Capitolo 46 (II). La mamma di Emanuele

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«Tante cose sono false, Andrea, nella vita. . . », aveva detto Giorgio infine, continuando a sfogliare l'album con aria malinconica, ma sempre tenendo l'indice in un punto particolare, «si dice spesso che noi avvocati abbiamo il "pelo sullo stomaco". È vero, ma c'è una ragione: l'abbiamo non perché siamo avvocati, ma perché abbiamo a che fare con la parte più oscura della vita, specialmente noi penalisti. . . »

«Cosa c'è adesso papà?», Andrea aveva ripreso il bicchiere in mano con aria annoiata, aveva preso un altro piccolo sorso e poi lo aveva tenuto in grembo, «prima mi dici che vuoi andare a letto e poi mi fai la predica, non mi interessa di cosa fate voi penalisti, rispondimi e basta. . . »,

«Tu Andrea ascoltami. . . », si era fermato con l'album e lo aveva aperto di nuovo alla pagina segnata con il dito, «è importante. . . », da quella pagina aveva estratto dalla plastica protettiva ciò che ad Andrea era sembrata una cartolina che l'avvocato aveva posto sulla scrivania, con attenzione, «le ombre, i delitti, le cose più atroci che avvengono e che non pervengono — se non in minima parte — al pubblico avvengono non perché siamo noi avvocati che le facciamo accadere, di questo ne sei convinto Andrea?»

«Certo, non è che il medico crei la malattia, così come l'avvocato non crea il delitto. . . », Andrea aveva sbuffato, «ma perché. . . », Giorgio gli aveva fatto cenno di ascoltarlo e aveva proseguito: «non è che se un tizio si sveglia di notte con la luna storta e fa a pezzi moglie e figlia nel sonno con un'accetta e poi lo trovano i carabinieri a vagare nei campi con ancora l'arma insanguinata in mano la colpa sia mia. . . d'accordo?»

«D'accordo. . . », aveva risposto, ormai rassegnato alla predica.

«Io, avvocato, lo dovrò difendere anche se ha fatto qualcosa di abominevole, dovrò vedere le foto che hanno trovato gli inquirenti, foto che farebbero inorridire Satana e vomitare un medico, certi scempi di vite umane, certi massacri sono inenarrabili; ma io no, devo essere forte, ho — come si dice — il "pelo sullo stomaco", è il mio mestiere, Andrea. . . », aveva preso quella cartolina, l'aveva tenuta in mano, osservandola attentamente, come preso da chissà quali pensieri, Andrea, guardandola, aveva capito da quella distanza che era una cartolina in bianco e nero, abbastanza antica, il senso di disagio era aumentato in lui, ma non riusciva ancora a capire il perché, Giorgio intanto aveva continuato, quasi però parlando a sé stesso: «gli devo assicurare un equo processo anche se volentieri lo impiccherei e — pur non occultando la verità — devo presentarla al giudice in modo tale da almeno evitargli un ergastolo; non dico assolverlo, ma almeno dargli l'infermità mentale o delle attenuanti.»

Infine gli aveva sporto la cartolina, «è un mestiere difficile, non per tutti, meno male che tu non l'hai scelto, hai un'anima troppo candida, forse anch'io l'avevo o, forse, ce l'ho ancora, sotto una patina di durezza; tieni. . . », gli aveva detto, vedendo che era rimasto immobile.

«Io. . . », la cartolina era di Londra, dalla qualità della foto e dallo stile sembrava degli anni '70, «io papà. . . forse ricordo. . . perché. . . rinvangare. . . », si era sentito sempre più a disagio.

«Prendila Andrea, è importante», gli aveva detto.

Andrea aveva toccato quella cartolina, aveva respirato profondamente, «Devo proprio papà. . . ? Ho paura che. . . », sentiva che nascondeva qualcosa dietro che da tanto tempo non aveva visto e che l'avrebbe scosso profondamente; si era fatto prendere dall'angoscia, «ricordo qualcosa, non del tutto ma. . . devo?»

«Sì, devi Andrea», Giorgio lo aveva guardato serio, «sei grande abbastanza per capire che il falso — ogni tanto — è vero, e il vero — ogni tanto — è falso. . . », Andrea aveva poggiato il bicchiere e preso la cartolina con la mano un poco che tremava, cominciava a ricordare, «specialmente il giorno prima del tuo matrimonio con quella donna che ti ha dato il Destino; così poi spero non mi farai più certe domande. . . »

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Where stories live. Discover now