Capitolo 113. Nullità

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N/A: eh niente... Per una volta questo capitolo non è stato scritto contro il tempo, ahahah.
Spero vi piaccia <3


Quando Giovanna chiuse gli occhi, per un attimo pensò di star avendo allucinazioni. Come poteva esserci fresco?
Alzò la testa e pigramente alzò le palpebre. Le sbatté più volte, per essere sicura di non avere le traveggole.

Non stava più morendo di caldo. Un sottile velo blu oltremare s'ergeva, fissata come una piccola tenda, quasi piramidale, sopra la sua testa.
La sicula s'alzò cauta e s'avvicinò al velo. Stava bene. Non c'era né caldo, né freddo.

Fu come attratta da quella magia e premette piano con l'indice il "tessuto". Ritrasse il dito in fretta, come scottata, ma non aveva provato dolore. Solo una scarica di adrenalina.

E la voce rincuorante di Vincenzo, che le assicurava che l'avrebbe protetta. Che l'avrebbero protetta.
Non era sola.

Con rinnovata speranza, fece qualche passo avanti e il velo blu la seguiva, coprendola e tenendola a quella temperatura piacevole.
Però non sapeva dove andare.

Chiuse gli occhi e provò a ricercare la connessione, a individuare la fonte di quel vasto deserto.
E come l'ago di una bussola punta sempre il nord, la sicula si girò di scatto e proseguì nella nuova direzione con ampi e svelti passi, quasi correndo.

S'accorse in fretta che però qualcosa non andava. Iniziava ad avere caldo. Si fermò ed alzò la testa.
Il velo sfarfallava. Poco, ma sfarfallava come una luce morente.
Preoccupata sfiorò di nuovo il velo. Stessa scossa, ma questa volta s'allontanò turbata.
Il caldo stava aumentando, aveva detto Vincenzo, e la magia non poteva continuare a controbilanciarlo con la stessa efficacia.
E insieme, ma distinta e limpida, aveva sentito l'urlo di Carmela: «Ce la puoi fare lo stesso!»

E ovviamente lei ce l'avrebbe fatta lo stesso! Era Giovanna Vargas e un po' di caldo non le avrebbe impedito di trovare Lovino e liberarlo e prendere a calci nel culo quegli stronzi!

Riprese a correre mentre il calore, fin troppo in fretta per i suoi gusti, iniziò a penetrare nella barriera, tornando a stancarle le membra e rallentarle la mente.
Ma proseguì nella sua corsa, anche se più goffa.

Intanto pensò a come sarebbe stato molto peggio senza quella magia, che senza di essa sarebbe morta, quindi doveva esserne grata.
Pensó a come un po' di caldo non l'aveva mai fermata e non l'avrebbe fatto neanche allora.
Pensò che si contava su di lei per salvare Lovino.

Lovino.

Semplicemente pensò a Lovino.
A quel testardone che aveva cresciuto tra affetto e odio misandrico e per cui (oltre ai ragazzi) aveva imparato a superare questa ambivalenza che feriva tutti, inclusa lei stessa, perché tutti (in primis lei stessa) meritavano una migliore versione della sicula.
A quel ragazzo che era tanto insicuro e che, nonostante le mille rassicurazioni, era sempre secondo rispetto al fratello ai suoi stessi occhi e a quelli di altri idioti.
A quell'uomo che stava re-imparando ad amarsi, amando, e che le regalava gli stessi sorrisoni a cui s'era affezionata appena non ebbe più bisogno di essere portato in braccio.

Corse con ancora più forza, aggrappandosi con tutta se stessa a quei ricordi, a quei sentimenti tanto cari che associava al nome Lovino.

Tutto d'un tratto, davanti a sé comparve un'alta torre di un bianco quasi accecante, ma Giovanna non ne fu preoccupata.
Perché il suo legame con Lovino la continuava a guidare con sicurezza e il suo amore per lui le dava le energie che il calore provava a rubarle.

Non cercò neanche una porta, perché non sarebbe stato importante.
Si tuffó nel muro, che la fece passare come aria, ma che lasciò indietro quella tenda blu che tanto l'aveva aiutata.

Quasi ebbe un crepacuore appena il suo corpo registrò le fredde temperature.
Alzò la testa, ma non vide un soffitto, né il cielo: la torre s'estendeva senza fine. Riabbassò lo sguardo e camminò fino a che non incontrò una porticina che sembrava portare ad una torre nella torre.

Questa volta aprì la porta e il buio rese il mondo indistinto. O quasi.
Una piccola luce rischiarava un puntino al centro della stanza (era il centro? Quanto era grande la stanza? Lì dentro sembrava tutto distorto!), attorno a cui era rannicchiato niente meno che Lovino.
La siciliana non aveva dubbi su quel ricciolo e quei capelli castani tinti di ramato alla flebile luce.

Giovanna emise un verso di gioia e si fiondó sulla nazione, chinandosi accanto.
Lovino girò lentamente il capo verso di lei e la regione notò che il volto altrui era rigato da lacrime e gli occhi erano rossi. 
Ma gli distorcevano il viso in modo innaturale, dando al volto una sfumatura grottesca.

<Vattene.> sussurrò Lovino <Non serve che fai finta. Nessuno mi vuole.>
<Allora io sono nessuno. E anche i nostri fratelli e tutti gli altri sono nessuno! Perché noi ci teniamo a te!> ribatté prontamente Giovanna, mentre il cuore s'agitava nel petto.
C'era qualcosa che non andava, lì, immerso in quel buio. O era qualcosa dentro chi aveva di fronte il pericolo?

•~-~•

L'unica fortuna di Giorgio fu che la mano appoggiata al terreno dietro di sé per fermare il rinculo era appoggiata male, quindi cedette dopo lunghi secondi di sforzo.

Il veneto si ritrovò a lanciare un urletto e poi una bestemmia mentre cadde, sbattendo la testa e la schiena contro il pavimento. E insieme ringraziò qualsiasi cosa per averlo salvato.
Le mani gli tremavano, mentre il cuore gli rimbombava nelle orecchie.

Non sapeva cosa aveva fatto Feliciano, ma non era niente su cui scherzare. Aveva voluto ucciderlo?
Non poteva quindi vederlo?
Ma come avrebbe potuto fare a convincerlo, se non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi? Quanto poteva risultare convincente?

Si rimise seduto, la nuca pulsante, e notò come Feliciano avesse ripreso a disegnare senza lasciare segno.

Doveva usare un altro approccio.

Giorgio si mise a gambe incrociate dove era, si schiarì la voce e, con un tono usato soprattutto quando la nazione era piú piccola, chiese: <Feli, cosa stai facendo?>

Aspettò svariati secondi e stava per spazientirsi, quando arrivò una flebile risposta: <Sto disegnando.>
<Sì, lo vedo. Ma disegnando cosa?> indagò la regione con il medesimo tono.

<Qualsiasi cosa.> fu la risposta elusiva.
Feliciano alzò lo sguardo e, con una tristezza negli occhi che non sgorgava in lacrime per chissà quale motivo, aggiunse: <Quando mai riuscirò a completare un disegno qualsiasi, allora le mie capacità stupide e inutili si trasformeranno in abilità che mi renderanno finalmente pari agli altri.>

N/A: situazione sempre gioiosa e la soluzione, chissà, che sarà?
Alla prossima settimana!

Gabbia di séWhere stories live. Discover now