Capitolo 78. Per una volta essere chiamati terroni è bello

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Giovanna cadde a terra con un lamento, il fucile non più nelle sue mani, la testa che girava.
Gemette di dolore di nuovo e si afferrò il braccio sinistro con la mano destra. Con orrore, il palmo divenne subito ricoperto di un liquido caldo e appiccicoso.

Fissò (o almeno provò, data la vista un po' appannata) Carlo rialzarsi, la spada tinta di scarlatto sulla punta.
Sorrise trionfante e si avvicinò lentamente, come se fosse una belva che stava giocando con la preda che stava già degustando di divorare.

<Non sei la migliore combattente, chiunque tu sia, Sicilia.> calcò il lombardo, puntandole la punta della lama alla gola.

Era ben peggio della spada che prendeva sopra Damocle.
Non c'era il 50 e 50 di morire, nel suo caso. Moriva al 100%, se non fermava Carlo.
Aveva un'unica carta rimasta da giocare.

Con la voce più sofferta possibile (tenendo conto del fatto che aveva di fronte quel coglione) domandó: <Davvero non ti ricordi di me?>

Il lombardo corrugò le sopracciglia, sorpreso, ma non alzò la spada. Ma neppure la abbassò.
Chiese invece: <Perché fai quella faccia dispiaciuta? Mi sembra abbastanza chiaro che tu mi odi.>

<Non sei apertamente la mia persona preferita in casa, eh, però... però non c'è solo odio tra me e te.> rispose la sicula, sospirando.
Un po' recitava e, suo malgrado, un po' diceva la verità.

Odiava quella piccola nelle sue illusioni ma gargantuesca verità nella realtà, prima bellamente custodita solo nel suo cuore e ora dato di fatto pure per Michele.
Per fortuna non era nel suo gruppo.
E, per ancora più fortuna, erano isolati e le sue parole sarebbero rimaste tra di loro.

Carlo continuava a fissarla con i suoi occhi grigi, del colore della nebbia che tanto caratterizzava le sue pianure, del colore della lama della sua spada, del colore dell'indifferenza.
Purtroppo lei aveva perso la sua indifferenza tempo fa. Prima odio, ma poi anche amore, tra le crepe del suo desiderio di ammutolirlo.

Sembrava la sua maledizione: amare e odiare insieme, essere dilaniata da due emozioni così contrastanti.

Il lombardo commentò: <Non mi stai convincendo a salvarti. Se ci conoscessimo già, non mi sembrerebbe impossibile che io ti odi. Cosa altro ci può mai essere? Stima? Dubito.>

<Amore.> rispose lapidaria la sicula.
Ecco, l'aveva detto.
Carlo strabuzzò gli occhi e ribatté all'istante, come terrorizzato: <Impossibile!>

<Invece sì, c'è anche amore tra di noi. Poetico, non trovi?> fece retorica Giovanna, fiduciosa. La presa dell'altro sulla spada sembrava più debole.
Fosse stata abbastanza veloce, avrebbe potuto prendere il fucile e difendersi di nuovo.

<Stai mentendo!> assicurò Carlo.
<Vuoi che ti dica qualcosa che solo qualcuna che ami potrebbe dirti?> sfidò lei, le mani che fremevano nell'afferrare la sua lupara.
Non voleva dire tutti i suoi pensieri: anche se erano solo loro due, e probabilmente Carlo non avrebbe ricordato niente dopo averlo salvato, dirli a voce alta avrebbe significato renderli tangibili.

<Abbiamo fatto l'amore e per questo so che sul bacino, appena sopra la congiunzione tra i fianchi e la gamba destra, hai una voglia a forma di fiore. Nello specifico, di Rosa Camuna.> spiegò Giovanna.

Tralasciò che era stato amore solo per lei, che sicuramente per l'altro era stato uno sfogo possibile per via di alta libido e poco controllo. Tralasciò anche che lo sapeva perché aveva pensato e ripensato più volte a quella sera, nella solitudine e sacralità della sua stanza, ricordando ogni dettaglio più piccolo e sciocco dell'altro, tra cui anche quella strana voglia.

Carlo non proferì parola.
Sembrava una statua, ancora una dannata volta, ma la presa sulla spada era minima, giusto quel che bastava per lasciarla pendere sopra di lei. Ma non sembrava più così minaccioso.

<Non è possibile...> sussurrò il lombardo, sconcertato.
<Ti ho dato la prova: siamo amanti, anche se in segreto. Sei un polentone, ma sei il mio polentone.> rispose risoluta la siciliana, pensando al momento perfetto in cui richiamare a sé il fucile.

<Polentone...?> ripeté lui.
<Polentone.> fece eco lei.
I suoi occhi sembravano persi in qualcosa di ben più grande e inaccessibile di loro mentre asseriva: <Io sono un polentone...>

Poi qualcosa scattò, come se qualcuno avesse acceso un interruttore: i suoi occhi si animarono di una grinta che lei ben conosceva, quella sempre presente quando partivano con la loro lista di insulti a raffica.

<E tu sei la terrona più rompiballe possibile!> esclamò, quasi saltando in piedi, allontanandosi da lei senza bisogno di combattere.
Giovanna non era mai stata così felice di essere insultata, suppose.

Poi Carlo perse tutto il suo vigore.

Sibilò un lamento e si accartocciò su se stesso, finendo in ginocchio per terra, l'unica cosa a sorreggerlo era la sua spada che aveva conficcato nel cemento.

Forse era il sangue che stava continuando a perdere, ma per Giovanna la terra iniziò a tremare.

•~-~•

Uno scoppio, un boato e Carmela si ritrovò dolorante, stesa e a terra, ancora prima di rendersene conto.
Provò a sedersi, dandosi la spinta con i gomiti, a fatica.

Con la vista ancora un po' appannata per il dolore notò che Vincenzo era finito due o tre metri in là rispetto a lei (o forse lei era finita due o tre metri in là rispetto a lui? Dal dolore alla schiena, probabilmente la seconda teoria).

Dalla bocca aperta del calabrese fuoriuscì un fumo denso che si condensò ancora di più, diventando una figura simil umana, anche se alta oltre due metri, dai mille occhi violacei sul volto e sulle braccia.
Una sottile linea violacea presente e non presente in mezzo al petto vibrò e rilasciò un basso lamentò sofferente.
Doveva essere la bocca, ma era cucita: la linea violacea era intervallata da tanti piccoli filamenti grigi, facendo apparire la bocca quasi un'illusione ottica.

E quella creatura sembrava intenzionata a tornare dentro al fratello.
<Stagli lontano!> gridò Carmela e, trovando le energie chissà dove, scattò in piedi e, mentre barcollava, lanciò due bombe che esplosero in faccia e contro il petto del mostro.

L'essere stridette, ma il suono era tanto attutito che la lucana pensò quasi di esserselo immaginato, e svanì in tanti rivoli aerosi.

Anche gli elementi resi soldati svanirono: il primo si perse con uno sfrigolio nell'aria, il secondo divenne una pozzanghera che in fretta venne assorbita dal terreno e il terzo si aggiunse ai pezzettini di terra simil sabbia che ogni tanto volteggiavano a mezzo metro da terra.


N/A: gente; segnatevi quello che ha detto Giovanna perché non lo dirà mai più XD.
Piccola furbetta che frega il polentone più rompiballe possibile, però qualcosa ha fatto; bisogna vedere cosa!

Spero vi sia piaciuto e alla prossima settimana! <3

Gabbia di séWhere stories live. Discover now