Capitolo Ventesimo - Parte Prima: Stesso Sangue

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«Al tite'arev, akh...» la sentì ringhiare prima di vederla nuovamente accorciare le distanze tra loro, quasi a volerlo far sentire sempre più in suo potere, preda succube del cacciatore - e ormai, a dividerli, c'erano giusto un paio di spanne.
Un mix di imbarazzo e agitazione parve afferragli lo stomaco e stringerlo, assoggettarlo, eppure non seppe come giustificarlo. Sì, buona parte della sua agitazione era data dal fatto che da quando si erano conosciuti, per quel che riusciva a ricordare, non erano mai stati tanto vicini, ma non solo. Alexandria aveva sempre cercato di mantenere le distanze, di ergere tra di loro una sorta di invalicabile muraglia che, in quel momento, parve oltrepassare per poterglisi scagliare addosso e, involontariamente, avvertì una vampata scaldargli il viso.
«Sto parlando con il ragazzo» la udì aggiungere dopo qualche istante sempre in direzione del fratello, senza però distogliere lo sguardo da lui - e il modo in cui gli occhi di Alexandria si fissarono nei suoi sembrò in parte placare la sensazione di disagio scaturita poco prima, lasciandogli in bocca un'unica domanda: cosa era successo di tanto terribile tra lei e Re Salomone? Perché ce l'aveva con lui?
E potendola finalmente guardare in viso, così vicino, senza nulla a impedirgli di scorgere ciò che lei sembrava tanto riluttante a mostrargli, il sentore di disagio che aveva provato si dissolse completamente. Sì, Z'èv faceva un certo effetto, poteva essere pericolosa, ma non con lui - non in quel frangente, quantomeno.

«Voglio solo capire, Alexandria, davvero. I-io...»
«Ti ho detto che non ne voglio parlare, chiaro? Mi sembra di aver usato la tua lingua, non l'ostrogoto, o sbaglio? Ma se vuoi posso ripetertelo in altri quattro modi» ancora un passo avanti.
Più lo spazio tra di loro diminuiva, più Noah si sentì sopraffare da nuove, strane sensazioni; come il brivido che in quel momento gli corse lungo la schiena, una sorta di dolce scarica elettrica che parve offuscargli il raziocinio.
«Sono disposto a fare qualsiasi cosa tu voglia, ti sto solo chiedendo di spiegarmi, di darmi la tua versione di...» Alex si mise in punta di piedi e allungò il collo, mozzandogli il fiato: erano davvero troppo vicini ora, gli venne da pensare.
Si accorse di avere i palmi sudati, il respiro corto e il cuore bloccato nella trachea e, per un solo istante, deglutendo a fatica, temette che la Chimera fosse sul punto di mettergli le mani intorno alla gola e schiacciarglielo, ma non accadde. La ragazza si fermò a metà del movimento restando sospesa nello spazio tra i loro busti e, in un sibilo, gli disse: «Non puoi fare nulla, hai capito o no? Tu non sei il mio Re.»
Ma come poteva dirlo? Con quale fermezza si opponeva a ciò a cui, invece, i suoi fratelli credevano così ciecamente? Con la loro convinzione sia Akràv sia Nakhaš erano riusciti a far dubitare persino lui di se stesso e di ciò che aveva sempre conosciuto - e non avrebbe mai pensato potesse essere cosa così semplice - quindi perché per lei era diverso? Né nell'infanzia né nell'adolescenza Noah si era mai immedesimato negli eroi stereotipati dei libri fantasy, eppure, se sentita dalle labbra di quei due, quella storia poteva quasi apparire vera. Forse muovendo qualche piccolo passo verso di loro avrebbe davvero spalancato le porte su un mondo che mai avrebbe creduto esistere.
«È per via di quello che... che vi siete detti tu e Levi? È perché non so usare l'Alchimia?» e se quello era il problema e al contempo la soluzione avrebbe provato in tutti i modi a dimostrare ad Alexandria di tenere alla loro causa - pur di trovare delle risposte e placare quella diffidenza ci sarebbe riuscito.

Il rumore della sedia sul pavimento tradì Zenas, facendolo sussultare: «Alex, per favore. Credo che adesso sia meglio lasciar perdere e-»

«Amareti sheatah tsarikhe al tite'arev, Akràv!» Il fiato di lei gli sfiorò il viso. Noah poté sentirne il bollore, l'aroma di caffè rimastole in bocca - e nonostante stesse parlando con il fratello non distolse lo sguardo da lui nemmeno per un istante. Il suo corpo gli era quasi addosso, la sua rabbia palpabile e minacciosa più di quanto si sarebbe aspettato. Alex d'un tratto divenne lava in procinto di bruciarlo, eruzione implacabile che lui stesso aveva scatenato scavando nei punti giusti dei crateri rimasti intonsi. Poté percepire il pericolo con estrema nitidezza stavolta, eppure non volle ritrarsi. Qualcosa, in lui, gli stava suggerendo di non farlo, di lasciarla avanzare fin quando non gli avrebbe sfiorato la carne. La sua ustione non lo avrebbe ferito, lo sapeva, era già successo, ma quando? Quando l'aveva percepita tanto ostile e al contempo sul punto di crollare?
Mosso da chissà quale involontario masochismo, l'Hagufah le afferrò le braccia per bloccarla, placarla nella speranza di farle capire che lui non era il nemico bensì un alleato, ma ciò che ottenne quando le sue dita la toccarono fu ben diverso.
Nell'istante esatto in cui le loro pelli entrarono in contatto, Noah vide Alex sgranare gli occhi e schiudere appena le labbra, quasi l'ossigeno le stesse venendo strappato dai polmoni. Le pupille le si dilatarono in una sorta di spasmo, mentre il rosso delle iridi parve attenuarsi tanto da assumere un colore quasi naturale - e più queste si facevano umane, più il sangue in lui sembrò aumentare la velocità di circolazione. Le dita gli presero a formicolare, il cuore accelerò maggiormente. Si sentì inebriare da una sensazione piacevole, da un appagamento che non avrebbe saputo dire se avesse già provato o meno prima e lei, a quanto gli parve, ne era l'origine.
Non se ne chiese il perché, non aveva alcun interesse nel farlo - quello che sapeva è che ne voleva di più, desiderava essere pervaso da quell'ebrezza così inusuale; nemmeno una scarica di adrenalina lo avrebbe fatto sentire tanto... vivo.

«Noah...?»
Riconobbe Zenas, la sua voce, eppure non gli diede alcuna valore. In quel momento, a essere onesto, non era in grado di concentrarsi su altra cosa se non Alexandria e ciò che gli stava facendo provare.
«Noah, basta! Fermati...» Il suono dei passi della terza Chimera arrivò ovattato, l'Hagufah non avrebbe nemmeno saputo dire quanto fosse distante da loro, ma ancora una volta non gli diede alcuna importanza. Il mondo all'infuori del loro contatto infondo non aveva ragione d'esistere.
Pian piano gli occhi di Z'èv si fecero di un verde simile al muschio, la chioma le si tinse di toni caldi e, guardandola, a Noah venne naturale chiedersi se quello fosse realmente il suo vero aspetto; a essere onesti se lo ricordava diverso. Non avrebbe saputo dire se fosse per via del modo in cui i capelli le ricadevano accanto al viso, liberi da qualsivoglia acconciatura, oppure per via di quel trucco marcato o, ancora, per colpa di quegli abiti aderenti, poco consoni a una donna come lei, ma stava di fatto che non riusciva a capire.

In un gesto istintivo, così naturale da dargli l'impressione di averlo fatto decine di altre volte prima, Noah aumentò la presa tirando Alexandria più vicina.
Da quanto tempo non la vedeva? Da quanto tempo non la sentiva? Doveva dirglielo. Doveva farle capire che in qualche modo le era mancata - perché era passato davvero troppo tempo da quell'ultimo incontro.
«Z'èv» sibilò: «Hishetaneyta.» In un tono tanto calmo e profondo da essergli estraneo gli uscirono di bocca parole che non sapeva di poter pronunciare - e d'improvviso, udendosi, si accorse di riuscire sì, a concepire ogni cosa intorno a sé, ma allo stesso modo di non essere realmente padrone del proprio corpo. Percepiva le sensazioni, lo stordimento, ma a tratti ebbe l'impressione di essere solo uno spettatore: perché? Cosa gli stava prendendo?

L'espressione della ragazza d'un tratto s'irrigidì, nel suo sguardo sembrò passare una scintilla di paura e dalle labbra, quei due spicchi rosati, il sangue defluì fino a farle impallidire. Una sorta di tremore le fece schiudere maggiormente, quasi stesse provando a dirgli qualcosa, eppure più l'aspetto di lei cambiava, quasi deperendo, più a Noah parve impossibile lasciarla andare. Le sue mani si stavano rifiutando di mollare la presa, bramose di ciò che lei gli stava facendo provare, eppure qualcosa, come una voce lontana, prese a gridargli di staccarsi da lei il prima possibile. Di quel passo l'avrebbe sdrenata.

«Lo! Lo, tafessiq!»
Ma non ci riusciva. Anche se le suppliche di Zenas stavano diventando vere e proprie urla, a Noah parve di non riuscire a comprendere realmente il loro significato. Il suo stesso corpo gli si stava ribellando.

«S... Sal... om-one... a-atah hor...eg oti.»
Dalle labbra di Alexandria uscì una sorta di rantolo, un sussurro roco e privo di forza che, d'un tratto, lo fece sussultare, riportandolo alla realtà.

Come?
Aveva udito bene? O forse...

Ma prima che potesse realmente spiegarsi quelle parole e provare a reagire una pressione soffocante lo premette contro il muro, strappandogli di mano Z'èv.

Ma prima che potesse realmente spiegarsi quelle parole e provare a reagire una pressione soffocante lo premette contro il muro, strappandogli di mano Z'èv

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Al tite'arev, akh: stanne fuori, fratello.

Amareti sheatah tsarikhe al tite'arev, Akràv: ho detto che devi starne fuori, Akràv

Z'èv, hishetaneyta: Z'èv, sei cambiata

Lo! Lo, tafessiq!: No! No, basta!

Atah horeg oti: mi stai uccidendo

Ania:
Sicuramente è meglio di prima, ma non credo sia comunque una degna correzione.

Le Chimere di Salomone: il ReWhere stories live. Discover now