Capitolo ventinovesimo: Le colpe del passato

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No, pensò, e scrollando la testa riprese a strattonare Akhbàr per farsi dire la verità.

Era squallido da parte loro fingere che Salomone fosse morto. Un insulto a cui sperò che né il Re né il suo Generale avessero preso parte.
«Dì subito la verità moccioso! Parla prima che il Corvo divori il Topo!» gridò digrignando i denti per mettergli ancora più paura. 

Nikolaij tra un mugolio e l'altro provò ancora a liberarsi, ignaro che gli artigli della sorella sarebbero facilmente potuti entrargli nella carne del braccio da un momento all'altro. 
«Akoth lasciami! Non mento, lo giuro!» piagnucolò come un bambino, il muco già a scendergli dalla narice: «Alex diglielo che ti sei tuffata ma non l'hai trovato, diglielo!» Implorò sempre più in balìa delle lacrime. L'altra però tacque. Si strinse nelle spalle quasi a voler diventare un tutt'uno con l'asciugamano, sparendo dalla vista di tutti. Pareva un'ombra. C'era fisicamente, ma la sua presenza si andava dissolvendo ogni volta che le ciglia di Colette battevano. E il suo pareva essere un gesto così colpevole...
Ma no, non poteva davvero essere successo. Santo cielo!
Colette scosse il capo: possibile che dovessero costringerla a usare le maniere forti?


Le sue unghie d'improvviso mutarono e lente si conficcarono nella carne del fratello minore. L'urlo che ne seguì parve voler mandare in frantumi i vetri di tutta casa, fu straziante, ma la cosa non la fece fermare e, piuttosto, lo strattonò ancora cercando di tappargli la bocca con l'altra mano. Prima che potesse riuscirci però, Hamza si fiondò su di loro separandoli. La spinse indietro facendola andare a sbattere contro lo stipite della porta e in un movimento elegante si chiuse a riccio sul fratello, in modo da proteggerlo da un ulteriore attacco. Goccioline rosse caddero dalla manica di Nikolaij sul tappetto indiano, rovinando il disegno.
L'occhiata che il fratello maggiore le lanciò fu eloquente. Era furioso, eppure troppo devastato per affrontarla a dovere. Il suo viso parlava più di qualsiasi oratore al mondo.

Un brivido allora la prese alla sprovvista.

No.

 «Cosa cazzo ti salta in mente?!» urlò Hamza digrignando i denti: «Il Re è morto, Colette! Hai capito? Morto! E Nikolaij non c'entra nulla!» Grosse lacrime iniziarono a colargli sulle guance terrose, a cadere sul colletto della sua camicia oversize. Il viso divenne quello di un bimbo ferito, di un cucciolo abbandonato a sé stesso.
No.

Un vuoto le si aprì nel petto. La consapevolezza che le parole di Akhbàr potessero essere vere d'improvviso le fece mancare l'aria e, arrancando, provò ad allentarsi il bavero stretto al collo. Aveva bisogno di respirare a pieni polmoni, ma i vestiti la stavano soffocando.
Non era possibile che Salomone fosse morto, no. Lui era immortale, lui aveva vissuto mille anni in centinaia di corpi, lui... no. Un dolore lancinante la fece piegare su sé stessa, la necessità di trovare un appiglio la colse impreparata e si ritrovò così a caracollare a terra. La fronte pressata contro il pavimento mentre le lacrime non trovavano via d'uscita.

Picchiò un pugno sul marmo. «C-come?» domandò poi tirando su il capo e cercando nei volti dei fratelli una risposta, una specie di conforto. Non poteva veramente finire così, non dopo tutto ciò che avevano condiviso. Doveva sapere, doveva avere ogni dettaglio di ciò che era successo così, magari, insieme avrebbero potuto trovare una soluzione e riportarlo in vita. Lui lo aveva fatto sette volte con loro, cosa gli impediva di provare, di ricambiare il favore? Forse quei corpi deformi? Beh, se per loro non era possibile lo avrebbero chiesto alla Cultus! Quei folli sarebbero stati capaci di tutto per conoscere i segreti delle Chimere e del Re, avrebbero persino acconsentito ad aiutarli per riportarlo in vita.

Le Chimere di Salomone: il ReWhere stories live. Discover now