Capitolo 45 (III). Andrea e la sua famiglia

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«Sì, certo. Ci ho pensato Andrea; per me sarebbe difficile essere mamma di due, non me la sentirei, perché se Emanuele sapesse che c'è stato un altro Emanuele prima potrebbe pensare, una volta grande, che io lo abbia preso per riempire il vuoto di quello», prese la sua tazza, bevve un poco di tisana, per lei ormai tiepida, la posò: «no, non voglio: voglio che senta che io sono la sua mamma e basta, che non ci sia stato nulla prima. Nessun Emanuele. Nessun altro bambino. Emanuele sarà il nostro figlio unico

«E. . . quello al cimitero?»

«Non voglio che lo veda mai. Non voglio che ne sappia mai l'esistenza, voglio che anche tu, Andrea, te ne scordi. Per me, da quando ti sposo, quella tomba per me sarà vuota, non esiste più. C'è solo un Emanuele al mondo per me, o vivo o morto e, in questo momento, è vivo, è di là, dorme. Sei d'accordo Andrea?»

Andrea bevve il whisky rimanente tutto d'un fiato, si accese un'altra sigaretta, Silvia finì la sua tisana; «come posso essere d'accordo, Silvia? Mi pare così strano e difficile da tenere in piedi. Supponiamo che io riesca a mantenere il silenzio, ma c'è Nicola. . . anche se riuscissimo a prendere il bambino a Ilaria — mio padre non credo che parli a vuoto, ma un conto è dire un conto è fare — c'è la tua parte, ci sono anche i tuoi genitori, anch'essi dovrebbero stare al gioco. Come si può tenere in piedi una bugia tanto grossa?»

Silvia gli prese la mani, tutta eccitata: «è proprio questo Andrea, è proprio questo il punto! Adesso ho fatto venire Nicola qui, sarà il nostro testimone, va bene, tanto Emanuele è piccolo ma. . . sono consapevole che dovrò tagliare i contatti con lui; Emanuele non deve neppure sapere che sono stata sposata prima di te. Capisci? Se quella tomba è vuota non solo non c'è una madre, ma non c'è neppure un padre di quel bambino, non c'è neppure un ex marito.»

«Fino a questo?», Andrea cercò di accarezzarla, si sentiva un poco a disagio.

«Fino a questo, sì», Silvia accettò la carezza e, anzi, si appoggiò alla sua guancia, «per Emanuele — diventato grande — io sarò la tua prima moglie così come tu sei il mio primo marito e, per lui, abbiamo avuto un solo figlio. Se mantenessimo i contatti con Nicola e la sua famiglia ovviamente Nicola potrebbe prima o poi dirgli la verità, ma io non voglio, non voglio Andrea. Ovviamente dovremmo tagliare i contatti poi con Anna e Marco. . . ma questo è ovvio: se prendiamo il bambino a Ilaria non credo che li sentiremo più, vero? Questo è il mio desiderio caro. Questa è la mia condizione per essere la mamma del tuo Emanuele.»

«E Ilaria? Certo. . . forse riusciamo a toglierglielo, ma lei potrà dirgli la verità quando lo vede.»

«Non credo Andrea, da quel che ho capito tuo papà farà le cose giuste; me l'ha detto, non ci dovremo preoccupare più di lei, non so come, avrà i suoi mezzi. . . », lo abbracciò e lo strinse forte, «caro! Oh caro. . . accontentami, ti prego. Non ti chiedo tanto; per me è come rinascere se riesco a vedere che ho un figlio, uno solo e non due, non ho più quella tragedia nel cuore perché il mio Emanuele è tornato: è di là, che dorme! Ai miei genitori ci parlo io, tanto sono anziani, prima che Emanuele abbia l'età per capire queste cose magari non ci saranno più e comunque può darsi che non venga mai quel discorso; i miei sono persone comunque riservate, faranno i nonni e basta e, comunque, a mali estremi, taglierei i contatti anche con loro. Certo. . . lo deve sapere anche tuo papà, ma credo che capirà, deve capire; io sarò la mamma del suo nipote, l'ho accettato, spero che mi accontenterà.»

***

I fidanzati si presentarono al Comune di Genova in via Garibaldi il lunedì successivo — 21 dicembre 1998 — alle 10 precise; Silvia, come tema per il suo secondo matrimonio (che però in cuor suo considerava primo), aveva scelto il rosso, il suo colore preferito. Rosso era il suo abito e il bouquet che Andrea le aveva portato, rossi erano tutti i fiocchi da appendere alle auto e rosse le coccarde da spillare ai vestiti. I testimoni maschi avevano la cravatta rossa, le testimoni foulard, scarpe e borsa rossi, così come rosso era il cravattino di Andrea e i suoi gemelli impreziositi da opali di fuoco. Gaia era eccitata per portare loro gli anelli — ovviamente su un cuscino rosso —, Emanuele, vestito come il padre, nero e papillon rosso, incurante della cerimonia, girava dappertutto; Ilaria dovette seguirlo per la sala del sindaco e, infine, perché non disturbasse, lo fece uscire e lo controllò perché non ruzzolasse giù per lo scalone. Giorgio, con cravatta e fazzoletto al taschino rossi, e i genitori di Silvia — il padre si appoggiava a un bastone con manico in corallo, la madre sfoggiava un cappello decorato con roselline rosse — erano in lacrime, come si può immaginare; i testimoni, per varie ragioni personali, erano invece preoccupati, ma stettero nella loro parte e, comunque, non ci fu molto da attendere, Andrea e Silvia in pochi minuti furono marito e moglie, uscirono in strada, e vennero salutati con applausi, coriandoli e riso.

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Where stories live. Discover now