Capitolo 41 (IV). Una voce

Comincia dall'inizio
                                    

«Certo Marco, conosco bene la chiesa e il parroco, "Don Giamba", come lo chiamate voi, vero?»

«Sì, proprio lui, Don Giamba», Marco si stava rilassando, la conversazione non era così privata, come pensava. Ma, allora. . . perché mandare via Anna? Erano cose che ella sapeva benissimo.

«Tu quindi. . . abiti da quelle parti. . . a Oregina?»

«Sì, proprio: via Boine; la conosce?»

«Certo Marco, ci abitava un mio compagno di corso.» 

«Anche se. . . », Marco non seppe se dirlo, ma, in fondo, non c'era nulla di male e disse, quasi come per scusarsi: «ecco, da un po' di tempo vivo già in via Luccoli, da solo, la casa dove io e Anna. . . mi ha dato le chiavi. . . ma solo io, eh!, adesso Anna. . . no, vive ancora dai suoi fino. . . insomma a. . . » 

«Sì, certo. . . », il don fece un gesto con la mano per interromperlo, «non c'è bisogno di spiegarti, Marco. Conosco bene Anna: non convivrebbe mai. È una ragazza a posto.»

«Sì», Marco cominciava a sudare: la brezza dalla finestra non era sufficiente a togliergli l'agitazione e il caldo: sembrava l'inizio di un interrogatorio; si sentiva bagnato e appiccicoso alla schiena.

«Bene bene. . . », il don guardò un po' verso il soffitto, come per rammentare i fatti che sapeva: «ora capisco molte più cose Marco di te: gli scout, quartiere popolare. . . », fece una pausa, abbassò il capo, come colto da un pensiero improvviso: «ah, giusto, Marco, scusa se te lo chiedo: che mestiere fanno i tuoi?»

«Ecco. . . non ho più il papà, ci ha abbandonati quando avevo quattro anni e poi. . . beh, è morto da sette, comunque da vivo faceva l'operaio sulle navi, stava via per mesi; mia mamma ha sempre fatto la cameriera in albergo. . . »

«Quindi. . . hai vissuto con la mamma, vita difficile, direi, senza papà, poi ingegneria. Sicuramente è una scelta tosta. . . azzardata, quasi, con una madre cameriera e capisco che fare tutte e due le cose sarebbe stato complicato. Anch'io, in effetti, ho fatto prima ingegneria e poi sono entrato in seminario. . . non potevo fare le due cose insieme», fece un'espressione quasi nostalgica, si lisciò la barba per qualche secondo e poi abbassò il viso, puntandogli l'indice: «ma, ecco. . . non era di questo che volevo parlarti Marco, scusa. . . a volte prendo le cose alla lontana.»

Lo guardò più seriamente, si rimise gli occhiali; il respiro di Marco divenne un poco più accelerato, dal basso si sentì un rumore forte di una palla contro un muro seguito da un «gool!» urlato e varie altre esclamazioni. Anche qui il don sembrò cercare un buon inizio, prese una penna, uno dei fogli in cima alla pila e cominciò a scarabocchiare, facendo varie spirali sul foglio.

«Anna mi ha detto che state insieme da due anni circa», disse mentre disegnava una spirale, pensieroso: «però tu, Marco, sei di Oregina, lei è qui a Carignano, due quartieri molto diversi per reddito e non troppo vicini», disegnò due cerchi distanti, e poi altri due con una "I" e una "M" dentro: «tu a ingegneria, lei a medicina, due facoltà con poco o niente in comune, insomma. . . sembrano vite molto separate. Come vi siete conosciuti?»

«Vede, don, c'era mia madre in ospedale due anni fa, Anna era in corsia a fare pratica. . . è stata gentile con me e mia mamma. . . poi mia sorella mi ha convinto a invitarla alla sua festa di compleanno, Anna successivamente ha ricambiato l'invito nella sua villa di Sant'Ilario e così. . . insomma. . . da lì è nato tutto.» 

«Ah. . . », il don unì i due cerchi che aveva sul foglio e disegnò un quadrato in mezzo a loro con una "S": «hai una sorella, Marco. . . interessante. . . », il don sembrò un poco soprappensiero, «più grande?» 

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora