Capitolo 48

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Vengo risvegliata da un urlo, un urlo agghiacciante. Spalanco gli occhi e mi rendo conto che sono sudata ed il cuore batte impazzito nel petto. Sono sul divano e riesco a malapena ad alzare la schiena. Prendo la testa tra le mani. Ho urlato ancora nel sonno, sono stata io. Cerco di calmarmi facendo un grosso respiro ma non riesco a liberarmi dalla strana sensazione che l'incubo mi ha lasciato.
Non ho idea di quanto io abbia dormito. Allungo le braccia avanti per stenderle, la sensazione è piacevole. Fuori è mezzogiorno inoltrato. Lancio uno sguardo attorno, sono sola.
Il periodo della convalescenza è stremante e noioso. Lancio uno sguardo alla sedia a rotelle sistemata vicino, al telecomando sul tavolo, ai miei libri disposti in ordine, al flacone di antidolorifici e il bicchiere d'acqua. Tutto così fottutamente a portata di mano. Non posso ancora muovermi, non posso mettermi in piedi, non so nemmeno se riuscirò a camminare come prima. In cuor mio lo spero perché in caso contrario, sprofonderei nel turbine della depressione.
È passata una settimana. Una settimana lunga ed estenuante dal punto di vista psicologico. Vorrei uscire di casa, godermi gli ultimi squarci di questa strana estate. Al locale sentono parecchio la mia mancanza ecco perché quasi ogni sera Max e i ragazzi, sono passati a trovarmi portando in casa tanta allegria.
Mi sento imprigionata. Inchiodata in una condizione già vissuta e stressante. Non so come io stia reagendo così bene, so solo che accanto ho avuto persone meravigliose.
Mi sporgo verso la sedia e riesco a sedermi. Trascino le ruote verso la finestra, porto le braccia in grembo ed osservo il panorama. Sospiro e mi avvicino al frigo. Ho una certa fame e spero di trovare qualcosa di semplice da preparare. Tutto è sistemato in alto. Merda. Mi aggrappo al bancone e mi spingo su con un certo sforzo. Le gambe sono ancora traballanti dubito riescano a reggere tutto il mio peso. Stringo i denti e afferro il contenitore con l'insalata, per fortuna non cade a terra. Torno sulla sedia sentendomi già stanca. Il brutto della ripresa dopo un intervento è proprio questo. Mi stanco facilmente e non posso fare sforzi eccessivi. Guardo afflitta la confezione dei toast in alto sul ripiano. Sbuffo e riprovo ad aiutarmi con le braccia. Ci sono quasi, la confezione cade a terra. Digrigno i denti e ringhio urtata.
Sento la porta chiudersi mentre recupero il pacco dei toast da terra, sento dei passi veloci e vicini.
«Sei svegl...ia», Ethan spalanca gli occhi e si avvicina immediatamente. «Mi dispiace, avrei dovuto preparare qualcosa prima di uscire.» Sembra spaventato.
Poggio l'insalata e i toast sul ripiano. «Non fa niente, non ho più fame.» Di cattivo umore trascino la sedia verso la mia stanza. Richiudo la porta con forza, picchio un pugno contro e mi esce un urlo. È tutto così maledettamente difficile. Mai avrei pensato di riprovare un così profondo dolore. Mai avrei pensato di rivivere una situazione così difficile.
Mi sistemo sul letto e abbraccio il cuscino trattenendo a stento le lacrime. Non so perché sono così fragole ultimamente. Non so nemmeno perché tutto riesce a ferirmi o farmi sentire fuori posto.
Dopo un tempo apparentemente lungo, sento dei colpetti alla porta. Si apre prima che io risponda e cigola poco prima di richiudersi. Rimango con lo sguardo verso il muro e il cuscino tra le braccia. Dovrei cambiare posizione ma non ne ho le forze.
Ethan si sistema davanti e poggia un piatto sul comodino. Sistema una ciocca dietro le orecchie e indugia con le dita sulla mia guancia.
È stato così premuroso, paziente, dolce nei miei confronti in questi giorni. Non so perché sia ancora qui. Non so perché riesce a sopportare i miei capricci e le mie sfuriate o il mio malumore. Non so perché non esce e va a divertirsi come fanno tutti quando chiedo un momento tutto per me.
Da un lato ho paura che si senta in colpa, dall'altro che non riesca a farne a meno perché è nel suo istinto proteggere e assicurarsi che le persone a cui tiene stiano bene.
«Prenderò la pizza questa sera. Non la mangiamo da una settimana. Intanto accontentati di un misero sandwich al tonno.» Sorride e attende speranzoso che io ceda.
Mi lascio aiutare. Appoggio la schiena alla testiera del letto e mordo il sandwich per non deluderlo. Non riesco a dirgli di no perché so che lo fa con il cuore. Da una parte però, mi sento in colpa per lui. Pulisco le mani e sospiro.
«Ti va di guardare un film stupido?», gli si illuminano gli occhi e capisco che sta cercando di risollevarmi il morale. Come posso dirgli di no? Annuisco e avvicino la sedia. Sa che voglio salirci da sola. I primi giorni ho dovuto lottare affinché me lo lasciassero fare senza aiuto. Pesavano cadessi ma non hanno capito che avrei dovuto solo riprendere una vecchia abitudine. In fondo ero abituata un tempo a girare con questo arnese. E' un pò come riprendere a nuotare dopo un periodo di stop.
Lo seguo in soggiorno e quando mi prende in braccio e mi sistema sul divano, non faccio obiezioni. Mette le mie gambe sul pouf nero e i cuscini dietro la schiena. Prepara dei popcorn e una birra e si sistema accanto a me per avviare il film che ha scelto. È una sorta di horror comico e fa davvero ridere.
Poggio la testa sulla spalla di Ethan e lui stringe la mia mano. Lancio uno sguardo alle sue dita intrecciate alle mie distraendomi per un paio di minuti e perdendomi qualche allegra battuta a cui lui ride divertito e rilassato. Il suono della sua risata riscalda il mio cuore.
Non abbiamo più parlato della gara, né di Freddy né di altri argomenti che potrebbero turbare le nostre giornate. Sembra tutto così normale, così sereno. Ho paura che da un momento all'altro arrivi l'inevitabile onda anomala e sommerga tutto quanto, anche me. Ho paura di perdere il mio porto sicuro, la mia scialuppa di salvataggio.
Perdo pure i titoli di coda, distratta come sono dai pensieri che continuano a circolare dentro la mia testa da una settimana.
Sollevo il capo e sposto le gambe dal pouf in modo tale da ritrovarmi seduta sul divano. Ethan segue ogni mio movimento con attenzione. Mi guarda come se potessi rompermi da un momento all'altro e questo mi rende nervosa.
«Cosa vuoi fare?», prende un foglio e inizia a disegnare qualcosa. «Ti va di giocare?», mi porge il foglio e noto che ha costruito il campo di battaglia navale.
Mi scappa un sorriso. Ero brava in questo gioco così accetto e sistemandomi meglio sul divano inserisco le navi dentro il campo e quando siamo pronti, iniziamo a giocare.
Vince due volte di fila poi arriva il mio turno. Ridacchiamo e ci insultiamo.
«Ordino la pizza.»
«Potresti andarla a prendere. Fai prima no?» Cerco di farlo allontanare da questo appartamento prima che abbia un crollo nervoso. Lo so che si sente anche lui in gabbia e questo perchè crede che sia sua la colpa.
«Potresti prendere anche i marshmallow o quelle liquirizie rosse buonissime, ah! e quei biscotti ripieni»
«Vuoi davvero tutte queste cose?», inarca un sopracciglio e passa una mano sui capelli. Diventa pensieroso e credo abbia capito il mio intento.
«Ti faccio la lista.» Scrivo su di un foglio le cose più assurde che mi vengono in mente e glielo passo.
Si rimette in piedi e infila la lista nella tasca dei jeans senza controllare. «Sicura di non volere che io rimanga?», si guarda attorno preoccupato.
«Non mi muoverò», esce male la battuta ma il senso è quello. Sorrido per rassicurarlo.
Dopo un momento di esitazione, annuisce ed esce di casa. Non lo sa ma nella lista non ho scritto solo il nome di alcuni snack ma anche qualcosa che potrebbe fare prima di tornare a casa. Per esempio: passare dal locale e farsi preparare da Luke il cocktail verde da bere. In questo modo perderà del tempo e chiacchiererà con la gente anziché starsene su di un divano a guardare film stupidi per risollevare l'umore ad una in via di guarigione. Con la mia sedia mi dirigo in camera e poi in bagno.
Come meglio posso, faccio una doccia. Non è facile muoversi senza avere dolori o cercare di fare attenzione a dove ti sistemi e come gestisci i tuoi spazi. Quando vieni privato da qualcosa il mondo ti appare insidioso.
Riesco ad asciugarmi facendo uno sforzo enorme seduta sul bordo della vasca. Inizio a sentirmi stanca ma sono cocciuta e quando sono pulita e vestita torno in camera e mi stendo sul letto. Metto il viso tra le mani e sospiro.
La porta principale si richiude con un tonfo e sento le voci di Anya e Camille. Sono rientrate presto. Sbucano dalla porta e si siedono sul letto.
«Vi siete divertite?»
«Finalmente ho trovato l'abito!», Camille batte le mani e me lo mostra. È bellissimo, semplice e turchese.
Le faccio i complimenti quando lo riprova per farmi vedere come le sta e poi iniziano ad aggiornarmi sui pettegolezzi e sugli eventi di fine mese.
«Dovrai venire anche tu al locale sabato. Non puoi dire di no, ci saranno anche i miei.» Anya parla per l'ennesima volta della cena che ha organizzato per riunire la famiglia e il menù che ha scelto con Mark.
Camille mi aggiorna sulla sua storia con Seth e non smette un momento di fantasticare sulla loro piccola vacanza programmata per la fine di settembre. Mi rendo conto di quanto io sia distante da tutto questo. Non ho mai avuto una storia normale e ne sono anche un po' gelosa ma non posso fare a meno di augurarle ogni bene e di darle dei consigli.
«Non posso vedere l'abito vero?», Anya cerca di mascherare la sua curiosità ma so che questo dubbio la sta lacerando. Ho finito di sistemare l'abito quando sono rimasta da sola in casa. Il risultato è soddisfacente ma non so ancora se sarò in grado di indossarlo quando mi metterò in piedi perché altrimenti dovrò accorciarlo.
Sbuffo e lancio uno sguardo esasperato alla mia amica che tenta con gli occhi di convincermi. Alza le mani in segno di resa e quando si alzano, capisco che per loro è ora di uscire.
Sentiamo la porta aprirsi e vanno a controllare. Sento la voce di Ethan e mi sistemo sulla sedia per raggiungere la cucina. Quando arrivo, noto che il bancone è pieno di sacchetti. Spalanco gli occhi alla vista di tutto ciò che avevo scritto nella lista. È pazzo.
«Non avresti dovuto sfidarmi!», mi guarda soddisfatto. Giro per il bancone mentre Anya e Camille salutano e si dileguano avvertendomi che faranno tardi ma che saranno reperibili in caso di bisogno. Ethan le assicura che non si staccherà per tormentarmi. Alzo gli occhi al cielo e sistemo i cartoni della pizza sul tavolo e attendo che si sieda accanto a me.
«Sei andato davvero dall'altro lato della città per le liquirizie?», ridacchio sotto i baffi e sorseggio la mia acqua prima di addentare il terzo trancio di pizza. E' squisita.
«Credimi, andrei in capo al mondo pur di vedere ancora questo sorriso.» Mi pizzica una guancia e ride per la prima volta di gusto. Mi imbambolo e arrossisco. Scuoto la testa e continuo a godermi la pizza dopo una settimana di astinenza. Come sempre lui ruba apposta le patatine dai miei tranci e bisticciamo.
«Lascia, faccio io. Sistemo tutto a portata di mano.»
Gli lancio uno sguardo torvo e inizio a mettere in ordine il soggiorno come meglio posso sulla mia sedia a rotelle. So che questo lo manda in bestia ma non posso trattenermi, devo rendermi utile.
Nell'ultima settimana è riuscito a rimettere in ordine la cucina e il soggiorno più volte. Lui non se ne accorge ma inizia ad avere strane manie di pulizia mentre prima dovevo rimproverarlo per ogni cosa soprattutto su come tiene la sua stanza qui nell'appartamento.
Mi ritrovo a sorridere mentre sistema i cuscini sul divano in base al colore. Alza lo sguardo e se ne accorge. Mi giro in fretta e mi dedico alla confezione di marshmallow da sistemare nella dispensa in basso.
«Hai finito?»
La mia sedia viene trascinata indietro. «Che fai?», cerco di fermarlo.
Mi si piazza davanti e abbassa il viso di fronte al mio con le mani sui braccioli. «Non ti va di uscire?»
I miei occhi si spalancano e mi sento improvvisamente nervosa ed entusiasta.
«Intendi fuori?», domando insicura.
«Si»
Mordo il labbro. «Niente auto?»
«Niente auto», sorride ma so che sta trattenendo l'angoscia. So a cosa sta pensando ma accetto subito per distrarlo. In fondo ci farà bene uscire di casa.
Mi aiuta a sistemarmi, mi trucco leggermente e usciamo di casa.
L'aria inizia a rinfrescarsi. Sono un po' impaurita perché su di una sedia a rotelle a NEw York è una situazione un po' pericolosa. Per fortuna Ethan sembra avere tutto sotto controllo. Inizio ad avere il dubbio che abbia premeditato ogni cosa quando arriviamo al parco. Da un borsone che prima ha sistemato dietro, estrae una coperta e la stende sul prato. Nelle vicinanze ci sono anche altre coppiette ed il cielo è tempestato di stelle.
«Posso?»
Vuole prendermi in braccio. Arrossisco e mi lascio sollevare dalle sue braccia forti, poi mi sistema sulla coperta e si mette su di un fianco. Mi guarda per un lungo istante, prende l'iPod e mi passa una cuffia. Parte una canzone che conosco bene. Mi spunta un sorriso sulle labbra e chiudo gli occhi rilassandomi.
Il tocco delle sue dita sulla guancia, mi provoca un lieve e piacevole brivido. Apro gli occhi e trovo il suo viso a poca distanza. Sfiora le mie labbra con le sue e la sua mano si posa sul mio mento. Poggio le mani sul suo viso. Ci guardiamo per un paio di secondi che sembrano infiniti e carichi di sentimenti. Le sue labbra toccano le mie poi la sua lingua si fa strada e il bacio da dolce si fa lentamente più intenso, deciso. Si sistema facendo attenzione a non farmi male e poggia una mano sul fianco.
Ci stacchiamo senza fiato. Ho le guance accaldate e una piacevole sensazione si fa strada dentro me. Mi era mancato. Lo attiro di nuovo per un bacio dolce. Le sue labbra sono come una ventata d'aria fresca. Morde le mie e poi nasconde il viso sul mio collo. «Mi manchi Emma», sussurra.
«Mi manchi anche tu Ethan», rispondo d'impulso.
Alza lo sguardo e i suoi occhi mi trafiggono, tanto sono intensi. «Cosa facciamo?», domanda dopo un momento.
«Non lo so...», metto le mani sul viso ma lui le scosta e stampa un piccolo bacio sulla guancia.
«Dobbiamo affrontare il discorso prima o poi piccola. Se non lo facciamo, non riusciremo ad andare avanti.»
Sospiro annuendo. Ha ragione. «Non dovevo metterti di fronte ad una scelta ma ero in preda al panico ed ero delusa perché speravo che tu mi rendessi partecipe della tua vita. Ti sei rivestito in fretta e mi sono sentita... una ragazza facile, un gioco, una seconda scelta. Ho avuto una brutta reazione lo so, ma...», scuoto la testa e scrollo le lacrime. Ho così tante cose da dire, ho così tanto da affrontare, per un momento, mi sento sopraffatta.
Ethan capisce e mi abbraccia delicatamente. Asciuga con i polpastrelli le lacrime e bacia le mie guance con una dolcezza disarmante. Affondo il viso sul suo petto e mi lascio avvolgere dal suo profumo, dal suo respiro lento, dai battiti del suo cuore, dalla sua pelle calda contro la mia.
«Non avrei dovuto accettare, avevi ragione. Non ho saputo dire di no ed ecco cosa è successo. Ti ho fatto male e se prima lo facevo a livello psicologico, ora te ne ho fatto a livello fisico. Non riesco a perdonarmelo. Ti vedo su questa sedia e mi sento male. Io ti ho ridotto così per una gara, io ti ho fatto rischiare...», fatica anche lui a parlare.
Alzo lo sguardo e passo la mano tra i suoi capelli per rassicurarlo. So che non passerà con una carezza ma io lo sto superando e anche lui dovrebbe. Mi sporgo e lo bacio. «Non possiamo tornare indietro, possiamo provare ad andare avanti. Non starò su questa sedia ancora per molto e potrei prenderti a calci in culo se continui a preoccuparti per me»
Intravedo un lieve sorriso illuminare il suo bellissimo viso. «Non te lo permetterei», mormora contro le mie labbra.
Non so cosa ci sia ancora in serbo per me in questo futuro. Spero solo che non ci siano ancora brutte sorprese e che tutto vada liscio. Sono impaurita al pensiero di dovere affrontare ancora qualche altro problema e per questo cerco di concentrarmi sul presente.

Rientriamo a casa tardi ma non troviamo nessuno. Mi metto a letto e spengo le luci. Dopo un paio di minuti la porta cigola.
«Emma?»
«Si?»
Il letto si muove e la luce si accende. Ethan è a torso nudo. Non posso fare a meno di guardare i suoi tatuaggi, il fisico scolpito la piccola cicatrice sul fianco. Potrei contemplarlo all'infinito e descriverne minuziosamente ogni dettaglio. Ho imparato a conoscere il suo corpo così come lui conosce il mio. Mi pizzica una guancia per richiamare la mia attenzione.
«Verrai alla cena sabato?»
Annuisco. Non so perché sia piombato in camera a quest'ora e ad essere sincera ho paura che il mio corpo abbia strane reazioni a contatto con il suo. Le mie emozioni sono forti e quando è così vicino rischio di perdere completamente il controllo.
«Vuoi venire con me?»
Lo fisso stupita. Il suo sguardo serio e ansioso mi induce a sbrigarmi a dargli una risposta ma la lingua per un momento sembra attaccata al palato. «Va bene»
«Accetti senza obbiettare? Quanti antidolorifici hai preso?», lancia uno sguardo allarmato verso il flacone.
Gli do un colpetto e scoppia a ridere. «Mi sentirò meno a disagio se ci sei tu con me», spiego.
«Farò tutto il possibile per farti divertire piccola», per un momento sembra incupirsi poi torna sereno e avvicina il viso al mio. «Sei la cosa più bella che mi sia capitata nella vita lo sai?», bacia le mie nocche e gioca con l'anello. Quando lo guarda, i suoi occhi si velano di un qualcosa che non riesco ancora a decifrare. «Ho rischiato troppe volte di perderti.»
Il mio cuore batte all'impazzata. Cosa riesce a farmi? Vorrei potergli urlare che lo amo, si, lo amo davvero ma ho paura dei miei sentimenti profondi per questo ragazzo.
«Ti amo piccola», inizia a baciarmi.
Lascio che mi porti lontano. Riservo in questo bacio, ogni grammo del mio amore. Riservo in questo bacio, ogni piccolo pezzo del mio cuore che i suoi occhi hanno rubato sin dal primo istante in cui si sono posati sui miei.
Quando si scosta e mi aiuta a mettermi comoda i suoi occhi sono attendi, dolci, pieni di un sentimento che ancora non avevo avuto modo di vedere perché lui riesce sempre ad essere come una scatola chiusa.

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