Schegge di Lacrime.

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-Perché? Perché te te vai anche tu!? Il nostro doveva essere un per sempre!- gli urlai lasciando che le mie lacrime prendessero il sopravvento su di me.

Non rispose. Rimase lì, a guardarmi, come se nulla stesse succedendo.

-Conosci il mio passato! Sai quanto la gente mi abbia fatto del male, adesso anche tu? Anche tu mi hai mentito! Avevi detto di Amarmi!- Non mi è mai piaciuto fare la vittima, farmi vedere debole dalle persone. Eppure in quel momento sembrava inevitabile. Sputai quelle banali parole come se fossero fatte di fuoco, pronte a polverizzarmi. Crollai sulle ginocchia, mettendo le mani al petto. -Speravo fossi diverso.-

Aprii i miei occhi scattando a sedere, mi girai velocemente verso la sveglia, tremante. Dopo svariati secondi, spensi quell'aggeggio che, ogni mattina, mi buttava giù dal letto senza pietà in una realtà che non era mia.

Mi stropicciai gli occhi, pensando all'incubo. Subconscio, mi dicevo. Colpa sua.
Non era la prima volta che mi capitava di fare questo certo tipo di incubi.
Alzandomi, presi il telefono per mettere della musica, aiutava a distrarmi. La riproduzione casuale fece partire: "Hear Me-Kelly Clarkson." Giusto per iniziare bene la giornata.

Mi avviai verso l'armadio, optai per indossare una normale felpa bianca; tre volte la mia taglia, dei leggings neri e delle converse.

Sotto la doccia, la canzone continuava a ripetizione, penetrando con le sue parole nella mia testa e rendendo più vividi i pensieri.
Provai a truccarmi, niente da fare, non ne sono mai stata capace. Decisi di lasciare un semplice strato di matita nera sotto gli occhi e del semplice mascara.

Appena fui pronta presi la cartella e uscii di casa.

La consapevolezza di dover entrare a scuola anche quel giorno, che le persone avrebbero riso di me ancora, mi fece rabbrividire e rallentare il passo.
Arrivai fuori il grande cancello grigio scambiato della scuola, guardai l'orario: sette e un quarto, ero in anticipo, che novità. Odiavo arrivare in ritardo, qualsiasi avvenimento fosse.

Indossai le cuffie e feci partire nuovamente la riproduzione casuale:
"Can you hear my heart- Bring Me The Horizon." Tutte canzoni molto allegre su quel telefono.
Oltrepassai il cancello, avviandomi verso l'edificio.
Tra canzoni e pensieri il tempo passava, cominciarono ad arrivare le prime persone. Per mia fortuna, non fecero il minimo caso a me.

Abbassai lo sguardo verso il mio telefono, intenta a giocare ad uno stupido giochino sui gatti; quando una mano mi diede uno spintone, facendomi cadere per terra. Incrociai immediatamente gli occhi di lei, piena di trucco in faccia, mi chiedevo spesso se facesse parte di un circo.
Ebbene, l'incubo stava cominciando.
Di nuovo.

«Vedi, quello è il tuo posto tesoro, per terra ai miei piedi.
Chiara, fattelo dire, con quella faccia potresti spaventare dei innocenti bambini, nasconditi.» Una risata da oca invase i miei timpani, seguita da altre tre, provenienti dalle sue spalle.

Mi alzai e mi voltai, volevo andarmene, scappare e non tornare mai più. Ma, data la mia grande fortuna, afferrò la mia cartella strattonandomi verso se stessa, per poi rilanciarmi in avanti, con la speranza di farmi ricadere. Riuscii a non perdere l'equilibrio e a mantenermi in piedi.

«Francesca, cazzo, ma la smetti?!»
Urlai, prima di correre verso il retro della scuola con la coda tra le gambe. Ero patetica. Ma meglio evitare persone del genere. Salii le scale antincendio ed entrai per la porta di emergenza.
Mi appoggiai contro la parete, facendo scivolare la mia schiena contro il muro, fino ad arrivare per terra. Tirai le gambe vicino al petto, avvolgendole con le braccia e poggiandoci la testa sopra.
La campanella non era ancora suonata, presi il telefono e guardai l'orario: "07:55" cinque minuti. Cinque minuti più inutili e veloci della mia vita.

Decisi di avviarmi direttamente verso la mia classe. Fortunatamente era venerdì, e per almeno due giorni non avrei rivisto quelle deficienti.
Suonò la campanella, tutti gli alunni entrarono in classe.

"«Ma dormi in classe?»
«Mado ma che faccia che c'hai»
« E mangiati una risata!»"
Avrei tanto voluto avere la forza di controbattere, di non farmi mettere i piedi in testa.
Ma si sa, l'indifferenza è l'arma migliore.

La professoressa entrò sbattendo la porta, in modo da zittire tutti quanti. Una cosa che odiavo tanto dei professori era che sapevano esattamente cosa passassi in quella classe di capre, ma non faceto mai niente per aiutarmi. Tanti discorsi contro il bullismo, ed erano i primi a fregarsene.

***

Quando finalmente la scuola si concluse, aspettai che tutti uscissero.
Mi affacciai alla finestra cercando, con lo sguardo, Francesca.
Trovata, poggiata al cancello con tanta non chalance. Non avevo intenzione di essere ancora maltrattata da lei, ero stanca.
Uscii nuovamente dal retro, correndo a più non posso verso il muretto che divideva la scuola dal parco. Lo scavalcai, camminando tra le piante in modo non troppo frettoloso per non essere notata.
Era così frustrante dover fare tutto ciò quasi tutti i giorni.
Chiedevo solo un po' di pace, come se non avessi già abbastanza problemi a cui pensare.
Sbucai nel piccolo parco. Camminai verso la panchina aggiustandomi i biondi capelli dietro l'orecchio. Appena seduta, alzai la manica della felpa, mostrando al vento tutti i miei fallimenti. Stupido eh? Farsi del male fisico per sovrastare quello mentale, intendo. Ero più che consapevole che servisse a ben poco.
Ma quei segni non erano altro che suicidi mai riusciti, la voglia di mettere fine al dolore e la paura di non riuscirci del tutto.
L'abbassai velocemente coprendo di nuovo quello schifo, nascondendo le prove della mia codardia e della mia debolezza.
Sentii dei passi avvicinarsi a me, avevo paura che fosse Francesca, o magari qualche altra persona inutile, ma mi era impossibile fare un qualsiasi movimento. Ero troppo mentalmente instabile per fare qualsiasi cosa.

-Scusami? Hai bisogno di aiuto?- La sua voce era molto calma e pacata, di un ragazzo, probabilmente.
Alzai lo sguardo verso di lui, trovandomi di fronte un ragazzo molto alto, dai capelli castani e dei verdi grandi occhi. La pelle pallida metteva in risalto le guance arrossate.
Portava una felpa nera abbastanza larga, abbinata a delle Vans rovinate dal tempo.
Strinsi le maniche della mia felpa, mentre una gelata di vento, congelò le lacrime che rigavano il mio viso. Si accomodò al mio fianco, non troppo vicino ma nemmeno troppo lontano.
Avevo bisogno di aiuto.
Abbandonai completamente i miei pensieri, concentrandomi solo sul suo sguardo che a stento riuscivo a reggere.

***

Heeeelloooo!
Questo è il primo capitolo della mia nuova storia! Come avete potuto notare è una fanfiction  su Michele Bravi
Spero vi piaccia.

-S

Revisionato✔️

Save Me, Please.||Michele Bravi|| IN REVISIONE.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora