Capitolo 41 (VII). Una voce

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Marco uscì dalla sacrestia pensieroso, dubbioso su cosa dire del colloquio; si guardò intorno, la vide subito: Anna lo stava aspettando nello stesso posto dove prima si erano seduti, sulla panca di fianco al Battista; ma la chiesa non era più vuota, ormai erano le quattro e quarantacinque e già una ventina di persone (più che altro anziane) si era radunata, sparsa nelle prime panche, per la messa prefestiva. Anna guardava nella sua direzione, sapendo che da lì sarebbe uscito: lo vide e gli andò incontro:

«Tutto bene gattino?», gli disse sorridendogli, prendendolo a braccetto.

«Mah, che dire?, tutto bene micia. . . o quasi: poi ti racconto. . . », le rispose un poco imbarazzato storcendo la bocca; Anna capì che c'era qualcosa in Marco: conosceva bene quell'espressione: «va bene gattino, usciamo, andiamo a casa: qui c'è gente ormai.»

Percorsero il resto della navata in silenzio; sopra le loro teste l'organista provava alcuni accordi  — tutti in tono minore — cambiando vari registri, cosicché Marco divenne ancor più malinconico; schermati gli occhi abituati alla penombra per la luce accecante del pomeriggio vicino al solstizio, cominciarono a camminare lungo via Corsica fino all'auto per andare al loro posto prenotato al Porto Antico e poi a piedi in via Luccoli, dove Anna sarebbe stata fino a sera. 

«Gattino. . . che c'è?», lo invitò a parlare dopo alcuni passi all'ombra degli alberi del viale; Marco non rispose subito e Anna lo vide sempre più pensieroso: gli scrollò il braccio con amore, «su, gattino, dimmi: che c'è? Non mi sembri così sereno. Strano, il don è sempre. . . l'hai visto, no? È proprio un uomo semplice, un po' disordinato e pasticcione, come te, ma. . . sa fare le cose, non le scorda, tranquillo.»

«Oh. . . sì, micia, non è quello che mi preoccupa: anch'io infatti sono disordinato come lui, ma nel mio caos ci sto bene e. . . non è quello infatti.»

Arrivarono all'auto: Marco andò al posto di guida senza neppure pensarci e l'aprì (sebbene la macchina fosse di Anna era una tacita abitudine che a guidarla fosse lui quand'erano insieme).

«Però se non è questo. . . cosa c'è gattino?», gli chiese, una volta saliti. «Stai pensando. . . a quello che ti ho detto prima in chiesa?», continuò, cominciando a essere un poco preoccupata.

Marco pensò di dirle una bugia, che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, che avevano parlato solo di ingegneria e cose poco interessanti e che era soprappensiero solo per altre cose (che al momento non sapeva neppure quali potessero essere), che il suo racconto del ricovero in ospedale non c'entrasse, ma non se la sentì: quello sembrava essere il giorno della sincerità assoluta; se Anna aveva avuto il coraggio di raccontargli il "dopo-Luca", la sua tragedia, egli doveva raccontarle tutto, anche a rischio di farla soffrire. Parlavano tanto, avevano tanto parlato in quei mesi di metter in comune tutto, tutte cose materiali, ma quel tutto comprendeva anche il tutto del cuore, anche se aveva paura che quella sincerità avesse delle ripercussioni in famiglia.

«Sì micia, hai ragione», disse, infine, mettendo in moto, «non è che sia del tutto sereno. Ecco. . . ti devo dire una cosa. . . non riguarda te, riguarda il don; però vorrei che rimanesse tra noi.»

«In che senso "tra noi", gattino? Certo che rimane tra noi, siamo una coppia, non capisco.»

«Ecco. . . micia, perché. . . non è una cosa. . . solo "tra noi"», Marco uscì intanto dal parcheggio, per fortuna la macchina era stata messa all'ombra, si stava bene, e proprio per questo sentiva il contrasto fra la serenità di un pomeriggio estivo, fra la piacevole brezza che veniva dal finestrino e l'amaro di ciò che stava per dire: «vedi micia. . . il don sapeva qualcosa di me e Ilaria, non me l'ha detto --- intendiamoci --- ma era chiaro, qualcuno glielo aveva suggerito; perché interessarsi altrimenti così tanto a mia sorella? Era insistente e capirai. . . gli ho dovuto dire del nostro amore, anche se forse lo sapeva già. . .»

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Where stories live. Discover now