Capitolo XXV

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Le urla provenienti dal suo camerino si sentivano fin dal corridoio. Jade stava in piedi a braccia conserte, guardando in cagnesco il suo agente che era piazzato di fronte a lei con in mano un vestito smanicato blu notte.

" Non lo metto quel cazzo di vestito Josh. Fattene una ragione."

L'attrice si voltò e si sedette davanti allo specchio perimetrato da lucine gialle, osservando il suo riflesso sul vetro lucido e pulito. Strinse il tessuto nero del suo maglioncino tra le dita, così forte che sentì le unghie graffiare la pelle bianca delle sue braccia. Il suo viso non aveva nessuna espressione, stava semplicemente lì, come un ritratto venuto male, abbandonato in un angolo buio dal suo creatore.

" Ma perché?" - domandò esasperato l'uomo dietro di lei, posando il vestito su una panca di legno scuro.

" Perché siamo a Dicembre Josh. Fa freddo." - rispose sospirando lei, sistemandosi meglio i capelli.

" Guarda che in studio fa così caldo che sembra agosto."

"Ma perché non posso semplicemente andare in onda vestita così?!"

" Jade, sai benissimo come funziona."

" Già, ma io non ho mai rispettato le regole. Sono così, se mi vogliono bene, altrimenti possono andare a farsi fottere."

Aveva deciso, dopo i Platinum Music Awards di anni prima, che mai più si sarebbe fatta dare ordini.

Josh sospirò mentre lei osservava sottecchi il riflesso dell'uomo sullo specchio.

Il viso del suo agente era misto di preoccupazione e compassione. Già compassione, pena. Lui sapeva e la sua condizione gli faceva pena, si faceva pena lei stessa. E lei odiava quel sentimento, non sopportava vederlo scolpito sulla faccia delle persone che la guardavano... ma del resto non era rimasto nulla che lei non odiasse. Si chiese come avesse fatto a cadere così in basso... a diventare una tale delusione, una tale tragedia. Conosceva la risposta.

" Puoi mettere almeno questo?"

Adesso la voce di Josh era gentile, dolce. Le ricordava tanto quella di suo padre. Si voltò lentamente, alzando gli occhi chiari verso l'alto, guardando l'indumento che lui teneva in mano. Era una giacca di pelle nera, con qualche borchia sul colletto appuntito. Annuì silenziosa, premette piano le mani sui braccioli della poltroncina rossa, alzandosi ed infilandosi la giacca. Doveva entrare in scena. Ormai era diventata talmente brava a recitare anche nella vita reale che non doveva più nemmeno sforzarsi. Le riusciva naturale. Aveva perso se stessa, lentamente aveva cancellato tutto e di lei non era rimasto altro che uno scarabocchio sbiadito, disegnato su un foglio di carta tanto vecchio quanto fragile. Faceva le cose per abitudine, non più perché ne aveva bisogno. Della passione, della forza che metteva in tutto ciò che diceva o faceva non era rimasto nulla. L'unica cosa che era riuscita a tenerla a galla, in quell'oceano di paure e delusioni che la stava pian piano sommergendo, era stata la recitazione. Una sola cosa, che riusciva a distoglierla dai suoi problemi e dalla realtà. Ma adesso che si ritrovava a fingere ogni attimo della sua esistenza di essere qualcuno che in realtà non c'era più, in fin dei conti, a quel punto... qual era la realtà?

~°~°~°~°~

Dalla tv accesa in salotto arrivavano indistinti borbottii. Nella camera accanto Beck e sua madre stavano riordinando le ultime cose. Fu solo quando la rotondetta e bassina signora, con i folti capelli scuri legati in una crocchia disordinata e la scopa in mano, entrò nel salone e si voltò verso la televisione, che la vide.

"Beck!" - chiamò.

"Che c'è?"

"Vieni qui!"

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