Capitolo 43 (IV). Silvia Palestro, in Testino

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«Anche a me ha dato questa impressione Luigi», Marco lo seguì fino al fondo dove c'erano i lettini e l'ombrellone, per quell'ora inutile e chiuso; rimasero in piedi di fronte al parapetto fatto di cotto e piastrelle azzurrine posto dietro di essi guardando il mare, vi poggiarono i bicchieri, «lo fa con troppa naturalezza, non recita, purtroppo. . . ma allora. . . », lo guardò preoccupato, «è matta?»

«Eviterei la definizione, Marco», Luigi prese un sorso di tè, poggiò il bicchiere, «sia perché non siamo psichiatri, sia perché comunque Silvia è prima di tutto una donna che ha sofferto, e molto. . . », un aereo dal monte di Portofino cominciò a vedersi in manovra di avvicinamento a Genova, all'inizio solo come due puntini lampeggianti sullo sfondo blu notte, «merita la nostra compassione; forse non lo fa del tutto volontariamente, ma non credo neppure a una follia conclamata: come medico, comunque, sono portato a vedere il caso umano e quindi non voglio parlare male di lei. . . », gli pose una mano sulla spalla, lo vide intristito: «animo, Marco!», lo scrollò un poco, «cos'è questa faccia? Non ti ho mica sgridato, lo sai? Familiarmente. . . diciamo, Silvia è "matta", certo; ma evitiamo di dirlo come definizione, per rispetto suo, tutto qui. Intesi?» 

«D'accordo Luigi, è che. . . », Marco lo guardò, il suo viso da medico serio, ma empatico, gli trasmetteva un affetto dal quale, negli ultimi giorni, a volte ne era sopraffatto; dalla festa di fidanzamento l'aveva cominciato a sentire più padre anche suo che solo di Anna o "semplice" futuro suocero, qualcosa che non era mai più avvenuto con il suo vero padre dai tempi della separazione, ormai vent'anni prima; chinò il capo, si guardò le mani appoggiate al muro, «non ne voglio parlare male neppure io, in effetti; ma quando si comporta così fa male agli altri, anche se non se ne accorge. . . », sospirò, non seppe se dirlo, si girò, lo guardò, il suo viso lo invitava alla confessione, si fece coraggio, «specie a Ilaria. . . » 

«Oh, bene! È qui che ti volevo, Marco!», l'aereo in avvicinamento era probabilmente sopra Recco, in meno di cinque minuti sarebbe passato sulle loro teste, si riusciva a distinguere come una macchiolina nera e gli occhi di entrambi, senza occhiali, distinguevano già le luci sulla fusoliera e il timone di coda, rimasero a guardarlo un poco in quell'elegante e lenta discesa, «ovviamente a te non fa piacere che Ilaria stia male, immagino, ed è per questo infatti che la tiri fuori subito come questione.»

«Io. . . Luigi, volevo solo. . . », Marco si preoccupò di aver portato il discorso su sua sorella; si irrigidì e non seppe proseguire; voltò il viso verso il mare, aspettando di vedere l'aereo passare; si pentì di essersi aperto: non era stato furbo — forse — parlare di Ilaria al padre della sua futura sposa, ma pensò lo stesso a lei, in quel momento, da sola in casa con Emanuele da mettere a letto.

«Ehi, Marco», Luigi lo distolse dai pensieri, gli prese la mano sul muretto, gliela strinse per poco facendola rimanere sulla sua, «guardami; non devi aver paura di me», gli sorrise, «io lo so che ci tieni a tua sorella, so che ci tieni. . . tanto», dicendo "tanto", gliela strinse forte e lo guardò a lungo, la ritirò, «non dobbiamo però nasconderci se vogliamo affrontare la situazione», prese un altro po' di tè, ormai il ghiaccio si era quasi del tutto sciolto, bevve un po', «dall'altra parte abbiamo una squadra unita. Dobbiamo esserlo anche noi per affrontarli. . . ma se ti nascondi? Se non dici le cose? Come facciamo?» 

«Squadra unita?», anche Marco prese un po' di tè, sulla terrazza della piscina c'era una gradevole brezza e si cominciava a respirare dopo l'ondata di caldo del giorno anche se in ufficio avevano ovviamente l'aria condizionata, «intendi. . . Andrea e Silvia?»

«Certo, con in più anche Giorgio, non dimenticarlo, anzi. . . direi che Giorgio sia il "capitano" di quella squadra, non certo una riserva in panchina», si cominciarono a sentire i motori dell'aereo in avvicinamento, via via più forti, stettero in silenzio mentre passava sopra le loro teste, con quella lentezza apparente che nasce dalla distanza e dalla mancanza di punti di riferimento nel cielo; era non tanto più in alto di dove fossero: si riuscivano a distinguere le ruote del carrello già abbassato e le luci sulle ali, quelle in cabina erano spente; così come loro erano riusciti a distinguere i finestrini opachi, forse qualche passeggero con la vista acuta era riuscito a vedere una piscina illuminata, «è di lui, infatti, che parliamo, Marco», disse Luigi, dopo che l'aereo scomparve dalla vista, «Silvia, poverina, è quel che è: un caso umano; il problema da affrontare è che c'è qualcuno — Giorgio — che sta sfruttando questa donna che ha vissuto una tragedia per costruire una prova da esibire in tribunale. . . »

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora