davanti a lui aveva sfidato Dio, aveva accolto gli insegnamenti eretici degli stranieri e li aveva dominati come nessuno prima d'allora, soggiogando il potere al suo volere. E tutto per lui.
«Atah akh sheli, hivetakheta li shela'olam lo tukhal af pa'am natush (tu sei mio fratello, avevi promesso che non mi avresti mai abbandonato).»

Levi si avvicinò, silenzioso.

«Khayim, Levi (una vita, Levi). Eykhe yakholeti lekhayott khayim bile'adeykha? (come potrei vivere una vita senza di te?)»
Gli venne da sorridere. Già, come avrebbe fatto? Lui che non era in grado di dire di no, di difendersi da coloro che volevano il suo trono e il regno. Lui che l'unica volta che aveva impugnato una lama era riuscito a ferirlo facendola roteare senza senso, che preferiva passare le ore con i suoi animali, le piante che tanto amorevolmente curava...

Le Chimere di Salomone: il ReDove le storie prendono vita. Scoprilo ora