~48~ Parola Perfetta.

14.2K 413 92
                                    

Ognuno di noi ha una parola che ci rappresenta, che dice tutto di noi. Una parola può racchiudere l'essenza di una persona. Nel mio caso, la parola in questione era: Ritardo. Quella mattina mi svegliai in un ritardo da record, mi facevo paura da sola, dormire era la mia droga. Iniziai a correre come una pazza, feci la doccia più veloce della mia vita consumando qualcosa tipo mezzo flacone di bagnoschiuma e shampoo, provai ad asciugare bene i capelli ma erano troppo lunghi ed era veramente troppo tardi, così li lasciai sciolti e un po' umidi, corsi verso la cassettiera ed estrassi il primo completo intimo che trovai, lo indossai e mi precipitai verso l'armadio, scavai a fondo ma non riuscii a trovare i miei jeans neri e la mia maglia rossa. Ecco la seconda parola chiave della giornata: Sophia. Aprii di poco la porta della mia stanza lanciando uno sguardo al corridoio, ad una porta in particolare, era spalancata, perfetto. Uscii dalla mia stanza con addosso solo l'intimo nero ma non me ne preoccupai, Carlyle non era in casa, se lasciava la porta del suo studio spalancata voleva dire che non era in casa, se invece era socchiusa lui c'era, una sera mi disse che la lasciava socchiusa così, se io o Sophia avessimo avuto bisogno di qualcosa, lui ci avrebbe sentite e allo stesso tempo avrebbe dato un po' di privacy sia a noi che a lui stesso. Non avevo mai capito cosa significasse avere un padre, e il rapporto tra lui e Sophia era invidiabile, erano due persone magnifiche e felici, nonostante la grave perdita che avevano subito.

"Sophia! Hai visto i miei jeans? Quelli che, a detta tua, mi fanno un sedere magnifico. E la maglia rossa? Quella che, sempre a detta tua, fa risaltare i jeans che mi fanno un sedere magnifico" urlai scendendo di corsa le scale. Iniziai a cercare anche sotto i cuscini del salotto ma nulla, quando cercavo qualcosa io improvvisamente tutto spariva. Mi girai pronta a correre verso la cucina, sperando di trovare Sophia lì, ma non appena lo feci trovai una figura in piedi, non molto distante da me, con le mani in tasca e lo sguardo fisso su di me. Mi bloccai sul posto, fissandolo intensamente, come a convincermi che fosse solo un brutto scherzo della mia immaginazione ma nulla, non spariva, era ancora lì con quella sua espressione da maniaco e pervertito stampata in faccia. Magnifico. Veramente magnifico, brava Ariet. Se avessi avuto una pala mi sarei seppellita viva esattamente lì, esattamente in quel momento, sotto i suoi vigili e fin troppo attenti occhi di ghiaccio.

"Ho visto di meglio" disse Dylan con un'alzata di spalle innocente rompendo il silenzio. Le sue parole mi fecero scattare e in un millesimo di secondo mi ritrovai a tirargli addosso qualsiasi cosa mi capitasse sotto mano, per lo più cuscini.

"Vai. Via. Subito!" gridai afferrando di scatto una coperta poggiata sul divano e coprendomici come un sushi. Lui guardò prima me e poi a terra, si abbassò e tornò in piedi con una cornice in mano, sorrise e i suoi occhi divennero improvvisamente tristi.

"Non è carino lanciare le foto degli altri" disse poi, avvicinandosi di qualche passo e posando la cornice sul mobile vicino l'ingresso. Rivolsi lo sguardo dritto davanti a me e vidi che la cornice, dal vetro ormai rotto, conteneva una foto, feci un passo avanti e vidi che ritraeva un uomo e una donna, molto giovani, lui era alto, indossava una camicia blu e dei pantaloni neri eleganti, aveva i capelli neri e gli occhi azzurri, non fu difficile riconoscerlo, era Carlyle, un giovane Carlyle sorridente che stringeva a se una donna bellissima, lei indossava una camicia bianca e una gonna a balze nera che le arrivava più o meno a metà coscia, i capelli erano lunghi e ondulati, di un nocciola bellissimo, i suoi occhi erano azzurro ghiaccio, ipnotici, le sue labbra e il suo sorriso smagliante erano messi in risalto da un rossetto rosso accesso. La mano della donna era stretta attorno a quella più piccola di una bambina minuta, il cui vestito azzurro rendeva gli occhi chiari ancora più luminosi, i capelli mossi e castani erano legati in una buffa coda e sorrideva fiera con in mano un rossetto rosso, lo stesso che portavano sulle labbra lei e la donna. Tra l'uomo e la donna, poco più avanti, c'era un bambino, indossava un completo elegante, il suo sguardo però non era rivolto verso l'obiettivo, ma verso la sorella, la guardava accennando ad un sorriso, i suoi occhi di ghiaccio erano carichi di affetto, la mano libera della donna era poggiata sulla sua spalla sinistra, mentre quella dell'uomo sulla destra, come se, tramite un semplice tocco, potessero trasmettergli tutto l'amore che provavano. Ero rimasta ferma a guardare quella foto più e più volte, quando Sophia non c'era, la ferita per loro era ancora troppo fresca e non volevo farle scaturire brutti ricordi. Ma era una foto bellissima.

!SOSPESA! Bad LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora