Capitolo 48. Alfred, dimostraci che siamo degli stronzi!

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N/A: solo per il titolo questo capitolo merita stellina e commento perché avrei potuto scegliere un titolo serio, ma non avevo voglia.
Come sempre :3

Buona lettera.




<Assolutamente no!> ribatté Franco, scuotendo la testa con vigore <Secondo me peggioro la situazione e basta, perché si nasconde, non vuole un confronto! Non è la stessa cosa che è successa con Maurizio e Domenico quando hanno visto Angela!>

Domenico guardò il fratello vagamente stupito, ma era fin troppo maturo per abbassarsi a una guerra in cagnesco con l'altro, che evitava accuratamente il suo sguardo.

<Non useremo lui come esca, punto e basta!> decretò Yao, mettendosi dietro al molisano, pronto a prenderlo in spalla come un peso morto e allontanarsi, se necessario.

La discussione venne interrotta quando il terreno ondeggiò e molleggiò, diventando un enorme trampolino.

Angela sfuggì sfruttando le sue capacità di volo, digrignando i denti mentre cercava Michele con lo sguardo. Arthur in fretta la raggiunse, lanciando maledizioni in inglese, ed esclamando: <È un'anguilla che sguscia via quello là! Come mai stavate facendo salottino laggiù?!>

<Si stava pensando di usare Franco come modo per far ragionare Michele ma Franco non era d'accordo.> riassunse l'umbra, spalancando gli occhi quando ormai era troppo tardi.

Il pugliese spuntò dalla parete accanto il gruppo che invano stava cercando di non saltare. Ridendo caricò il colpo, diretto senza dubbio al molisano. Franco pensò di essere spacciato, non avrebbe mai potuto schivare, neanche saltando! Avvenne tutto in un attimo.

Venne spinto in là, rimbalzando di spalla e braccio sul terreno, vedendo sottosopra, con orrore, Yao che cercava di parare il colpo con il suo wok, venendo spedito dall'altro lato della stanza.

<No!> urlò Franco, riatterrando sul pavimento che continuava a molleggiare, sparandosi di nuovo in aria, di nuovo in piedi.
<Michele!> strillò in un acuto che gli raschiò la gola, ma non gli importò. Perché anche da posseduto doveva odiarlo? E perché per colpa di ciò dovevano venire feriti gli altri?

Il pugliese girò di scatto la testa e il corpo, incatenando i loro sguardi insieme.
<Perché?!> domandò ad alta voce Franco, la gola che pulsava dal dolore, ma le sue vene pompavano più forte la rabbia <Perché mi odi così tanto?!>

Michele spalancò gli occhi e, per qualche istante, rimase a galleggiare in aria, il martello gigante abbassato, come un pupazzo troppo grande per un bambino.

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma strizzò gli occhi, li riaprì e una scintilla fucsia li animò mentre esclamava: <Sono pazzo e basta e tu sei troppo noioso! I pazzi vogliono solo una cosa, divertirsi! Io posso solo essere quello!>

Tornò giù, costringendo il pavimento a tornare alla sua normale funzione, tentando di colpire qualcuno.
<Serve un'altra strategia! Qualcosa gli impedisce di tornare normale se parla lui!> decretò Arthur, sfruttando l'altezza per provare ad intrappolarlo, ma senza successo.

<O qualcuno. Chi può fargli capire che solo perché fa lo scemo non vuol dire che sia matto? Che non è confinato in un ruolo del genere?> domandò a voce alta Angela.

<Ho un'idea!> esclamò il britannico, tornando in picchiata sul pavimento. Atterrò vicino i due fratelli americani e decretò: <Alfred F. Jones, solo tu puoi convincerlo a ragionare.>

<Come scusa?!> si scioccò Alfred e Matthew spalancò gli occhi in simile stupore.
<Fai lo scemo, ma so che hai qualche neurone, altrimenti non saresti una potenza mondiale. E ti assicuro che non ho dimenticato come eri durante la guerra fredda. Quindi parlaci!> ordinò infine il britannico, severo come un padre intransigente.

Lo statunitense scosse la testa e si difese: <Sì, certo, così sbaglio e mi insultate tutti!>
<Al.> lo richiamò Matthew, prendendolo per le spalle e costringendolo a guardarlo negli occhi <Per favore. Proprio per questo lo puoi capire. E dimostraci che siamo degli stronzi a dubitare della tua intelligenza.>

Alfred abbozzò un sorriso, poggiò le mani su quelle del fratello e commentò: <Devo dire che l'influenza di Romano ti fa anche bene, a volte.>
<Lo so, ora va!> lo esortò il canadese, allontanandosi.

Arthur fece sollevare l'ex colonia avvertendolo all'ultimo: <Attento che ora ti sollevo.> e, con un gridolino dello statunitense, lo trasportò volante fino a dove si trovava Michele, che lottava come un matto, con quella strana scintilla ancora negli occhi, a intermittenza fucsia e negli altri momenti marroni.

Alfred richiamò l'attenzione sparandogli vicino, attento a non ferire nessuno.
Il pugliese girò la testa di scatto, la scintilla preoccupante che gli faceva sfavillare gli occhi.

Il biondino tossicchiò e asserì, con voce ferma e sicura: <Tu non sei pazzo, vuoi solo divertirti facendo lo stupido perché è più semplice, perché se non si può essere totalmente ignoranti, almeno fingere di esserlo aiuta.>

Michele si fermò, lo sguardo spalancato e le iridi totalmente marroni, osservandolo rapito. Strinse le mani attorno il martello e lo abbatté sul terreno come fosse un giudice che emette un verdetto.

<No, no, no! Sono pazzo e basta! Guarda, guarda, guarda quanto sono pazzo!> negò tutto, prendendo poi a ridere in un modo forzato e assolutamente inquietante.

<Un totale pazzo non dà risposte coerenti in un discorso. E tu hai dimostrato tutto il tempo che segui i discorsi perfettamente.> ribatté lo statunitense.

A quello il meridionale non trovò risposta, fermandosi anche con il far ondeggiare il pavimento a furia di martellate, fissandolo con uno sconforto puro negli occhi.

•~-~•

<Perché ascoltare? Tanto troverete il modo di uccidermi!> s'incaponì Rosa, cercando di liberarsi senza alcun successo.

<Perché non è così, non per forza ci si deve uccidere!> ribatté Mario, alzando le braccia e rischiando di tagliuzzare qualcuno con il suo gladio.

<Uccidersi non porta altro che distruzione e lutto. Vuoi condannare la tua gente ad una vita perenne di dolori e deprivazioni?> la interrogò Giuseppe, avvicinandosi, arcuando le sopracciglia.

<Le mie genti sono forti! Sanno resistere a un po' di fatica, se significa stare vivi. Bisogna faticare per uccidere, perché è così semplice essere uccisi.> si difese la ligure.

<Ogni popolo e ogni nazione ha un punto di rottura. Rischia di essere ucciso, dovrebbe essere ucciso, -desidera essere ucciso-, eppure no, rimane in vita, ma non sa neanche cosa sia più vivere, figurarsi uccidere.> ammonì Kiku, severo, prendendo di sorpresa Gilbert, a cui per poco non scappò un urlo di spavento.

Rosa gira il volto verso il giapponese, scrutandolo attentamente. Domandò: <Perché desiderare di essere uccisi se si è ancora vivi?>

<Non è semplice voler rimanere in vita quando intorno hai solo morte e distruzione, quando agonizzi per giorni, immobile, alla mercé del mondo, eppure non muori.> raccontò il nipponico, stringendo la presa della mano sull'elsa della katana, riposta in quel momento nella sua fodera.

La ligure spalancò gli occhi, connettendo i puntini ovvi e sussurrò: <Due bombe atomiche. A tre giorni di distanza.>

<Sì e non ho avuto la grazia di morire, neanche temporaneamente. Ho pagato per chi ho ucciso, per cosa ho distrutto. Ecco cosa manco nella tua idea. Che qualcuno paghi le conseguenze dell'uccidere. E ci sono, eccome se ci sono, e spesso non è l'essere uccisi. È la tortura, rimanendo in vita.> sentenziò Kiku, freddo e distante.

Ludwig avrebbe voluto avvicinarsi all'amico e confortarlo, ma era Feliciano quello abile e, comunque, aveva l'impressione che non avrebbe accettato il conforto di nessuno, stoico e severo come era.

E poi Anna intervenne d'impulso, buttando fuori quello che le girava nella testa da tutto il tempo dello scontro.


N/A: cosa vuole fare Annina? Fate le vostre scommesse!

Gabbia di séWhere stories live. Discover now