Capitolo 43 (II). Silvia Palestro, in Testino

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«Franco, mi aiuti per favore con la cerniera?», Franco si era già seduto sul letto a guardare un po' di TV a basso volume, andò da lei di fronte all'armadio, «. . . volevo dirti: grazie per oggi», si girò, gli diede un bacio, «mi hai sorretta quando ne avevo più bisogno; che figura. . . », la cerniera era stata abbassata, Franco l'aiutò a sfilarlo, «ma. . . è stata una gioia immensa sentirmi chiamare così. . . da mio figlio.»

«Sono io che devo dire grazie a te, Irene», Franco piegò l'abito della compagna e lo pose sulla sedia, «credo che oggi Marco abbia veramente toccato tutti, anche me direi», ritornò sul letto, prese il telecomando, tolse solo l'audio alla televisione, «lo conoscevo già da tempo: sapevo che era un bravo ragazzo e che i padroni lo stimassero, ma. . . credo che ormai tu possa stare tranquilla per lui: come madre, intendo.»

«Franco, è proprio questo che. . . mi fa sentire strana», aprì il cassetto del comò dove aveva cominciato — lentamente — a portare un po' di biancheria e indumenti da notte, «oggi ho come avuto la sensazione di poterlo lasciare andare: non che non sia più mio figlio, certo. . . », ne scelse una molto leggera, comprata da poco, quasi trasparente, «ma che posso finalmente, non so come dire. . . »,rimase un poco ferma a pensare se fosse adatta, infine la indossò, andò a letto, non andò sotto le lenzuola si poggiò sul copriletto, appoggiandosi a Franco, stette un poco in silenzio, guardando la televisione muta. 

«Sì Irene, dimmi?», Franco era da tanto tempo abituato a tenere la TV accesa senza audio per addormentarsi, solo per vedere immagini cambiare; in quel momento il telegiornale sportivo della notte mandava in onda una sintesi dell'incontro "Francia–Paraguay" dei Mondiali di Calcio 1998 disputato quel pomeriggio; giocatori si muovevano dando calci a un pallone che non faceva rumore diretti da un arbitro che non fischiava incitati da tifosi senza voce. 

 «Franco, ho passato vent'anni stando dietro a Marco», disse, infine, con lo sguardo fisso allo schermo, ipnotizzata da altri pensieri, appoggiandogli un braccio sulla spalla, «solo per lui, solo e sempre pensando a lui; ha avuto ragione oggi: mi sono commossa non perché abbia detto il falso, ma perché ha detto il vero. . . », Franco la accarezzò, le diede un bacio, «non li rimpiango ovviamente, era il mio dovere di madre.»

«Una tua scelta Irene, ricordiamolo, più che un dovere. . . », Franco la tenne stretta e le accarezzò le spalle, in quel seminterrato non c'era né freddo, né caldo: in estate e inverno c'era la stessa temperatura mite senza bisogno di riscaldamento o condizionamento; Franco c'era stato una volta in inverno a dormire — perché i padroni volevano passare lì il Capodanno invitando amici— e non aveva avuto bisogno che del copriletto e di una coperta leggera. Non c'erano finestre, vero, solo una presa d'aria sul soffitto, ma d'estate non c'era mai afa e si dormiva senza patire: i loro corpi, stretti, non sudavano, «una scelta che non tutte le donne fanno, avresti potuto rifarti una vita prima, mandare a lavorare tuo figlio, sacrificarti di meno, sono scelte che hai fatto e che. . . ti fanno onore.»

«Sì, ho scelto. . . o no? Non mi sono mai posta il problema, c'era un figlio da crescere e l'ho fatto. . . », un giocatore aveva forse commesso un fallo, un altro l'aveva ricevuto: quest'ultimo si rotolava sull'erba con un viso sofferente tenendosi la caviglia, Irene guardava lo schermo muto senza dargli un senso, come fosse un acquario «ora. . . dopo tutto questo tempo, mi sento vuota. . . », c'erano immagini di un arbitro attorniato da giocatori che chiedevano un'espulsione o almeno un'ammonizione, «dovrei essere felice, dovrei dirmi: "brava Irene, ce l'hai fatta, hai portato tuo figlio in un posto che non pensavi neppure esistesse da quanto è bello", le vedevo queste ville in collina dalla terrazza del mio albergo, e mai avrei pensato di dormire in una di queste. . . e invece. . . ci sono anch'io, ora, con te», il giocatore sotto accusa si difendeva facendo il gesto di un tuffo, infermieri da bordo campo accorrevano con una barella, la regia trasmetteva la moviola dove si vedeva chiaramente lo sgambetto, «certo ci vivrà lui, ma, come giustamente ha detto oggi, è qui in questa villa, accolto come futuro genero, perché è laureato ed è laureato perché io l'ho fatto laureare»; infine l'arbitro estraeva un cartellino giallo e faceva un gesto eloquente al giocatore ammonito, «dovrei essere felice. . . e non lo sono»; il giocatore infortunato veniva trasportato a bordo campo dove gli si applicava una borsa di ghiaccio, l'allenatore operava una sostituzione e chiedeva all'arbitro del tempo in più indicando l'orologio al polsino, «forse sento tutta la stanchezza addosso di questi anni, tutta insieme, tutta in una volta.»

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora