Capitolo Diciottesimo: Per risvegliare un Re

Magsimula sa umpisa
                                    

«Ma non ne abbiamo» dalle fessure tra le dita, il ragazzo provò a scorgerla.
Seduta scomposta, con una mano a sorreggere la fronte e l'altra appoggiata inerme sul legno, la Chimera stava scrutando il fratello e nel suo sguardo, persino senza soffermarvisi, era possibile notare una fermezza preoccupante, ma non solo. Sembrava in qualche strano modo impaurita, quasi minacciata, eppure Noah non riuscì a spiegarsi né quell'espressione né le sue parole - non era stato Levi, più volte, a dirgli di avere a disposizione tutto il tempo del mondo? E non era stato Zenas ad aver sottolineato il fatto che fossero immortali? Per quale ragione, quindi, lei doveva affermare il contrario?
D'improvviso la vide mordersi il labbro e spostare gli occhi altrove. Sul suo viso, il passaggio dalla paura alla demoralizzazione fu breve quanto un battito di ciglia e, subito, venne seguito da alcune conclusioni che il ragazzo non riuscì a comprendere - non del tutto, quantomeno.
«Non abbiamo più ɛvɛn. Noi... siamo vulnerabili, stanchi e... beh, l'Hagufah non mi pare poterci essere d'aiuto, viste le sue condizioni.» Con la stessa mano con cui si era tenuta la fronte, Z'év si scostò i capelli rivelando una nuova mutazione della sua espressione: frustrazione - e seppur Noah stesse continuando a spiarla da dietro le dita, come un bambino eccessivamente timido, con la mente si era già distaccato dalla conversazione.

Hagufah, ripeté tra sé e sé. 

Le Chimere avevano usato quel termine più volte per rivolgersi a lui, glielo avevano anche spiegato, eppure nonostante tutti i miseri tentativi di farlo apparire come un vocabolo innocuo o privo di qualche attribuzione negativa, a Noah continuava ad apparire terribilmente freddo, vuoto, denigrante. Già, perché lui non era un semplice contenitore, come quella parola stava a significare, era di più; una creatura senziente, capace di provare emozioni e sensazioni diverse - e non gli avrebbe permesso di considerarlo diversamente da quello che era: una persona. 

«Ho un nome» sbottò, liberando gli occhi in modo da incrociare quelli di lei - e Z'év parve cogliere sin da subito la sua sfida.
«Sì, ne sono consapevole, Noah Dietrich, ma ciò non toglie che in questo momento siamo messi male. Che io ti chiami con il nome che porti ora, con quello con cui ti facevi chiamare il giorno in cui sei salito sulla mia carrozza, con qualsiasi appellativo ebraico o solo con Salomone poco cambia. Abbiamo bisogno del nostro Re, non del suo Hagufah che brancola nell'amnesia autoinflitta perché da stupido ha voluto sfidare la morte senza di noi!» Il tono della Chimera si era fatto sempre più rabbioso, tanto che per un attimo, uno solo, era stato certo si sarebbe alzata picchiando i pugni sul tavolo. Ad ogni parola i denti di Z'èv dovevano essersi stretti e i nervi si erano dovuti tendere. Gli parve quasi di saperlo con assoluta certezza, per questo la sorpresa che ne seguì lo lasciò privo di parole - per fortuna però, Levi sembrò essere più preparato di lui.
«E allora cosa dovremmo fare, akhòt? Fingere di non averlo mai trovato? Tornare alle nostre "vite"?» se gli si prestava la giusta attenzione, Noah notò che persino nella sua voce era possibile udire una nota di fastidio.

A quella domanda, la ragazza quasi sussultò. «Io...»  ma sembrò non trovare le parole per proseguire.

«Ragazzi, per favore, non mi sembra il caso c-» il tentativo di Zenas di interrompere il battibecco però ebbe vita breve. Levi diede l'impressione di non starlo nemmeno ascoltando.
«Parla, Alexandria! Cosa vorresti fare?»
E lei, dal fondo della stanza, grugnì: «Accelerare i tempi!»

Silenzio.
La tensione crebbe con una lentezza sfiancante, eppure era lì, presente, palpabile.

«Come?»

Noah la scorse bagnarsi le labbra, soppesare le parole con cui rispondere al fratello e, nel mentre, lui non riuscì a impedirsi di chiamarla con quel nuovo nome, quello usato da Nakhaš: Alexandria. Perché gli sembrava molto più dolce e familiare di Z'èv?

«Magari se usasse l'Ars...»

Come sorpreso da un'esplosione, Levi balzò in piedi: «Ett tsokheqett, nakhonn (stai scherzando, vero)
Noah non lo guardò, a dire il vero stava ancora osservando lei, il modo in cui sembrava venir scossa dalle parole di lui, eppure ebbe la certezza che, girandosi, lo avrebbe trovato sconvolto, con gli occhi sbarrati e le narici allargate. Non dovette nemmeno sforzarsi, quell'immagine apparve limpida tra i suoi pensieri - un ricordo, avrebbe osato dire, ma non volle concedersi un simile lusso; dopotutto non era ancora sicuro di voler credere d'essere la reincarnazione di un Re.
«Lo hai detto tu stessa, Alex: brancola nel vuoto, è schiavo dell'amnesia per...» probabilmente strinse i denti, cercando di trattenere la rabbia: «qualsiasi errore abbia commesso durante la trasmutazione» sbottò poi. «Se usasse l'Ars ora, senza averne memoria, sai benissimo quanto me che potrebbe peggiorare la situazione. Potrebbe morire, sant'Iddio!»

I denti di Alexandria affondarono nella carne, Noah riuscì quasi a percepire la consistenza delle sue labbra e desiderò, per un solo istante, mettere fine al loro battibecco - peccato che non avesse idea di come fare.

«Se la nismtt di Salomone alberga in lui, se è davvero il nuovo Hagufah e non qualcun altro, credi davvero che si lascerebbe auto-distruggere?»

Nuovamente silenzio.

Uno, due, tre, quattro secondi.

«Lo yiqereh (non se ne parla).»
«Ma potrebbe essere la soluzi-»
«Amareti lo! Al titenn lekhe ett tsarikhe lehorott (Ho detto no! Non far sì che te lo debba ordinare).»

I pugni di lei si strinsero tanto da far sbiancare le nocche: «Beseder, akh (d'accordo, fratello).»

Ma se fosse davvero bastato quello?  

Ma se fosse davvero bastato quello?  

Oops! Ang larawang ito ay hindi sumusunod sa aming mga alituntunin sa nilalaman. Upang magpatuloy sa pag-publish, subukan itong alisin o mag-upload ng bago.


Le Chimere di Salomone: il ReTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon