Capitolo 44 (III). Una tomba vuota

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«Sì, potrei far così con Ilaria, ma. . . non so, Franco. . . », Irene aveva finito di mangiare il fico, si era pulita la bocca e le mani con un fazzoletto che teneva nella tasca del grembiule, cominciò a sentire i "contro" nella sua testa dopo aver sentito i "pro", «vivere a Sant'Ilario. . . certo, è un posto meraviglioso, eccome, ma non sarebbe casa nostra, sarebbe come vivere in casa d'altri.»

«Sì, Irene, però "altri" che nel tuo caso sarebbero i tuoi consuoceri, non dimentichiamolo», Franco era riuscito a liberarsi, andò verso di lei con gli ultimi cinque fichi da sbucciare, si sedette a fianco a lei, e si prese il coltello per farlo lui, Irene si era già tolta i guanti, «hanno accolto tuo figlio, vuoi che non accolgano te e me?», si voltò, la sua futura moglie quando non era seducente ritornava con un viso da ragazzina.

«No, questo no. . . , è gente brava. . . ce ne fossero più come loro, specialmente il dottor Luigi. . . », gli sorrise, si appoggiò a lui mentre sbucciava, «per Marco ha fatto in due anni più di quello che il suo vero padre non ha fatto in diciotto. Altro che suocero. . . »

«E infatti. . . è quello che voglio dire Irene: noi abbiamo bisogno di loro, ma anche loro hanno bisogno di noi», già il primo fico sbucciato andò nella bacinella con gli altri, prese il secondo, «Sara e Luigi vogliono gente di fiducia da mettere in villa e quale migliore referenza avere se non quella del loro domestico che è stato in casa loro per vent'anni e sua moglie che è anche la madre del loro genero che hanno accolto in casa come un figlio?»

«È una cosa grossa, Franco, fammici pensare: un cambiamento totale della mia vita. . . », gli diede una carezza e un bacio sulla guancia, «ma è bello che tu me l'abbia proposto, e tu, invece. . . venire ad abitare a casa mia. . . non vuoi proprio?»

«Irene, io. . . se vengo a casa tua dovrei lasciare il lavoro dai Tivoli. . . », continuò a sbucciare il secondo fico, non con molta convinzione, «ma che lavoro potrei fare? Io so fare solo il cuoco e il cameriere. . . ma per un cuoco adesso i ristoranti vogliono il titolo di studio. . . e io non ce l'ho; non voglio più essere cameriere sotto padrone in un ristorante con clienti che ti urlano o trattano male e lavorare fino a notte; scusami se lo dico a te, forse. . . tu ci sei più abituata a essere dipendente, forse. . . come donna in albergo ti trattano un poco meglio. . . »

«. . . o forse tu sei stato abituato bene con i padroni di adesso. . . », provò a suggerirgli Irene, comprensiva, non lo volle contraddire: era un giorno bello per loro, «anche io, forse, al tuo posto, farei fatica a lasciarli: ti trattano come uno di famiglia.»

«È proprio così Irene. . . », Franco pose il terzo fico sbucciato nella ciotola, la abbracciò, lasciò perdere gli ultimi due fichi da sbucciare, «con il dottor Luigi mi sento già come un amico, se fossi custode della sua villa potrei ancora di più far quel che voglio perché non ci sarebbe il padrone vicino se non quattro mesi all'anno. . . saremmo soli. . . »

«È proprio una cosa bella, certo, ci penserò, ma. . . » Irene alzò il viso, gli fece quel suo sguardo mezzo da ragazzina e mezzo da donna, quel sorriso con ancora vecchie lentiggini marroncini attorno al naso che le dava un viso un po' immaturo, che aveva trasmesso al figlio e che era irresistibile per Anna, «forse. . . ci stiamo dimenticando qualcosa. . . »

«Eh? Sì, Irene?», la guardò, non capendo benissimo.

«Mi hai chiesto di sposarti. . . ti ho detto di sì. . . », gli sorrise, mordendosi un poco il labbro, «tutti questi progetti sono belli, i fichi meravigliosi, ma. . . un bacio alla tua futura moglie lo possiamo dare?»

«Oh, scusami. . . », si baciarono con le labbra di lei ancora dolci per il fico, e poi fu la volta di Irene ad avere un'idea, quella che, alla fine, la convinse del tutto ad accettare la proposta di Franco.

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora