Fiducia.

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Non riuscii a resistere oltre, dunque abbassai lo sguardo verso le mie gambe. Lasciai i singhiozzi uscire dalle mie labbra, non curandomi di cosa potesse pensare lui o gli altri.
Ero stanca.

«Perché stai piangendo?» insisté lui. Non riuscii a spiccicare parola, e anche se ci fossi riuscita, non avrei saputo cosa diavolo dire. Mi odiai tanto in quel momento, non sopportavo fare pietà alle persone, ed era esattamente ciò che stavo facendo.
Lo facevo sempre.
Sono incoerente.
Con i pollici, accarezzò la mano gelida poggiata sul grigio marmo della panchina.

«Vuoi rimanere qui tutto il giorno? Fa molto freddo e potresti ammalarti.» Con la coda dell'occhio riuscii a scrutare un sorriso lieve e dolce. Riuscivo a percepire il suo disagio, nonostante cercasse di apparire molto calmo.
Come biasimarlo, anche io mi sentivo a disagio.

«Sta per mettersi a piovere, andate via.» Sussurrai, non ero nemmeno sicura che mi avesse sentito, ritrassi la mano poggiandomela sulle magre gambe, coperte dal velo di leggings scuro.

«Io e chi?» Ci fu un breve silenzio. Scarso tentativo di farmi ridere. Tossì
«Puoi darmi del tu, non sono poi così vecchio. Mi chiamo Michele, comunque.» Rimasi in silenzio a fissare il nulla, non sapevo cosa fare, come comportarmi. Continuò a trovare pretesti per farmi parlare, ce la stava mettendo tutta, mi sentii quasi in colpa. Scossi la testa da destra a sinistra, nonostante la mia pancia non fosse effettivamente d'accordo. Sorrise, porgendomi la mano in modo un po' titubante. Spensi i pensieri, basta scappare. Lo seguii.

Mi strinse la mano per tutto il tragitto, come se avesse paura che io potessi scomparire da un momento all'altro. Le persone lo guardavano male a causa mia, la maggior parte di loro mi conosceva e sapevano. Sapevano tutto. Ma per lui era come se non ci fosse nessuno, camminava senza dar peso agli sguardi, a differenza mia; odiavo essere guardata, essere al centro dell'attenzione.
La gente mi squadrava dalla testa ai piedi quando uscivo, ed era una sensazione orribile.
Entrammo in un ristorante non troppo affollato. Le pareti erano di un rosso scuro, tipo Bordeaux. Dei vasi con fiori erano posti al centro del tavolo, i petali erano di un modesto bianco. Avvicinandomi notai che erano finti, come le persone, finte. Il tavolo dove ci sedemmo era tondo, strana scelta per un ristorante. Era di un marrone scuro, con sopra una tovaglia beige.

«Non conosco ancora il tuo nome.» Poggiò i gomiti sul tavolo e intrecciò le mani, palesemente incuriosito. Era in una postura un po' curva e i suoi capelli erano una massa informe, tipo nido di uccelli.
Notò immediatamente che non avevo intenzione di rispondergli, non subito, almeno. Alquanto maleducato da parte mia, dato che ero in un ristorante che non mi sarei mai potuta permettere.
«Se mi dai degli indizi provo ad indovinarlo.» suggerì per mettermi un po' a mio agio.
Non mi dispiacque come idea.

«È presente un'acca.» Risposi, sollevando il menù tra le mani e facendo finta di leggere.

«Acca eh? Non sarà mica Michela?» Sarebbe stato alquanto ironico chiamarsi con lo stesso nome.

«No, è un nome totalmente diverso. Compare anche in un cartone animato molto famoso, ma scritto in modo diverso.» Alzai leggermente lo sguardo per pochi secondi, per poi tornare a guardare il pezzo di carta, imbarazzandomi.

«Oh si, adesso mi è tutto più chiaro.» Scherzò lui, abbassandomi il menù e squadrandomi il viso.

«Dì l'ultima parola che hai detto al femminile.» Suggerii facendomi sfuggire un mezzo sorriso. Era da tanto tempo che non parlavo con qualcuno in questo modo; era tanto tempo che non parlavo con qualcuno in generale, direi.

«L'ultima parola?» Mi fissò per qualche secondo, non sapevo se ridere o piangere. In un attimo vidi l'illuminazione nei suoi occhi.
«Chiara! Ti chiami Chiara!» Annuii leggermente.

Ricominciai a riflettere sulla situazione, sulla scemenza che stava accadendo.
Un ragazzo che ti viene vicino a caso e ti porta in un ristorare? Tsk. Avrà voluto solo portarmi a letto.
«Forse è meglio non ordinare nulla, sono in un ristorante con una persona sconosciuta, incontrata nemmeno mezz'ora fa in un parco a caso. E poi non ho nemmeno i soldi per pagare.» Sputai fuori con un'amarezza raggelante.

Vidi la confusione farsi spazio sul suo volto, mista a dispiacere e comprensione.

«Nulla da dire su questa affermazione, hai ragione.- Fece una breve pausa-Però mi piacerebbe sapere cosa ti è successo e perché stessi piangendo. Volevo solo essere cortese e, sopratutto, non fare finta di niente mentre eri in balia della tua tristezza.» Parlava con quel filo di tensione nella voce che riusciva a mettermi i brividi, come se da un momento all'altro tutto potesse spezzarsi.

«Mi sono fatta male, ma ora è passato, è stato solo uno stupido momento di debolezza.» La buttai lì senza dare minimamente peso alle parole. Non avrebbe avuto senso spiegargli la verità. Mi guardò in silenzio, lo capì che stavo dicendo una boiata colossale.

Più il tempo passava, più l'atmosfera si faceva pesante. Non sapevo cosa fare, se alzarmi e andarmene, o restare.

«Vorrei farti mangiare qualcosa prima che tu te ne vada, per favore.» Rimase impassibile pronunciando tali parole. Sospirai leggermente, annuendo. Oramai ero lì, sarebbe stato inutile alzarsi e andare via. Il suo viso si riempì con un sorriso, non riuscii a capire se fosse vero e se mi stesse prendendo in giro.

Ordinò la prima cosa che gli indicai senza nemmeno guardare, sentii il senso di colpa salirmi fino alla gola, stavo sbagliando.
Aspettammo davvero poco per il cibo, notai immediatamente la vastità di pietanze dalla sul suo lato di tavolo. Non potevo credere che fosse così magro nonostante mangiasse così tanto.

Quando finimmo, si offrì di riaccompagnarmi a casa. Per un primo momento gli dissi di no, ma non sapevo nemmeno io cosa volessi. Fu bello passare quel poco tempo insieme a lui, ma avevo comunque una brutta angoscia addosso. Non era normale tutto ciò.
Continuò ad insistere, dunque decisi di farmi accompagnare solo fino a qualche isolato prima da casa mia, in modo tale da non fargli scoprire il mio indirizzo.

Passeggiammo, a passo svelto, per la piccola stradina, con miriadi di persone a destra e a sinistra. I nostri corpi a distanza di sicurezza, le nostre menti incastonate in altri mondi.
Grazie alla mia grandissima intelligenza, dimenticai di fermarmi prima ed arrivammo esattamente sotto casa mia, l'ultimo palazzo.
Mi girai verso Michele, mi fece un leggero sorriso e un cenno veloce con la mano, prima di girarsi e andare dal lato opposto. Mi maledii mentalmente per tutto quanto.

Entrai nel portone della mia abitazione, cominciando a correre velocemente su per le scale, verso casa.
La porta sbatté alle mie spalle, facendo risuonare il suono in tutta la casa.
Mi lanciai sul letto sfatto di camera mia, costringendo la mia mente a spegnersi e, di conseguenza, ad abbandonarsi al sonno.

***

Spero che il capitolo vi piacciase è così lasciatemi una stellina e un commentino.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
CIAO!

~S

Revisionato✔️

Save Me, Please.||Michele Bravi|| IN REVISIONE.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora