Capitolo 45.2

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La sveglia suona incessantemente, ma io continuo a girarmi nel letto, lottando contro la stanchezza che mi opprime. So benissimo che dovrei essere già alzata, ma in questo momento vorrei solo lanciare il telefono fuori dalla finestra, farlo smettere di tormentarmi. La luce del mattino filtra attraverso le tende socchiuse, creando un'atmosfera intima nella stanza. Riesco a intravedere i raggi dorati che danzano sul soffitto, ma la loro bellezza non riesce a scuotermi dal torpore del sonno.

Con uno sforzo, allungo una mano verso il comodino per spegnere la sveglia. L'orologio digitale sullo schermo segna le 7:00, e un sbuffo di frustrazione sfugge dalle mie labbra. Con grande fatica, mi metto seduta sul letto, sentendo il calore delle coperte ancora avvolgermi come una coccola tentatrice. Mi rendo conto che sto letteralmente dormendo in piedi perché non riesco a tenere gli occhi aperti, il peso della notte si fa sentire.

Mi trascino verso il bagno, le gambe stanche come se fossero fatte di piombo. Ogni passo richiede uno sforzo sovrumano, come se stessi camminando in un sogno. Arrivata allo specchio, mi guardo negli occhi e vedo la mia stessa lotta riflessa. Sono circondata da una nebbia di stanchezza, e persino l'acqua fredda della doccia sembra impotente a dissiparla. Mi lascio cadere sotto il getto gelido, sperando che possa scuotermi, ma la sensazione è solo temporanea. La stanchezza mi trascina ancora più in basso.

Decisa a cercare un po' di conforto nella routine mattutina, corro in cucina con un barlume di speranza. Ripongo tutte le mie aspettative nel caffè, nella sua promessa di energie rinvigorenti. Afferro una tazza dalla credenza, sentendo la sua forma familiare tra le mie dita. La riempio di latte fumante, mentre il profumo del caffè appena preparato si diffonde nell'aria. Prendo anche qualche biscotto, sapendo che non avrò tempo per una colazione adeguata. Mangio velocemente, come un automa, tanto che dieci minuti dopo sono già in auto diretta verso la palestra.

La strada si snoda davanti a me, i fari degli altri veicoli illuminano la via con brevi scie di luce. Ogni tanto sbadiglio, cercando di mantenere gli occhi aperti. La mia mente vagabonda tra i pensieri, divisa tra il desiderio di tornare nel caldo abbraccio del letto e l'impegno che mi attende nella palestra.

Finalmente, arrivo alla palestra e, entrando nello spogliatoio, vedo Nora seduta sulla panca. La sua espressione stanca è un riflesso perfetto della mia. I suoi gomiti sono poggiati sulle gambe, mentre tiene la testa tra le mani, come se cercasse di trattenere un segreto o un dolore interiore.

«Nora, tutto bene?» chiedo preoccupata, avvicinandomi a lei.

Alza lentamente lo sguardo verso di me, gli occhi appesantiti dal sonno.

«Ho sonno», dice con voce fioca, affondando nuovamente la testa tra le braccia.

Mi siedo accanto a lei sulla panca, cercando di condividere un po' del suo peso.

«Non hai idea di quanto ti capisca», riesco a dire, lasciando che le parole si perdano nell'aria carica di stanchezza.

Nora si alza in piedi di fronte a me, la sua espressione stanca si trasforma in un sorriso malizioso, simile a quello del gatto "Shrek" nei momenti di complicità. «Allora? Non racconti nulla alla tua migliore amica?»

Sorrido, sapendo che Nora ha sempre avuto un'insaziabile curiosità. «E va bene. Siamo andati a casa sua».

Lei fa un gesto con la mano come a dire "lo sapevo". «Io... voglio... i dettagli», mi dice, implorante.

Scuoto la testa con un sorriso giocoso. «Non scherziamo, non te li dirò mai! Diciamo... che forse potrei cercare di conoscerlo meglio».

Mentre mi avvio verso l'uscita, aggiungo con un filo di entusiasmo: «Ah... Potrebbe avermi invitato alla partita di questa sera». Prima che possa replicare, Nora mi lancia la sua felpa con un'espressione divertita.

Battito D'aliWhere stories live. Discover now