; Good lucky.

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Álvaro Morata.

Dodicesimo giorno.

Il calore delle calde coperte gli ricopriva il corpo facendolo sentire per una volta veramente a casa. Perché sì, quello era il suo posto ne era sicuro. I ricordi della notte passata riaffioravano nella sua mente; un sorriso compiaciuto apparve sulle sue labbra. Strofinò una mano sul soffice lenzuolo speranzoso di trovarlo ancora al suo fianco. Era vuoto, doveva essersi già alzato. Racchiuse le mani in due pugni e goffamente si strofinò gli occhi ancora visibilmente addormentati. Scostò il tessuto dalla sua pelle lasciandolo completamente nudo. Una leggera brezza proveniente dalla finestra semi aperta lo fece rabbrividere.
Infilò i boxer, e senza preoccuparsi della possibile reazione del ragazzo scese al piano di sotto. La scena che gli si presentò davanti assomigliava ad una di quelle presenti nei film, Paulo Dybala alla prese con i fornelli intento a cucinare chissà che. L'argentino impersonava la parte della donna, quella che si sveglia presto per preparare la colazione e lui, la parte dell'uomo. Si avvicinò di soppiatto, cingendo le braccia attorno alla vita del numero 21.
Stava archeggiando i fianchi sotto le note musicali di una delle sue canzoni preferite; il più grande spettacolo dopo il big bang. Si unì a lui, era così fottutamente bello quel momento.
Un profumino invitante invase le sue narici, solo in quel momento si accorse di cosa stesse preparando. Pancakes, e lui li adorava. Erano il suo punto debole.

; - Buenas días chico. - sussurrò al suo orecchio.

; - Buongiorno a te. - rispose sorridendo la Joya.

Quest'ultimo si voltò annullando quella poca di distanza che si era creata tra le loro labbra. Un bacio casto, bello e passionale.
L'argentino ripose la colazione sul tavolino sotto lo sguardo voglioso di Álvaro, il quale stava decisamente morendo di fame.
Non appena il cibo entrò in contatto con la sua lingua, le proprie papille gustative esplosero, si sentiva come rinato.

; - Buoni vero? - ridacchiò compiaciuto il ragazzo dagli occhi verdi.

Si limitò ad annuire continuando ad ingerire l'ennesimo pezzo di Pancakes.
Una vera delizia per il palato.
Una volta concluso, ripose la forchetta nell'interno piatto buttando la testa all'indietro. Il silenzio li circondava, alzò il capo incastrando il suo sguardo con quello dell'attaccante. Non riusciva a capire come, una creatura così bella e armoniosa riuscisse a stare con un disastro come lui.
In quest'anno era riuscito ad ottenere solo insulti e derisioni da parte dei tifosi, aveva deluso tutti; persino i suoi genitori.
Ma da quando aveva conosciuto Amanda, e risolto la questione con Paulo la sua situazione in campo sembrava essere migliorata. Peccato che il campionato fosse già bello che finito e lui era riuscito a segnare solo 6 goal, contro i 14 di Paulo e le 8 reti segnate da Manduzkic. Era una completa delusione per la società.

Se vinci ti vogliono bene, ti fanno la olà, ti cantano un coro. La vittoria è una cosa di squadra, ma se perdi, perdi da solo.

[...]

Amanda Allegri

La solitudine accompagnata dal rumoroso silenzio invasero la stanza. Spostò lo sguardo alla sua destra, verso la carrozzella e un'idea le invase la mente. Visto che non poteva andarsene da lì, farsi un giro per l'ospedale forse era la cosa migliore da fare. Allungò la mano riuscendo - anche se con qualche difficoltà - a raggiungere il bracciolo della sedia a rotelle. Tenne lo sguardo fisso verso quell'attrezzo indecisa sul da farsi; non era sua intenzione passare un'altra intera giornata sdraiata su quel letto senza fare niente. Grazie alla forza sulle sue braccia era finalmente riuscita nel suo intento, ora bisognava solo capire come funzionasse quell'aggeggio.
Posò le mani sulla ruvida gomma la quale ricopriva perfettamente le ruote, ma prima di potersi muovere i suoi occhi azzurri si posarono sulle sue bianche e fredde gambe. Tentò di farle spostare ottenendo però scarsi risultati, restavano lì immobili e ferme.
La sua domanda più frequente era; - Perché io? - Eppure lei, dal suo punto di vista, non aveva mai fatto del male a nessuno, era sempre stata buona e cara con tutti. Anche con chi non se lo meritava affatto.
Alla fine era inutile rimuginare e discutere sul passato, quello era fatto per rimanere tale. Fece scorrere le mani lungo le ruote, riuscendo a muoversi di quale centrimetro. Dopotutto non era poi così male, anzi poteva definirlo quasi divertente. Un lungo e mostruoso corridoio le si presentò davanti accompagnato da una decina di porte. Sì avvicinò alla prima scorgendo un'anziana signora - probabilmente sulla settantina - ritrovarsi nella sua stessa posizione. L'unica differenza, oltre l'età era una sola, a differenza su la vecchietta le gambe non le aveva per niente. Forse le erano state amputate. Avrebbe voluto chiederglielo ma la troppa paura glielo impedì così proseguì il suo cammino. Nella stanza successiva vi era un bambino, troppo piccolo per trovarsi in un posto orribile come quello. Sì avvicinò lentamente all'uscio provocando un fastidioso scricchiolio.

; - Chi è ? - chiese il giovincello voltandosi di scatto.

In un primo momento non rispose, lo guardava. Indossava degli occhiali scuri, nero. Portò le mani davanti a se come se stesse cercando di afferrare qualcosa ma dinnanzi a lui non vi era che il vuoto. Solo in quel momento si accorse di una cosa. Il bambino non ci vedeva, era cieco.

; - L'infermiera. - rispose dopo una manciata di secondi.

; - Perché menti? - domandò nuovamente il bimbo.

Non sembrava essere italiano, e il suo accento lo dimostrava. Forse proveniva d nord europa, era così grazioso.

; - Sono l'infermiera. - rispose nuovamente,

; - Loro non hanno la carozzella. - constatò.

Il sangue gli si gelò, come diamine aveva fatto a capirlo? Probabilmente dal rumore causato prima di entrare.

; - Come lo sai? - chiese questa vota lei.

; - Lo sento. - sorrise.

Okay, era abbastanza inquientante.

; - Dov'è la tua mamma? -

; - È morta nell'incidente, ora è in cielo con papà. -

Un senso di tristezza le invase l'anima, si sentiva così egoista; nel mondo c'era gente messa decisamente peggio di lei.

; - Cos'hai fatto alle gambe? -

; - Sono stata investita. - sospirò.

; - E fa male? -

Sembrava di trovarsi in uno di quelli interrogatori fatti dalla polizia che spesso era solita vedere nei film.

; - Un po'. - rispose mentre una lacrima rigò il suo viso finendo sulla bianca maglietta.

; - Come ti chiami? - domandò questa volta lei.

Ora era arrivato il suo turno.

; - Zack. - rispose il biondo.

; - Bene Zack, ora devo andare. Verrò a trovarti non appena mi sarà possibile. -

; - Non verrai più vero? -

; - No. Verrò di nuovo. Promesso. -

Il bambino sorrise, ricambiò il gesto anche se quest'ultimo non poteva vederlo.
Le mani iniziavano a farle male, così decise di tornare in camera. Dove trovò Álvaro ad aspettarla.
Aveva una busta in mano, anche se assomigliava più ad un fascicolo. Socchiuse la porta alle sue spalle, ritrovando lo sguardo dello spagnolo premerle addosso. Glielo pose, abbassò lo sguardo.

Impossibile.
Non poteva essere reale.

SpazioAutrice; Buon pomeriggio plebei. Sono tornata uii. Questo capitolo è asdfgkklf, fantastico secondo me.
Poi fatemi sapere cosa ne pensate, spero che vi piaccia.
Ci vediamo con un nuovo capitolo uee.
E ricordate che i voti sono gratis, approfittatene.
@Clara.

Days - Resta anche domani ; Álvaro Morata.Where stories live. Discover now