La nuova vita- Parte 3

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Entrano in casa e vanno in soggiorno accompagnati da Ruben.

Per un momento ho tenuto davvero il peggio. Se Alec è tornato e vuole fare del male a me la prima persona che attaccherà sarà Ruben. Ho avuto troppa paura.

Vado in cucina, riprendo la tazza dal frigo e mi siedo attorno al tavolo. Dopo un po' Marcus viene in cucina e si siede di fronte a me.

<< Quanto tempo fa? >> mi chiede in tono serio.

<< Quanto tempo fa cosa? >>

<< Quando è tornato? Una settimana? Un mese? >>

Bevo qualche sorso dalla tazza senza guardarlo.

<< Dipende in che veste stiamo facendo questa conversazione. Stiamo parlando come governatore ed ex governatore o come padre e figlia? >>

Sta per rispondere quando dico: << In entrambi i casi non te lo direi. Non c'è ancora niente di certo e nessuno deve sapere. >>

Dopo circa mezz'ora arrivano anche Jago, Ariel, Lilia, Set ed Eliah.

Ruben ha preparato la cena e ha apparecchiato nel tavolo di pietra in terrazzo. Per tutta la cena cerco di togliermi dalla testa Alec, anche se è un po' difficile.

Appena abbiamo finito di mangiare mi alzo dal tavolo e mi appoggio alla ringhiera. Guardo la serra, i giardini e l'orto illuminati dai lampioni che Jago ha messo sparsi in giro. Questa casa è stupenda, ancora non riesco a credere che sia mia. Ad un tratto vedo qualcosa sul tavolino della serra, qualcosa di così piccolo che solo i miei occhi da ragazza alata possono vedere.

Mi volto verso gli altri e dico: << Mi sono appena ricordata che devo fare una chiamata. Arrivo subito. >>

Rientro in casa e corro subito verso l'uscita sul retro. Mentre cammino verso la serra prendo il mio telefonino e faccio finta di metterlo all'orecchio. Entro nella serra e mi siedo attorno al tavolo, facendo in modo che sembri un gesto normale. Guardo sul tavolo e vedo che l'oggetto che riuscivo a vedere dalla terrazza è una statuetta di metallo che blocca un bigliettino al tavolo. Prendo la statuetta tra le mani. É un angelo con le ali aperte, come se stesse volando. Prendo il bigliettino e vedo cosa c'è scritto. C'è scritto: "Im ' tergum. Efficiunt ignis, ignis vobis."

Sembra latino ma non ne sono sicura. Prima che me ne renda conto Marcus mi toglie il fogliettino dalle mani e legge quello che c'è scritto.

Mi alzo in piedi e guardo la sua espressione. È spaventato.

<< Che c'è scritto? >> chiedo un po' ansiosa.

<< E' latino. >> risponde << "Im ' tergum" vuol dire "sono tornato", mentre l'altra frase... significa letteralmente "Fuoco produci, fuoco avrai". >>

Prendo il bigliettino dalle mani di Marcus e lo strappo in mille pezzi. Io non voglio un'altra guerra, non voglio versare altre lacrime, non voglio credere di nuovo che la mia vita non era lunga come pensavo. Come può una persona decidere di mettere fine alla vita di un'altra persona? Mi mordo il labbro. Io ho deciso di mettere fine alla vita dei vampiri, ho ucciso delle persone. Okay, non erano persone ma erano esseri viventi. Okay, nemmeno quello, ma erano comunque dei... dei mostri, ecco cos'erano. Ma io non sono un mostro. Forse. Anche io ho le mani macchiate di sangue. Ogni giorno sono costretta a bere del sangue umano perchè adesso il mio corpo lo richiede per sopravvivere. Ogni giorno sento l'odore inebriante del sangue caldo che scorre nelle vene di ogni persona che mi passa accanto e una piccola parte del mio cervello mi dice di attaccare ed assecondare per una volta la mia parte vampiro. Sono un mostro, come lo era John e tutti gli altri. Capisco il perchè la ragazza alata sarebbe dovuta morire durante la guerra insieme a tutti i vampiri. Io sono il male, come lo erano tutti gli altri. Io ed Alec non siamo poi tanto così diversi.

Mi siedo sulla sedia e cerco di respirare profondamente. Marcus si mette in ginocchio di fronte a me e dice: << Lo affronteremo tutti insieme. Abbiamo già vinto una guerra, possiamo vincerne un'altra.>>

Senza guardarlo negli occhi dico: << Non dirlo a nessuno, okay? Per il momento nessuno deve sapere niente. Devo fare delle ricerche, questo non è il primo messaggio che Alec mi sta mandando. Questo è quello più chiaro, più preciso. Quando sarà il momento parlerò con tutti gli altri. >>

<< Posso darti un consiglio da padre a figlia? >>

Annuisco e dice: << Cinque anni fa te la sei cavata perchè tu sei nata con un compito. Hai visto Ruben e Ariel arrivare, grazie a loro sei tornata da "vendicatilandia" e hai capito che stavamo perdendo e che tutti saremmo morti, nel tuo cervello si è sbloccato qualcosa e ti sei trasformata. Ma per la guerra che sicuramente arriverà a breve, non ti dovrai semplicemente trasformare e basta. Per questa guerra devi essere in pace con te stessa e devi avere la forza di sopravvivere. Non sopravviverai questa volta se prima non combatti la guerra contro te stessa. >>

Mi da un bacio sulla fronte e va via. Rimango immobile, mi sento persa nel tempo e nello spazio. Ripenso alle parole di Marcus. Ha ragione su tutto quello che ha detto.

Io combatto contro me stessa da anni ormai, ma non sono riuscita ancora a vincere. Ma come si fa a vincere una guerra contro chi si è veramente? Non ci sono armi per questa guerra, non c'è un addestramento. Serve solo la voglia di combattere per quello che si crede che sia giusto. Ma a questo punto, è giusto combattere contro se stessi?

Luce Where stories live. Discover now