Capitolo 41 (III). Una voce

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Entrarono in sacrestia tenendosi per mano; Anna, esperta del luogo, girò senza indugio per una scala interna sulla destra che, dopo due rampe, portava a un corridoio alquanto lungo con entrambi i lati porte per metà in legno e metà vetro smerigliato: il corridoio riceveva luce indirettamente dai vetri delle porte ma non c'era altra illuminazione e tutto era un poco in penombra e silenzioso. All'ingresso vi era un distributore per bevande calde, accanto erano appese due bacheche di sughero con fogli appuntati da spilli colorati, un piccolo crocefisso era appeso sopra ogni battente delle porte; Anna percorse il corridoio quasi per intero tenendosi sempre Marco vicino: su alcune porte Marco vide, fissati con del nastro adesivo, disegni di carattere religioso fatti da bambini, evidentemente durante il catechismo. Una delle ultime porte aveva una targhetta con scritto: "Ufficio Parrocchiale"; Anna si fermò, gli strinse la mano, la ritirò, gli sorrise, lo vide emozionato ma gli disse sottovoce: «eccoci, gattino, stai tranquillo», e bussò. Il don era all'interno e disse immediatamente: «avanti!» e, appena Anna fu entrata, seguita da Marco, disse con fare amichevole, alzandosi immediatamente, facendo un poco di cigolii con le rotelle della sua sedia: «oh, Anna, che piacere, vi aspettavo», fece poi il giro della scrivania e andò ad abbracciarla; sembrava che avessero molta confidenza perché Anna gli sorrise e ricambiò:

«Buongiorno don, tutto bene, vero?»

«Tutto bene, Anna, un sabato tranquillo, ormai il catechismo è finito e tutto è silenzioso come vedi. . . i ragazzi sono tutti a giocare in cortile: abbiamo un po'di pace. . .», poi si accorse di Marco e disse: «questo è il tuo fidanzato, vero?»,  e si aggiustò gli occhiali per vederlo meglio. 

«Sì, don, è Marco»

«Piacere don», disse Marco tendendogli la mano. 

«Piacere Marco, Don Benedetto, bene bene», il don prese la mano di Marco con tutte e due le sue con una presa forte e calorosa, l'agitò un poco mentre diceva rivolto ad Anna: «che bel ragazzo, si vede proprio, dal viso, il ritratto della bontà. Ma anche tu Anna lo sei, beh, vi siete evidentemente trovati. . . », tolse le mani dalle sue, ritornò alla sua sedia che sopportò il suo peso con un altro cigolio: «bene, bene. Accomodatevi», disse, indicando le sedie di fronte, «scusate il disordine, un secondo e sono tutto per voi.»

Il don era sui quarantacinque anni, con barba folta nera, occhiali con montatura spessa dello stesso colore, capelli lievemente lunghi e ricci che cominciavano a diradarsi ma ancora abbastanza folti; corpulento, anzi, diciamo con una bella pancetta. Indossava la classica camicia nera da don a maniche corte con il colletto bianco ma sotto semplici jeans con sandali a piedi nudi. La sua scrivania, a dire il vero, più che disordinata era un insieme caotico di cose di differente natura fra le quali Marco poté notare: un vaso di fiori un poco appassiti, un pallone sgonfio, un bicchierino di caffè della macchinetta mezzo bevuto, disegni di ragazzi, una calcolatrice da tavolo con un rotolo di carta mezzo svolto, un telefono fisso e un cellulare sotto carica, qualche fotografia attaccata a un monitor di computer, barattoli dal contenuto vario, e molti, molti fogli e libri impilati approssimativamente che sembravano fossero lì lì per cadere al minimo tocco del piano di lavoro (e infatti Marco si tenne le mani in grembo). Per terra c'era un sacco pieno di vestiti usati che sembrava lì da tempo, decine di libri impilati, alcuni in sacchetti di plastica, una scatola piena di mattoncini per costruzioni, persino una cyclette dietro di lui, sotto la finestra. Al muro era appeso un calendario ancora dell'anno precedente pieno di scritte e di note adesive. Il don finì di bere il caffè, gettò il bicchierino in un cestino a fianco della scrivania che avrebbe avuto bisogno di essere svuotato, scrisse per qualche secondo (a Marco sembrò un documento di testo) fece qualche click con il mouse e poi disse:

«Bene bene, ragazzi. Ora. . . tutto è a posto, ditemi», Anna fece per dire qualcosa ma egli la interruppe con un gesto della mano e un sorriso gioviale: «beh, non c'è neppure bisogno di dirmelo, Anna, già so perché siete qui; ah Anna, che soddisfazione, finalmente fai il passo, eh, si vede. . . proprio una bella coppia! Io ti conosco da tempo, lui no, ma è come un libro aperto, te lo meriti proprio.»

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Where stories live. Discover now