Capitolo 14

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Non ho di certo un bell'aspetto, ma quando mai ne ho avuto uno?
Lego i capelli cercando di mimetizzare con un po' di correttore l'ematoma rosso violaceo sotto il labbro.
Questa mattina ne ho trovato uno esteso sulla spalla. Forse è stato quando sono andata a sbattere contro lo spigolo del comodino poco dopo essere stata colpita alla fronte e al labbro.
Abbasso di poco la spallina del pigiama osservando con distacco il danno.
Sto cercando di non essere una psicopatica depressa, anche se non ci riesco poi così bene. Nonna lo diceva sempre che ci sono volte in cui sono proprio un libro aperto. Anche se tento di non lasciare uscire niente di tutto quello che tengo dentro: le cose, i sentimenti, finiscono per annegarmi fuoriuscendo senza controllo.
Il mio unico male? La risposta mi sembra ovvia: penso troppo. Penso troppo e continuo a ricordare quello che mi ferisce lasciando dentro di me una profonda cicatrice.
Spesso non riesco ad andare avanti perché ci sono momenti nella mia testa non facili da abolire. Ho talmente tante cose dentro che sento di impazzire. Ho anche paura che prima o poi queste mi costringeranno a mostrarmi per ciò che sono realmente: una ragazza fragile con tante paure.
Indosso la divisa da lavoro pulita, infilo il tutore. Guardandomi un'altra volta allo specchio sospiro. Non posso fare di meglio, mi dico.
Sono davvero un relitto.
Il pensiero mi fa sbuffare.
Forse mi servirebbe quel supporto psicologico per superare determinate problematiche che mi costringono ad essere così restia ai rapporti umani, così poco fiduciosa nel genere umano, così spaventata dell'ennesimo tradimento.
Non sono riuscita a chiudere occhio e sono parecchio irritabile al momento.
Ho intenzione di andare ai grandi magazzini per ricomprare tutto ciò che si è rotto. Lo farò durante la pausa di lavoro. Questo mi permetterà di svagarmi, anche se per qualche minuto. Avrò giusto il tempo di prendere un taxi o uno schifosissimo autobus di linea, fare gli acquisti e poi tornare indietro in tempo.
Mi è sempre piaciuto rinnovare gli interni ma non credevo di doverlo fare così presto. In fondo non mi sono trasferita poi da tanto.
Mi fisso ancora una volta allo specchio. Aggiusto i capelli che proprio non ne vogliono sapere di rimanere al loro posto. Sbuffo. Non posso fare di meglio, ripeto uscendo in camera. Non vedere il quadro con i post-it mi provoca un profondo senso di perdita. Scuoto la testa e a pugni stretti esco dalla stanza tentando di non pensare ancora alla reazione di Scott.
Varcando la soglia della cucina trovo Anya comodamente seduta sullo sgabello con una vestaglia leopardata, a piedi nudi davanti il portatile. Le dita le cui unghie sono laccate di nero e argento con qualche punto luce concentrate a scrivere qualcosa, lo sguardo fisso sullo schermo.
Controllo l'ora dall'orologio appeso alla parete in alto e sono le 7:00.
E' strano vederla sveglia a quest'ora.
Senza disturbarla giro intorno al bancone dell'isola aprendo il frigo e la dispensa. Recuperando una tazza larga la riempio con una manciata di cereali che mando giù contro voglia con un pò di yogurt alla banana e qualche scaglia di cioccolato fondente.
Preparo una tazza anche per lei notando che ha già quella piena di caffè fumante che di tanto in tanto sorseggia distratta rischiando di sbrodolarsi sugli appunti sistemati a poca distanza dal portatile.
Dalla porta spunta Ethan a torso nudo.
Non ha di certo un aspetto delicato. Lui è letale. Riesce ad arrivarti in un modo pazzesco, direi quasi brutale. Tuttavia mentre lo osservo muoversi non posso fare altro che ammirare la sua stranissima grazia in grado di infondermi una certa emozione dentro. È come uno tsunami improvviso. Non dà scampo.
Ogni volta che mi si para davanti devo distogliere lo sguardo dai suoi tatuaggi e dalla muscolatura massiccia.
Non solo è alto ma è anche asciutto. Non ha un filo di grasso o qualche difetto ad intaccare la sua incredibile forma fisica statuaria.
Mentre lo guardo con la coda dell'occhio mi domando cosa faccia esattamente per mantenersi in forma perché ha davvero un corpo meraviglioso, armonioso e degno di un modello delle riviste.
L'unica cosa a destabilizzarmi un attimo è il livido evidente già violaceo sotto l'occhio sinistro. Alla luce del giorno è parecchio evidente. Più lo osservo più mi rendo conto che ha altri lividi sul viso; piccole galassie sulla pelle unite a qualche graffio.
Nonostante tutto: è sempre un bellissimo ragazzo.
Abbasso gli occhi sulle dita che reggono la tazza e il cucchiaino pieno di cereali. Per colpa mia ha fatto a botte. Finirò mai di sentirmi in colpa?
Non ho più fame ed evitando di farmi venire ulteriori sensi di colpa per la gente che non ha cibo, risciacquo la tazza mettendo un po' di ordine sul ripiano.
Ho deciso di andare a lavoro con calma. Max non mi farà problemi perché il più delle volte si lamenta che sono sempre troppo puntuale.
«Come va?», le chiede Anya indicando il viso.
Finalmente ha alzato gli occhi dal portatile.
Ethan sfodera uno dei suoi meravigliosi sorrisi finti ma che comunque riescono a convincerti e risponde: «Mai stato meglio», Anya sembra rallegrarsi.
Lasciandoli soli a conversare vado in camera a prendere la borsa e dopo essermi data una sistemata ai capelli ritorno in cucina.
«Oggi andrò a comprare quello che si è rotto per la stanza, ti serve qualcosa?» domando ad Anya mentre sorseggia il caffè. Noto che ha mangiato quello che le ho sistemato sotto il naso e trattengo un sorriso.
Ci pensa su chiudendo il portatile. «Mi servirebbero delle nuove mensole.»
Fa una smorfia. «Come farai a portarle a casa?», inarca un sopracciglio.
E' vero, non rifletto mai sul fatto di non avere una macchina. Faccio subito spallucce. «Prenderò un taxi o l'autobus di linea, non sarà un problema. Posso sempre vedere se dispongono di un... fattorino o di un... servizio di spedizione. Che colore ti servono?», prendo un foglietto colorato dalla borsa per appuntarlo.
«Nere e se non le trovi bianche. Anzi facciamo una nera e due bianche», va a prendere il portafoglio porgendomi una banconota da 100 dollari.
«Non c'è bisogno. Ho dei buoni da spendere, faccio io», le dico incamminandomi alla porta. «Ti serve altro?»
Nega muovendo la frangetta prima di metterla in ordine con le dita. «Sicura di volere prendere un taxi?» chiede sempre più pensierosa prima di voltarsi verso il fratello.
Che cosa ha in mente?
«Ethan, tu oggi non dovresti andare fuori città? Non avevi detto che ti serviva qualcosa per il lavoro? Potresti portarcela tu, in fondo il negozio è di passaggio», guarda il fratello in modo intenso mentre lui tiene a mezz'aria la tazza con il caffè.
Appare quasi confuso dalla proposta della sorella. «Non voglio disturbare», mi affretto a dire arrossendo. È una pessima idea. Me lo sento.
«Disturbare? Scherzi? Ethan adora viaggiare, vedrai sarà divertente!» Anya batte le mani come per dire che è deciso ma io attendo una risposta da lui.
I miei occhi cercano e trovano subito i suoi perdendosi nell'azzurro incontaminato delle sue iridi.
«Davvero non...»
«Passo a prenderti prima di pranzo», dice secco interrompendomi uscendo subito dopo dalla cucina lasciandoci sole.
Anya sorride raggiante. Proprio entusiasta dell'evento.
Non so cosa abbia in mente, ma prima che possa programmarmi la vita, la saluto alzando gli occhi al cielo e vado al lavoro.
Quando sono fuori combattendo con il caldo infernale che si sprigiona già dalle prime luci del mattino, vengo assalita improvvisamente dai dubbi. Dovrò salire in auto con Ethan e andare chissà dove con lui per gran parte della giornata.
Merda, avrei dovuto dire di no ma ormai è tardi per tornare indietro, si offenderebbe o peggio: Anya farebbe qualche domanda scomoda a cui non saprei rispondere.
Arrivo al lavoro con dieci minuti di ritardo. Max non è nei paraggi quindi entro in cucina salutando Tony per avvisarlo che sono arrivata.
«Buongiorno anche a te piccolina», si volta e mi fissa dalla testa ai piedi impietrito, tiene in mano con una stretta ferrea la frusta aprendo la bocca. La richiude quando entra qualcuno sistemandosi alle mie spalle.
Sento improvvisamente freddo; riconoscendo il profumo non mi volto, non lo faccio. Mi avvicino al ripiano pieno di ordinazioni, prendo i primi che i miei occhi lucidi riescono a vedere, sollevo lo sguardo verso i fogli appesi all'asta in acciaio, leggo il tavolo a cui sono destinati e mi dirigo fuori ignorando la presenza alle mie spalle.
Una volta fuori dalla cucina, faccio un grosso sospiro e ricomponendomi, dandomi proprio un pizzicotto mentale inizio la mia giornata.
Nel corso delle ore, per fortuna, riesco ad evitare Scott e Sasha. Quando Tony ha bisogno di aiuto in cucina ne approfitto per imparare nuove pietanze da cucinare a casa. Lo faccio anche per evitare di farmi trovare da sola ed impreparata.
So che non riuscirò ad evitarlo per sempre ma è stato troppo. Non mi sento pronta e ho bisogno di un paio di giorni per digerire tutta questa assurda situazione.
Max entra in cucina mentre Tony mi sta spiegando come guarnire il piatto con una fetta di torta alle noci.
Mi sto talmente divertendo ad apprendere così tante tecniche in così poco tempo da dimenticarmi quanto è successo solo poche ore prima.
«Emma, che cosa ti è successo?», domanda posando le sue grandi mani sulle mie spalle con fare protettivo.
Ed ecco che entra Scott in sala.
I nostri sguardi si incontrano. Vengo percossa da un brivido e distolgo subito lo sguardo guardando smarrita Max.
Non sono riuscita a nascondere niente visto che se ne sono accorti.
«Niente, ho partecipato ad un corso di autodifesa. Avversaria forte», sorrido senza entusiasmo distogliendo lo sguardo dal mio capo e dal mio ragazzo, cioè ex ragazzo a poca distanza.
Max non ne sembra convinto e appena vede Scott si blocca diventando rosso in viso. Questo mi dà una conferma: ha capito.
In parte so che a lui non piace e so che prima o poi la verità uscirà, ma non credo sia questo il momento giusto per creare altri casini soprattutto dissapori al lavoro.
«Tony mi sta facendo vedere come guarnire i piatti», dico subito per distrarlo. Il tono di voce mi esce terribilmente stridulo ma lascio correre.
Con la coda dell'occhio noto che Scott è messo male; ha lividi su parte del viso. Non provo niente. In fondo se la è cercata.
Prende le ordinazioni ed esce con le spalle abbassate mentre Max lo fissa ad ogni movimento come un falco poi si rivolge nuovamente a me pronto a non lasciare correre. «Non ti ha fatto lui questo vero?», sembra arrabbiato e so che non gliela farà passare liscia o peggio: lo lincenzierà immediatamente.
Impallidisco al pensiero. Cerco di controllare la voce e le lacrime che ancora una volta si annidano in gola rischiando di uscire e far danni perché il ricordo è ancora troppo vivido.
Scuoto la testa rivolgendo la mia attenzione a Tony ma anche lui come Max, ha la stessa espressione turbata e arrabbiata dipinta in volto. Fortunatamente, forse notando la mia reazione, non fanno più domande e tutto procede come di norma.
Definirci fragili, tristi, può farci sentire un po' meglio; questo solo all'inizio. Perché prima o poi la realtà ci seppellirà. L'unica soluzione sarebbe affrontare la verità anche quando questa è dolorosa come una ferita aperta e ancora sanguinate.
Ma, non sono pronta. Non posso. Finirei con il crollare e sfaldarmi come sabbia.
Al locale da un paio di giorni è arrivata una nuova cameriera, si chiama Lucy, è una donna dolcissima. E' più grande e con una grande esperienza e un bel caratterino.
La vedo sbucare con la testa in cucina. Fissa me poi Max e Tony sorridendo.
«Emma, c'è un tipo qui fuori che chiede di te. Vuoi che lo faccia accomodare? E' carino, un pò ammaccato. Avete fatto tutti a botte oggi?», le si illuminano gli occhi.
Cerco di trattenere una risata nervosa. Dice sempre ciò che pensa, per questo piace molto sia a Max che a Tony, principalmente a quest'ultimo. È spontanea.
Max si sposta uscendo prima che io possa rispondere. È andato a controllare?
Non sono abituata a tutta questa protezione.
«Si, digli che arrivo subito», le rispondo in tono gentile togliendo i guanti e recuperando la mia borsa. «Oggi esco prima. Ho degli acquisti da fare. Sempre se non è un problema».
«Va pure piccola», mi rassicura.
Ripeto lo stesso a Max una volta averlo raggiunto mentre fissa Ethan che se ne sta seduto al bancone intento a sua volta a fissarci, poi saetta con lo sguardo verso la sala su Scott che se ne sta impalato con due piatti tra le mani e lo sguardo di chi ha appena ricevuto un pugno allo stomaco.
«Sta attenta piccola», mi dà un buffetto congedandomi.
Mi sento in forte imbarazzo quando mi trattano come una bambina, ma gli voglio un bene infinito perché lui e Tony sono stati quanto di più vicino a dei genitori in questo anno, per questo, gliene sono immensamente grata.
Mi avvicino a Ethan notando il suo sguardo rivolto a Scott. Lo fissa proprio in cagnesco. Come se dovesse distruggerlo da un momento all'altro.
«Andiamo?», alza di proposito il tono passando l'indice sulle labbra.
Annuisco uscendo dal locale rigida come un manico di scopa accanto a lui.
Fuori dal locale posteggiata sulle strisce riservate al personale c'è un'auto simile a quella nera della gara, mi blocco. «Non ci andremo con questa vero?», domando incredula e preoccupata indicando l'autovettura sportiva.
Molte persone stanno facendo la stessa cosa. Osservano anche Ethan che sta sorridendo chiaramente divertito dalla mia reazione.
«Certo. Sali», pigia un bottone da un telecomando nero rettangolare aprendomi la portiera. Tipico del perfetto gentiluomo. Ringrazio ed impacciata, soprattutto nervosa entro in auto.
Noto subito un oggetto che conosco: il mio braccialetto appeso allo specchietto retrovisore. Non gli ho ancora detto che è mio; quasi quasi mi viene voglia di riprendermelo. Ha cambiato auto e se lo porta dietro? Curioso.
Inserita la cintura il mio stomaco si contorce soprattutto quando mette in moto facendo rombare il motore.
Qualcuno sta addirittura filmando con lo smartphone la partenza.
Stringo subito la presa sul bracciolo fissando la strada rigidamente quando ci allontaniamo dal locale immergendoci nel traffico insopportabile di New York ad una velocità accettabile.
«Rilassati, il viaggio è un pò lungo. Prima però dovresti cambiarti», ridacchia lanciando uno sguardo alla mia divisa sporca.
«Non prendermi in giro, oggi un bambino mi ha rovesciato addosso parte della sua colazione», lo rimprovero avvilita guardando la mia divisa sporca di salsa e cioccolato. Non era questo il mio piano per la giornata.
«Si è anche divertito a palparti», solleva le labbra nascondendole dietro il gesto breve delle dita che porta davanti la bocca.
Le mie orecchie prendono fuoco. Metto le mani sul viso prima di passarle tra i capelli legati ormai in una crocchia scomposta.
«Voleva solo giocare», replico borbottando.
Ride. «Con il tuo sedere», scuote la testa e accorgendosi del mio sguardo truce smette concentrandosi sulla strada.
Dopo poco tocca lo schermo accanto al volante e questo si illumina. Lo gira e mentre cambia marcia guardando la strada dicendomi di scegliere la musica che preferisco. Cerco subito una canzone di Sia e dalle casse si propaga Unstoppable a volume un pò troppo alto. Cerco subito il tasto per mettere piano ma non ne vedo nessuno. Sono proprio stupida a volte, anche un po' impedita. Ethan ridacchia, girando lo schermo tocca qualcosa e la musica si riduce.
Mordo il labbro cercando di controllare l'imbarazzo. Il telefono dentro la tasca vibra. Non appena lo sollevo e vedo il nome stacco la chiamata.
Ethan contrae la mandibola ma non fa domande mentre cerco di non fissarlo troppo, anche se è impossibile.
Sembra irreale come situazione, che io mi ritrovi di nuovo con lui in auto, anche se questa volta non è per lo stesso motivo.
Arrivati all'appartamento, mi incammino nella mia stanza, faccio una doccia velocissima vestendomi poi comoda.
Fuori fa caldo ma non so dove stiamo andando quindi indosso dei leggings corti e una canotta larga che arriva sotto il sedere, ai piedi le mie adorate Vans. Lego i capelli e metto un filo di mascara.
Quando raggiungo Ethan in soggiorno, noto che sta leggendo qualcosa da una cartella azzurra. Tengo a freno la lingua, principalmente la curiosità e lo seguo di nuovo in auto.
Il mio stomaco è un groviglio, ho paura di vomitare la colazione da un momento all'altro.
Mi rendo conto di essere troppo nervosa. Forse non devo. Forse posso rilassarmi. Continuo a ripeterlo come un mantra.
Quando Ethan avvia il motore, questo romba e dalle casse si diffonde di nuovo Unstoppable. Sorrido guardando verso la strada. Fermi ad un semaforo, Ethan rimette per la terza volta la canzone. Gli è piaciuta?
Gira di nuovo lo schermo per farmi segno di sceglierne un'altra. Questa volta, scelgo Do I Wanna Know degli Arctic Monkeys e in sequenza aggiungo Let's Hurt Tonight dei One Republic.
Questa macchina è davvero pazzesca.
Quasi quasi immagino un viaggio divertente anche se silenzioso.
Il telefono vibra ancora ma lo stacco senza guardare. Questo non sfugge al ragazzo alla guida, infatti avvicina la mano aprendo il palmo.
Lo fisso inebetita. «Cosa?», balbetto.
«Dammi il telefono», dice in quel tono autoritario premendo il piede sull'acceleratore aumentando un pò la velocità.
Estraggo velocemente il telefono poggiandoglielo sul palmo. Lo fisso per un momento mentre lo sistema dentro al cruscotto sopra il suo.
Aggrotto la fronte quando non mi dà nessuna spiegazione. Anche se in fondo non credo serva a qualcosa.
In autostrada schiaccia nuovamente sul pedale superando due auto e la vettura aumenta di velocità. Stringo il bracciolo così forte da avere le nocche bianche, il cuore mi arriva in gola quando osservo le lancette sul cruscotto toccare un limite di velocità ai miei occhi assurdo.
La paura, non se ne andrà mai, non così.
«Tutto bene?», domanda rallentando poco prima di mettere la freccia per fermarsi di fronte ad un rifornimento di benzina dove vicino sembra esserci un ristorante innovativo.
Scende per fare benzina poi mi apre lo sportello. Lo guardo un momento di troppo curiosa prima di seguirlo un pò intontita e barcollante.
Entrando dentro il ristorante la cameriera, una donna slanciata, formosa dal sorriso stampato sul viso accoglie Ethan abbracciandolo. Avverto una fitta di gelosia ma cerco di scacciarla sul nascere. Non posso essere gelosa, potrebbe essere sua zia.
Ma, come fa a conoscere così tante persone? Chi è Ethan veramente?
Mi rendo conto di non conoscerlo affatto, eppure sento di esserne legata in qualche modo.
«Prendi posto, vado ad ordinare. Arrivo subito», dice pulendosi le mani con una salvietta che la cameriera gli ha portato.
Mi siedo su un comodo divano rosso fissando il tavolo a scacchi.
Il locale è carino e originale. Un lungo bancone è composto dalla carrozzeria di un'auto d'epoca azzurra sospesa come un lampadario. Al di sotto le macchinette del caffè e tante bottiglie di alcolici su una vetrina piena di specchi.
Il bancone in onice bianco e nero è circondato dagli sgabelli argentati con il cuscino rosso in pelle sopra.
Ethan, torna con due vassoi pieni di cibo. Mi accorgo di avere improvvisamente fame. So da cosa è data e non ricadrò di certo in vecchi vizi. Non sono più quella persona. Continuo a ripeterlo mentre si siede avvicinandomi il pranzo.
«Ho scelto io per te ma se non ti piace quello che ho ordinato possiamo cambiare», dice indicando il piatto pieno di patatine, ali di pollo, salsa ed insalata ognuno disposto ordinatamente in un suo contenitore mentre al centro vi è un piatto vuoto.
«Grazie, va bene anche questo.»
Sistemo due ali di pollo e due crocchette sul piatto scuotendo il barattolo di salsa prima di premerlo in un angolo.
Mangio lentamente continuando a guardarmi attorno. Non posso fare a meno di ammirare quella carrozzeria sospesa. «E' carino qui», cerco di fare conversazione. «Originale il bancone», aggiungo.
Il locale è pieno di gente e rumori. Molte delle ragazze presenti sparse tra i vari tavoli fissano Ethan sorridendo in modo malizioso. Cercano la sua attenzione. Io, invece, continuo a provare una strana fitta di gelosia. Che diavolo mi succede?
«Ci passo così spesso da non notarlo più», risponde addentanto il secondo sandwich al pollo.
Ha dei denti bianchi e perfetti. C'è qualcosa di imperfetto in lui? No, non credo.
Mi becca a fissarlo con un'ala di pollo fritta tra le dita e distolgo subito lo sguardo sentendo le mie guance colorarsi; pulisco le dita sorseggiando un pò d'acqua per attenuare il calore diffusosi rapidamente.
Mi sento come una ragazzina. Non posso sbavargli in questo modo dietro. In più mi è difficile attutire il senso di fame nervosa che tenta di rovinare tutto.
«Allora... come va?» domanda la cameriera dai capelli verdi avvicinandosi al tavolo, quella che ci ha accolto poco prima in modo amichevole.
Noto il modo in cui continua a fissare Ethan. È lo stesso delle ragazze.
E' ovvio: lui è affascinante, ma guardarlo così spudoratamente non è un tantino esagerato per una della sua età?
I suoi occhi saettano velocemente su di me, notando che i contenitori sono ancora pieni chiede: «Ti porto qualcosa di diverso?»
Abbasso gli occhi sul mucchietto di ossa lasciato sul piatto poi l'insalata con il resto delle ali di pollo e delle crocchette ancora intatte a poca distanza sul vassoio.
«Oh no, mangio poco. Potrebbe incartarmi il resto?», domando cortese arrossendo ancora una volta sotto lo sguardo attento di Ethan.
Quello che ho messo dentro lo stomaco è sufficiente.
«Certo», la ragazza mi sorride andando a sistemare i resti abbondanti del mio pranzo in una confezione.
«Mangi poco», fa notare subito Ethan senza girarci troppo intorno.
Appare persino contrariato.
Non posso rivelargli che ho avuto anche problemi con il cibo. Mi guarderebbe con pietà e non è ciò che voglio.
D'impulso rispondo: «Lo faccio per non rovinare gli interni in pelle della tua auto costosa prima della fine di questa giornata, visto che guidi malissimo», borbotto giocando con un tovaglionino.
Ethan scoppia in una fragorosa risata facendo voltare tutti. Rimango anch'io impalata. Ha un sorriso da mozzare il fiato e una risata coinvolgente.
«Io guido male? È la prima volta che si lamenta qualcuno. Vorrà dire che ti lascerò a piedi se vomiterai dentro la mia auto "costosa"», torna serio trattenendo ancora una risata e capisco che sta scherzando e mi sta pure prendendo in giro.
«Smettila di prendermi in giro», brontolo tirandogli una pallina e colpendolo erroneamente al viso.
Rimane sbalordito, poi scoppia maggiormente a ridere. «Hai pure una pessima mira.»
Sono costretta a sporgermi per dargli un colpetto sul braccio mentre la gente continua a fissarci chiaramente divertita.
Quando arriva il momento di andare mi alzo velocemente scivolando via dal divano dirigendomi alla cassa dove un ragazzo continua a digitare i tasti per gli scontrini senza mai alzare gli occhi sui clienti.
Una mano ferma la mia corsa e quando mi volto lui mi sta fissando male.
Rimpicciolisco.
«Che cosa hai intenzione di fare?»
«Pagare il mio pranzo?»
Continua a mantenere fisso lo sguardo. «Per chi mi hai preso?»
Deglutisco. «Ma...»
«Non se ne parla. Io ti ho portato qui e io pago il pranzo», dice in un tono autoritario, non ammettendo repliche.
Alzo le mani. «Ok, fa pure uomo delle caverne», mettendomi da parte lo lascio passare mentre soddisfatto raggiunge la cassa.
Dopo il breve battibecco su chi deve pagare il pranzo, torniamo in auto. Questa volta, mi appoggio comoda allo schienale cercando di non toccare il bracciolo.
Ethan mi lancia uno dei suoi sguardi criptici, poi dopo avere avviato il motore sceglie una canzone dei Green Day che conosco bene.
Mentre i km scorrono sotto ai miei occhi confondendosi mi ritrovo a canticchiare e quando noto che siamo fermi ad un semaforo mi volto, lui mi sta fissando attentamente e senza fare finta di niente. Perché? Perché è così diretto?
Distolgo lo sguardo, tappo la bocca e deglutisco a fatica.
Dopo circa cinque minuti, posteggia di fronte il grande centro commerciale. Il parcheggio è pieno di auto sportive. Nessuna uguale a questa.
Mi stupisce vedere così tanta gente intenta a comprare, a spendere soldi e divertirsi in un periodo di crisi come questo.
Ho sempre dovuto gestire le mie finanze al meglio. Mi sento anche un po' a disagio quando qualcuno mi osserva perché mi ritrovo a controllare i prezzi, a cercare le offerte con cura. Non c'è soddisfazione più grande di quando si esce da un negozio con in mano una busta con all'interno qualcosa di utile, che piace e pagato con i risparmi.
Entro nel primo negozio, rivolgendomi ad un ragazzo con gli occhiali, dall'aspetto professionale domandogli se i buoni che possiedo possono essere utilizzati. Quando me lo conferma dopo avere controllato sul computer inizio a scegliere le mensole per Anya.
Mi sposto da un reparto all'altro con un carrello. Riesco a trovare due pannelli per i miei post-it e anche una bellissima lampada. C'è anche una promozione sui cubi e decido di prenderne tre per rinnovare la camera, per metterli al posto delle solite mensole.
Quando ho tutto mi dirigo alla cassa uscendo dal negozio con gli acquisti e giusto un po' di soddisfazione dopo avere pagato la metà grazie ai buoni raccolti in una giornata passata a casa ad oziare. Tutto quello che ho appena comprato però è pesante ed ingombrante.
Faccio una smorfia.
Ethan mi raggiunge quasi correndo. «Questi li porto in auto. Tu continua pure», mi dice pratico sparendo.
Non mi serve altro ma giro lo stesso per dare un'occhiata. In realtà, non mi è mai importato molto di fare shopping; sono una frana con gli abbinamenti, ma è una vera occasione trovare qualcosa di nuovo da indossare a parte le solite tute comode e i soliti pantaloncini.
Un tubino attira la mia attenzione ed entro in negozio per provarlo.
È nero con uno scollo a cuore e le spalline intrecciate di raso con dei lustrini che mandano bagliori ovunque. Trovando quello della mia misura grazie alla commessa che a stento fatica a trovare quella più piccola, vado a provarlo.
Non faccio fatica ad infilarlo. Mi sta perfetto anche se sembra un po' corto. Esco per guardarmi allo specchio e per capire se mi piace davvero.
Trovo Ethan seduto sul divano in pelle bianco.
Che ci fa qui?
Mi sento avvampare. I suoi occhi puntati addosso sembrano cerchi infuocati sulla pelle. È come se il suo sguardo mi sfiorasse senza mai toccarmi veramente.
Non dico niente guardandomi distratta allo specchio.
In camerino trovo appeso il secondo vestitino scelto. Lo provo ma decido di evitare di uscire con questo: rosa antico con le paillettes sul davanti e una minigonna vaporosa. Questo mi sta un po' più morbido addosso ma il colore non mi convince.
Quando mi avvicino alla cassa, Ethan si accosta con in mano il vestitino rosa.
È entrato in camerino?
«Non lo prendi questo?» 
Scuoto la testa pagando tutto quello che ho scelto. Ho anche trovato un paio di pantaloni eleganti e una maglietta in abbinamento con delle perle sul davanti.
«Perchè?», sembra interessato e in qualche modo turbato. Si aspettava che glielo mostrassi dopo averlo indossato?
La commessa ci fissa. Si starà chiedendo cosa ci fa uno come lui con una come me. Me lo domando pure io ma poi so la risposta: la colpa è di Anya.
«Non sono sicura sul colore», ringrazio la commessa passando al negozio successivo dove trovo le scarpe con il tacco e quelle di tela che adoro perché sono davvero comode. Ovviamente, mi soffermo in libreria. Trovo un paio di libri interessanti ed esco soddisfatta dal negozio tenendo stretta la busta con il bottino.
Anche Ethan ha delle buste in mano. Chissà cosa c'è dentro.
Non lo facevo un tipo da shopping. Sembra molto rilassato e la cosa, non mi dispiace.
«Hai finito?» chiede aspettandosi un no come risposta.
«Si, non mi serve altro», gesticolo.
Tornati in macchina controlla il telefono poi esce fuori a parlare con qualcuno prima di mettersi al volante ed avviarci in un posto a me sconosciuto visto che non conosco la strada e non stiamo tornando indietro verso il ponte di Brooklyn.
Per la quinta volta in questa strana giornata passata insieme a lui sceglie la prima canzone che abbiamo ascoltato; sulle mie labbra spunta subito un sorriso. Lancio uno sguardo al braccialetto ed istintivamente protendo la mando per toccarlo, ma mordo subito il labbro fissando fuori dal finestrino per evitare domande.
Quel braccialetto l'ho comprato il mio primo giorno a New York fermandomi ad una bancarella. Rappresentava il mio nuovo inizio e non riesco ancora a credere di averlo ceduto ad una gara e che questo sia stato scelto a caso proprio dal fratello della mia coinquilina.
Ci fermiamo in una zona parecchio affollata, piena di alberi disposti a distanza tra loro, costellata da panchine bianche di pietra e un sentiero costruito a mosaico che conduce al centro di uno spazio in cui vi è una graziosa fontana in cui la gente si siede per rinfrescarsi.
«Non ti dispiace fare una passeggiata, vero? Devo incontrare una persona.»
Nego scendendo dall'auto, lieta del breve momento di distrazione che avrò per calmare questa sensazione che continua ad arrivare.
Camminiamo lungo il viale con il sole sulla pelle. Mi pento di non avere indossato dei pantaloncini più corti.
«Vieni. Non perderti», la sua mano si sporge per afferrare la mia. Le sue dita sfiorano le mie prima di ritrarsi.
Evito di imbarazzarmi e come se niente fosse, evitando di pensare alla scossa elettrica appena subita lo seguo cercando di stare anche al passo fino a quando non fermiamo in un chiosco.
«Nel frattempo prendiamo un gelato, ti va?»
Indica un posto a sedere libero in uno dei numerosi tavoli alti dalla forma rotonda in legno con gli sgabelli intorno e un vaso di vetro con un fiore colorato e profumato dentro.
Sghignazza. Che cosa ha in mente adesso?
«Fragola?»
Arriccio il naso al sol pensiero. Momenti di quella serata tentano di riemergere ma riesco a tenerli a bada. «Assolutamente NO!»
Continua a guardarmi in modo furbo. «Allora non mi rimane che provare ad indovinare», ridacchia strizzandomi l'occhio.
Incrocio le braccia mettendo il finto broncio osservandolo.
Si ferma al bancone prima di essere affiancato da un uomo nascosto dietro una spessa montatura per ripararsi dal sole che sta quasi raggiungendo la linea di confine dando il via ad un magnifico gioco di colori che si mischiano all'azzurro. Indossa abiti eleganti e gesticola animatamente mentre lui mantiene la calma.
Evito di farmi l'ennesima domanda e facendo finta di niente aspetto che torni al tavolo. Quando lo fa, lo vedo avvicinarsi con due coppette identiche e abbondanti.
Rimango stupita del fatto che abbia azzeccato i miei gusti preferiti.
«Spero di non avere erroneamente aggiunto qualche pezzo di fragola dentro», esclama divertito strizzandomi l'occhio.
«Ti conviene se non vuoi rischiare di portare l'auto all'autolavaggio velocemente», replico assaggiando un po' di gelato.
Sorrido come una bambina perché è il primo gelato che sa davvero di gelato in questo pezzo di terra in cui gli zuccheri sono una delle principali cause di obesità.
Mi godo il gelato, la vista mozzafiato e anche la visione del ragazzo che posso osservare di tanto in tanto quanto distrattamente controlla il telefono.
«Sei troppo taciturna», mi rimprovera.
Apro e richiudo la bocca. «Come hai fatto a scoprire il mio gelato preferito? Per caso hai chiamato Anya per non fare brutta figura?»
Mi fissa sconcertato, come se mi fosse spuntata una seconda testa e lo avessi appena offeso. «Scommetto di conoscere molte cose di te. Mettimi pure alla prova», mi sfida alzando il mento.
Lecco le labbra. «Ok, la mia pizza preferita?»
Non ci pensa su neanche un secondo. «Una semplice margherita con patatine fritte e di tanto in tanto vari aggiungendo würstel oppure prosciutto crudo.»
Prendo nervosa un cucchiaio abbondante di gelato.
So che non devo. Tra poco mi sentirò in colpa per averlo fatto.
Ethan sorride sotto i baffi. Gratta il mento e poi sposta la coppetta allontanandola da me. Faccio per obbiettare anche se in fondo sono grata del suo gesto.
«Riproviamo?»
Prendo un respiro. «Ok, questa è difficile: qual è il profumo maschile che amo alla follia?»
«Secondo me sono due» sghignazza.
Sbianco, mordo la guancia e lancio sguardi ovunque per non fissare i suoi occhi magnetici. «Ok, ho capito. Sei uno stalker o cosa? Hai un fascicolo su di me da qualche parte? Era quello che leggevi poco prima di uscire?»
Trattengo una risata al pensiero. «E ridammi il mio gelato».
Lui, in risposta sposta maggiormente la coppetta. Allora decisa a non dargliela vinta prendo la sua alzandomi velocemente dallo sgabello.
Spalanca la bocca guardandomi stupito quando mi allontano un po' facendogli la linguaccia. Si alza e seguendomi camminiamo lungo il viale.
«Non sono uno stalker», prova a fare conversazione guardando ovunque.
Inarco un sopracciglio. «Allora cosa sei?» lo guardo curiosa.
«Un ragazzo che osserva tanto», dice come se fosse ovvio. Dopo un momento torna a farsi serio. Che cosa gli succede? Perché subisce questi improvvisi sbalzi d'umore?
«Come stai?» Domanda mentre gli offro una salvietta. Sono un po' fissata con i germi.
Quando qualcuno ci chiede come stiamo, impulsivamente rispondiamo "bene". Una reazione del tutto naturale. Un istinto di sopravvivenza quando non si è pronti ad accettare una vita piena di ostacoli. Perché è difficile spiegare ciò che arde all'interno del nostro cuore ferito. Per questa ragione ci limitiamo ad una brevissima risposta, ad un'alzata di spalle. Perché chi sta male non ha il tempo di dimostrarlo.
«Sono stata meglio», sospiro. «Tu?»
Si stringe nelle spalle colto alla sprovvista dalla mia domanda. Non è abituato?
«Io alla grande.» 
Solo in questo preciso momento, guardandolo, mi rendo conto che non sento più il nervoso provato prima in auto. Ethan in fondo non è poi così male come credevo; certo, mette un po' soggezione quando fissa troppo intensamente però per il resto è molto gentile e soprattutto rispettoso. Non mi aspettavo niente del genere, è una rivelazione.
Anya mi prenderà in giro a vita quando le racconterò di questa giornata.
Dopo il gelato, entrando in auto ci spostiamo in una strana zona isolata. Il nervosismo percepito durante il viaggio torna. E' un meccanismo automatico. Il mio corpo agisce per istinto. Cerco di contare mentalmente per calmarmi: una tecnica che ho portato avanti per anni, nonostante i cattivi risultati.
Ethan aumenta la velocità, gli piace proprio correre e credo in parte che lo faccia di proposito per mettermi alla prova o per farmi sbloccare.
Non ho mai guidato quindi non so cosa si prova, non capisco qual è la sensazione, ma riesco quasi ad intuirlo dal suo sguardo. Sembra proprio in pace con se stesso.
Sorrido. Oggi l'ho fatto spesso. «Cosa provi?», domando di punto in bianco cogliendolo di sorpresa visto che si volta frastornato.
Mi affretto a specificare: «quando corri con le auto, che cosa provi?» arrossisco. Perché non so trattenere la curiosità? Perché voglio sapere qualcosa in più di lui?
Passa la mano sulla fronte poi tra i capelli grattandosi la testa. «È difficile da spiegare a qualcuno che ha paura delle auto.» Fa un altro grosso sospiro. «Comunque: più o meno è come quando tu vai a correre al parco. Lo fai per sentirti libera, senza pensieri e per allontanarti dal mondo. Beh, io quando sento il motore rombare, la strada confondersi davanti ai miei occhi: mi sento libero e spericolato».
Lo guardo a bocca aperta. In così poco tempo ha capito molto di me e la sua risposta mi ha spiazzata.
«Ti sei mai fatto male?», sono curiosa.
«Una volta», stringe i denti e la sua mandibola si contrae mentre cambia in fretta marcia controllando dietro dallo specchietto retrovisore.
Ho notato che per un momento ha anche stretto il volante. È nervoso? Non vuole parlarne? Che cosa gli è successo?
«A parte le auto... che cosa ti piace?»
Non riesco a trattenere le domande. Voglio conoscerlo un po' di più visto che dobbiamo ancora fare altre commissioni. Sto riempendo il silenzio per non rischiare di esserne tragicamente inghiottita.
«Diverse cose, Emma».
Quando pronuncia il mio nome con un tono roco, riesce a provocarmi un lungo brivido.
So che quando lo fa, è per farmi capire che non ha voglia del terzo grado. Decido di lasciar perdere rimanendo in silenzio mentre l'auto corre e il sole ci abbandona alle nostre spalle per dare spazio alle prime stelle, ad un cielo di un blu pazzesco.
Passano circa dieci minuti prima di fermarci di fronte a due grossi garage. In alto c'è un'insegna con una grande chiave inglese e una scritta strappata e illeggibile sotto. Siamo da un meccanico. Che cosa deve fare?
Quando mi apre la portiera indugio un momento prima di seguirlo senza fare domande. Non capisco perché non mi ha lasciato in auto. Cammino accanto a lui guardandomi attorno con curiosità ma allo stesso tempo facendo attenzione a non inciampare con la mia solita goffaggine.
Entriamo in uno dei garage e le mie narici vengono investite dall'odore delle gomme bruciate, dall'olio, dal grasso e dalla benzina. Cerco di non pensare alla sensazione che certi odori mi riportano alla mente distraendomi.
Parecchie auto simili a quella di Ethan sono disposte su dei ponti o sul pavimento ricoperto da macchie simili a inchiostro da assemblare o da smontare.
A lavorarci: un paio di ragazzi in tuta blu con guanti sporchi e le fronti sudate. Hanno tutti un bell'aspetto. I meccanici sono sexy. Sorrido sotto i baffi.
Rispetto all'esterno in cui per posteggiare bisogna trovare il posto adatto facendo attenzione ai pezzi di vetro sparsi sul terreno o a qualche chiodo lasciato ad arrugginirsi, l'interno è molto spazioso e ordinato.
Un ragazzo dai capelli rossi, con una sigaretta tenuta lateralmente tra le labbra si avvicina sorridendo ampiamente ad Ethan. I due si salutano con un abbraccio veloce.
«Cosa ti porta qui distruttore?»
Questo nomignolo non mi piace per niente. Il tipo si accorge di me e velocemente dopo avere chiesto silenziosamente qualcosa a Ethan mi porge la sua mano liscia e senza macchie d'olio. «Sono Freddy» si presenta.
Stringo la mano tesa. «Emma», distolgo lo sguardo ritraendo la mia.
Prova a fare conversazione forse notando che mi sento a disagio sotto lo sguardo dei presenti ma Ethan interviene.
«Se avete finito, mi servirebbero queste cose con una certa urgenza», estraendo un foglietto dalla tasca posteriore dei jeans lo porge a Freddy che ci porta di sopra; in un ufficio dove dall'alto si vedono gli operai lavorare.
«Sai che ci vorrà una settimana per avere questo pezzo, vero?», Freddy mostra una sorta di tubo di scarico dal portatile o quella è una marmitta?
Non ci capisco niente di auto e pezzi di ricambio quindi mi avvicino alla vetrata e per qualche minuto fisso dei ragazzi intenti a sistemare un paraurti messo male.
Ogni auto qui dentro, ha una storia. Imbambolata, rifletto su questo pensiero. Chissà cosa sarà successo a quel paraurti o a quello sportello tutto piegato.
«Emma?», mi volto.
Ethan e Freddy mi stanno fissando, così a disagio faccio un passo per avvicinarmi a loro.
«Dimmi un colore», dice Freddy allegro.
Aggrotto la fronte. Perchè devo scegliere un colore? Non può pensarci Ethan?
«Non è difficile», continua Ethan sbuffando in attesa di una mia reazione.
Ha fretta di uscire da questo posto. Percepisco ogni sua strana reazione o cambiamento d'umore.
«Anzi, dimmene due», Freddy inizia a scrivere qualcosa sul portatile. E' parecchio veloce: scommetto che è uno di quelli bravi con i computer e le grafiche.
«Nero, blu, che importa?», torno a guardare di sotto perdendomi ancora una volta mentre quei due parlano di non so che cosa alle mie spalle.
Ancora una volta mi perdo fino a quando sento una mano toccarmi il braccio e mi volto. Ethan mi guarda sussurrandomi con gli occhi di andare.
«Usciamo da questo posto», sibila con il suo tono profondo che fa vibrare ogni fibra del mio corpo.
Lo seguo di sotto mentre chiacchiera animatamente con Freddy. I due si conoscono molto bene dal modo in cui parlano e si sorridono. Saranno vecchi amici. Mi domando subito come sia vivere la vita di Ethan e Anya: sono così diversi da me.
«Ma guarda chi abbiamo qui. Ti sei arricchito più di prima?»
Ethan si blocca, il sorriso gli muore sulle labbra. Rabbrividisco immediatamente, come se uno spiffero d'aria gelida avesse toccato la mia pelle. Non so perché ma il suo braccio mi spinge dietro di lui, come se volesse farmi da scudo o nascondermi dal ragazzo che compare sulla soglia del garage.
«Drew», ringhia quando il ragazzo pieno di piercing e tatuaggi si fa avanti seguito da altri due alle sue spalle.
Percepisco la tensione nell'aria e dal modo in cui Ethan è rigido so già che quei tre non promettono nulla di buono. Fanno parte del suo passato? Che cosa nasconde?
«Da quanto tempo non ti fai vedere? Cosa ci fai qui? Il piccolo Freddy ti è mancato, eh?», Drew lancia uno sguardo a Freddy, tiene gli occhi bassi e pieni di paura.
Inizio a sentirmi nel posto sbagliato. Dovevo rimanere in auto, al sicuro.
I ragazzi in officina smettono di lavorare e da lì capisco che qualcosa non va. Cosa c'è tra Drew e Ethan?
«Mi servivano dei pezzi e dove li potevo trovare se non qui dentro? In fondo, ho pagato anch'io la mia parte per aprirla», Ethan sorride ma percepisco la sua irritazione nella voce.
Drew lo studia prima di piegare la testa di lato. «E chi hai dietro?» sbircia. «Non è Tara», Drew mi fissa ed io faccio lo stesso anche se un po' preoccupata. Non è il momento di essere codarda, mi dico. Ethan si sposta, circondandomi la vita con un braccio.
Mi manca l'aria, ma cerco di mantenere un contegno di fronte al ragazzo che si sta avvicinando e adesso mi osserva con occhi famelici anziché godere del tocco di Ethan.
Drew, ha gli occhi sul nocciola chiaro, un leggero velo di barba sul viso, capelli corti di un biondo scuro e un sorrisetto da idiota stampato su un viso piccolo.
Non mi piace. E' un bullo, lo so.
Facendosi avanti afferra la mia mano stringendola nella sua prima di baciarla. «Sono Drew. Dubito che Ethan ti abbia parlato di me.»
Reprimo il disgusto quando le sue labbra toccano la mia pelle domandandomi come mi chiamo. Sento sghignazzare uno dei suoi amici dietro mentre l'altro continua a fissarmi con interesse. Cercano di farmi spaventare?
«Emma», rispondo con fermezza. 
Assottiglia gli occhi prima di spostare nuovamente l'attenzione su Ethan.
«Che ci fai con un'altra ragazza?», ghigna rivolto a Ethan. «Tara lo sa che hai messo gli occhi su un bel bocconcino?»
La mano di Ethan si artiglia alla mia vita e capisco che non ne uscirà niente di buono se non ce ne andiamo; così, mi volto verso di lui portando i palmi sul suo petto scosso leggermente dall'affanno.
«Ti dispiace se adesso andiamo? Sono un po' stanca e tutti questi odori mi stanno facendo girare la testa perché mi ricordano qualcosa di orribile», cerco di usare un tono dolce ma che dica che sono preoccupata e che voglio allontanarmi, immediatamente.
Ethan intuisce e annuendo fa un cenno con la testa a Freddy poi a Drew e ci incamminiamo superandoli.
Abbasso di poco le spalle quando noto l'auto a poca distanza.
Ad un certo punto la voce di Drew mi arriva alle spalle come una fucilata.
«Perché qualche volta non ci incontriamo per prenderci una birra? Ricordi? Come ai vecchi tempi. Abbiamo tanto di cui parlare io e te. Potresti portare anche la tua Emma e Tara».
Ethan si irrigidisce quando Drew si avvicina. «Sali in auto», sibila passandomi il telecomando. Le mani tremano mentre apro lo sportello e mi fiondo dentro.
Fisso Ethan e Drew l'uno di fronte all'altro e rabbrividisco. Voglio tornare subito a casa. I due parlano animatamente per un paio di minuti e ho la paura costante di vedere scoppiare una rissa da un momento all'altro e venirne coinvolta; poi però, Ethan si volta arrabbiato entrando a pugni stretti in auto. Avvia il motore e con sguardo freddo preme sull'acceleratore facendomi appiattire sul sedile.
Non parla, ha solo l'espressione piena di furia dipinta in volto. Vorrei fare qualcosa ma non so come prenderlo quando è di cattivo umore. Chi era quel tipo e perché tra loro era come se l'aria si potesse tagliare con una lama?
«Tutto bene?»
Sterza bruscamente, così velocemente che credo di uscire dal finestrino. Mi stringo sul sedile chiudendo gli occhi. Inizio ad avere un senso di nausea e le vertigini. Vorrei urlare ma farei solo la figura della matta.
«Controlla lo specchietto e dimmi se vedi un'auto grigia», dice scontroso. «Emma, non è il momento di farsi prendere dal panico».
«Cosa?», balbetto «perchè?»
«Fa come ti dico, dannazione!» Alza la voce irritato picchiando i palmi sul volante mentre tiene lo sguardo fisso sulla strada. Spaventata controllo subito e notando una autovettura grigia simile a questa è abbastanza veloce annuisco.
«Cazzo! Cristo Santo, lo sapevo, lo sapevo che non ne sarebbe uscito niente di buono», ringhia dando un colpo violento al volante.
Inizio a sentirmi male, perché non so proprio che cosa sta succedendo.
Passa una mano sul viso pensando. Dopo qualche secondo in cui i suoi occhi annebbiati dalla furia guardano in ogni angolazione si volta per poco prima di dirmi: «Tieniti forte e non avere paura», non mi avverte nemmeno del piano perché spinge immediatamente al limite la sua auto per seminare quella grigia che continua a seguirci senza mai distanziarsi. Sbuffa passandosi la mano tra i capelli. «Cazzo!» sbotta.
«Ok, calmati», strillo stupendo anche me stessa. «Calmati e trova una soluzione perché sto per sentirmi male», urlo come una pazza.
Stringe le dita sul volante senza replicare e dopo un istante inizia a toccare dei tasti sullo schermo attendendo con impazienza.
Quando una voce si diffonde lui abbassa di poco le spalle tornando a respirare. «Evans, che succede?»
«Seth, quel bastardo di Drew... mi segue. Credo voglia giocare e non è proprio il momento perché non sono solo. Sto arrivando ma ho bisogno dell'altra auto».
«Sarà pronta in due minuti. Seminalo in fretta amico», risponde eccitato il ragazzo.
Mordo il labbro trattenendo il panico crescente. «Perché Drew ci segue? Che cosa significa che vuole giocare?»
Ignora le mie domande. «Quando te lo dico io tocca questo pulsante», tira una sorta di telecomando con un tasto solo: è rosso. Penso subito di avere tra le mani una bomba quando la stringo tra le dita della mano destra iniziando a tremare.
«Mi dici almeno a che cosa serve?» balbetto agitata. Se continua così me la faccio addosso.
Lo schermo si illumina. «Amico, ti stanno dietro. Seminali ora svoltando a destra e dopo dieci metri a sinistra», strilla Seth apparentemente eccitato.
Ethan segue il consiglio con delle sterzate pazzesche, poi mi urla di toccare il pulsante in un modo che mi fa gelare le vene.
Chiudo gli occhi premendo il pulsante mentre l'auto si solleva dal suolo con un rombo assordante fiondandosi per le strade isolate ad una velocità fuori dal normale; facendomi emettere un urlo acuto.
Non sto piangendo, quindi forse la mia sanità mentale è salva, per ora. Ethan controlla dallo specchietto retrovisore prima di spostarlo con un gesto della mano. Cambia velocemente marcia facendo rombare il motore e con concentrazione si fionda dentro un garage aperto, prima di sterzare tirando il freno a mano; l'auto gira pericolosamente e le gomme stridono.
Sento lo stomaco contrarsi, per poco non vomito. Quando finalmente ci fermiamo esco dall'auto e prima che lui possa raggiungermi lo spingo con furia rifiutando ogni sua spiegazione.
«Che cazzo ti dice il cervello?», gli urlo contro continuando a spingerlo picchiando i pugni contro il suo petto. «Sei impazzito? Dio, sei malato!» urlo sentendo le corde vocali tendersi. «Potevi farci ammazzare!» metto le mani tra i capelli.
Ethan blocca i miei polsi trattenendo una risata. «Calmati Emma».
«È stato pazzesco!» si sente una voce alle nostre spalle.
Mi rendo conto che sto continuando a spingere Ethan e a strillare nel panico, quindi mi blocco mortificata.
Ho il cuore a mille e sono senza fiato. Ethan lascia i miei polsi per abbracciare l'amico che subito dopo si presenta.
È un ragazzo sui vent'anni credo asiatico. Molto carino e gentile.
«Stai per svenire?» chiede ancora eccitato.
Nego piegandomi leggermente sulle ginocchia per riprendermi. Ora come ora vorrei solo prendere a pugni, riempire di colpi Ethan. Li merita.
Notando forse il mio pallore mi porta dietro un divisorio in cui vi è una porta e dopo averla aperta mi fa accomodare su una poltrona di pelle nera offrendomi subito dell'acqua per riprendermi.
Invece ciò di cui ho davvero bisogno è di picchiare Ethan per sentirmi meglio e per riprendermi.
Mi ritrovo in una casa sconosciuta con due pazzi. Saetto con gli occhi. Sono in un soggiorno adiacente ad una cucina. Pareti grigie su cui appesi vi sono dei quadri in bianco e nero. Una bellissima e piccola cucina ad isola in stile moderno. Tre sgabelli, un portatile messo a caricare sul ripiano. Una piantina all'angolo, una macchinetta per il caffè, un microonde e un enorme frigo in acciaio.
Un bel tappeto circonda il soggiorno composto da due divani in pelle. Davanti un tavolo e un maxi schermo che parte da una parete di mattoni grigi all'altra.
Dei cubi usati come libreria e una pianta all'angolo accanto ad una lampada. Una grande vetrata mostra una frazione di New York a me sconosciuta e alle prime luci della sera. Palazzi attorno e in fondo si intravede un campo da calcio in cui stanno giocando dei ragazzi.
«Puoi dirmi dov'è il bagno?», domando a Seth il quale mi indica la porta accanto alla scrivania posta davanti la vetrata separata da questa da una lunga tenda bianca da ufficio. Mi alzo traballante e la gamba cede un po' facendomi quasi urlare.
Ethan scatta subito in piedi, ma lo fermo.
«Hai già fatto abbastanza danni per oggi. Me la cavo da sola», lo rimprovero entrando in bagno, tirando la porta scorrevole davanti al suo sguardo.
Mi volto e trovo un bagno confortevole anch'esso in stile moderno. Una doccia dal vetro per metà satinato prende parte dello spazio. Uno specchio quadrato con una luce bianca posta sopra, un lavandino rettangolare senza piede e con i comandi tecnologici. Un water e un mobiletto accanto a delle mensole piene di asciugamani e candele. Curioso.
Passo dell'acqua fresca sul viso. L'ematoma come posso notare quando si toglie lo strato di correttore usato sta diventando di un altro colore, sintomo di guarigione, ma ho il viso bianco come un lenzuolo per la paura.
Sistemo il tutore e quando mi sento abbastanza pronta a non fare una pazzia picchiando selvaggiamente Ethan, esco tornando a sedermi sul comodissimo divano.
«Stai bene?», domanda Seth mentre Ethan se ne sta stravaccato a poca distanza ad occhi chiusi. Lo prenderei a sberle se ne avessi le forze.
«Si, ho solo forzato la gamba in auto mentre eravamo in pieno inseguimento contro quello stronzo psicopatico. Ma un amico normale non lo avete?», sbuffo.
Seth ridacchia annuendo. «Dolcezza dove vivi? Non esistono persone normali. Drew è solo un coglione borioso. Non è lui lo psicopatico per eccellenza, credimi». Rialzandosi, prende dalla dispensa tre sacchetti mini di patatine lanciandone subito uno in testa ad Ethan e uno anche a me che prendo al volo. Cosa significa che non è lui il peggiore?
«Ti è piaciuto l'inseguimento?» 
«NO!», rabbrividisco.
«La prossima volta allora guidi tu!» Mi prende in giro Ethan come un bambino capriccioso abbraccia il cuscino nero aprendo il sacchetto di patatine cacciandone in bocca una consistente manciata forse per non continuare a stuzzicarmi.
«Non posso!»
«Perché?», domanda subito attento Seth sedendosi accanto all'amico. «Se è per la gamba, possiamo modificare l'auto Emma».
Scuoto la testa arrossendo. Perchè pensa che io abbia problemi solo per la gamba? «Ecco... a parte che odio le auto, non ho la patente».
Seth sembra avere ingoiato un limone ed Ethan quasi sputa le patatine. «Dettagli», dice sorridendo alla fine.
«Emma sai chi hai davanti?», domanda Seth facendosi serio poco prima di indicare se stesso.
Noto un balenio eccitato nei suoi occhi a mandorla. Che cosa ha in mente?
Scuoto la testa. «Ho davanti un gruppo di pazzi che mi faranno morire prima dei miei ottant'anni. Credo che questa sarà l'ultima volta», rispondo sarcastica.
«Amico, hai del filo da torcere qui! E a te piacciono le sfide, vero?», Seth sghignazza dando una pacca ad Ethan.
«Seth ha i permessi per darti la licenza di guida», mi spiega in fretta ignorando le parole dell'amico.
Scuoto subito la testa alzando i palmi. «Fermi! Non farò niente di simile. Non mi serve la patente e poi... poi ho altri progetti».
«Tipo leggere e nuotare?», ghigna e capisco che ha letto la mi lista.
Mi vergogno immediatamente lanciandogli irritata un cuscino in faccia. Deve essermi caduta durante tutto quel trambusto in camera. Al pensiero il mio sorriso svanisce per un momento. «Non dovresti leggere le cose altrui e poi svelarle. È da... stronzi», lo rimprovero.
«È da... stronzi», mi scimmiotta. «Se non volevi che qualcuno la leggesse dovevi nasconderla meglio. E poi, vuoi davvero nuotare n...»
Gli lancio un altro cuscino in faccia per non farlo finire. «Non sono cose che ti riguardano!» alzo il mento.
Seth inarca un sopracciglio. Non riuscendo più a trattenersi scoppia a ridere contagiandoci.
Mentre i due parlano animatamente ed Ethan mostra qualcosa sul cellulare a Seth, mi sistemo comoda sul divano e per un momento non avverto nient'altro. Ho passato una giornata abbastanza piena di novità per una persona monotona come me, inoltre credo di avere esaurito quasi ogni energia.
Sdraiata all'angolo di questa stanza, mi allontano temporaneamente del mondo.
Ricordo sempre tardi di dovere fare l'opposto di ciò che voglio per stare veramente bene.
Il mio cervello è quel posto assurdo in cui le paure si ingigantiscono e i pensieri continuano ad assillarmi. Il luogo in cui le paranoie prendono vita trasformandosi in paura.
Ad un certo punto qualcuno mi scuote. Apro gli occhi frastornata. Siamo ancora all'appartamento di Seth ed io sono sul divano. «Hmm?», mi lamento. Sono troppo stanca per far conversazione. Devo essermi appisolata un momento. Non ho chiuso occhio la notte precedente.
«Amico, l'hai sfinita oggi. Che avete fatto?», la voce di Seth mi arriva un pò distante. Sento sbuffare Ethan borbotta qualcosa poi le sue braccia mi sollevano.
Vorrei riaprire gli occhi, dirgli di mettermi giù, di non toccarmi, di non fare formicolare la mia pelle, ma non ci riesco. Cado in un sonno profondo pieno di auto, corse, inseguimenti e gente che urla.
Spalanco subito gli occhi boccheggiando e sono davvero in auto. Ethan si volta abbassando la musica poi avvicina l'indice alla mia guancia accaldata. «Scusa non volevo svegliarti. Hai il sonno leggero», aggrotta la fronte ritraendo la mano.
Evito di pensare al sogno. «Sono stanchissima», biascico riprendendo sonno facendo finta di non avere notato il suo gesto.
Dopo pochi minuti sento un'aria diversa ed apro gli occhi. Ethan sta sganciando la mia cintura.
«Ehi», mormora in tono quasi dolce abbozzando un sorriso.
«Ehi», ho la voce roca. Stavo dormendo così bene. Per un attimo vorrei chiedergli di farmi rimanere qui dentro ma, quando ricordo di essere su una macchina mi riscuoto.
«Vuoi che ti porti in casa in braccio?», domanda in tono dolce.
Dov'è finito il ragazzo distaccato? Non so cosa rispondere ma la mia testa, agisce da sola ed annuisco. Non so cosa sto facendo, non ne ho il pieno controllo.
Non sembra dispiaciuto. Mi solleva con delicatezza portandomi al piano di sopra. Anya è già alla porta, sorride toccandomi la fronte. Ci segue dentro la mia stanza dove Ethan sistemandomi sul letto dice: «È molto stanca. Salgo gli acquisti e torno al mio appartamento. Buona notte sorellina».
«Notte fratellino. Grazie!»
Anya mi raggiunge sistemandosi accanto a me. Mi giro lentamente ad occhi chiusi. Ho paura di non riuscire più a riprendere sonno.
«Vuoi dormire qui?», mormoro sbadigliando.
Sento che annuisce con un verso poi spegnendo le luci mi circonda la vita con le braccia.

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